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Rifiuti tossici:un'organizzazione capillare ha «bypassato» per anni i controlli.

Operazione "Houdini"

Alcune società venete dello smaltimento inviavano in discarica materiali che avrebbero dovuto essere trattati da impianti speciali Undici arresti e decine di persone coinvolte
9 marzo 2004
Francesco Dal Mas

Terre di bonifica che venivano utilizzate per rilevati stradali. Polveri di fonderia che finivano nel compost e, quindi, nei giardini di casa. Fanghi industriali utilizzati per il ripristino di scarpate. La fantasia degli eco-furbi si è presa gioco per anni dei severi controlli sullo smaltimento dei rifiuti speciali. Ma i carabinieri del Noe di Venezia e della Tutela Ambiente di Roma non sono stati meno astuti e li hanno presi con le mani nel sacco.
Sette sono finiti in carcere, 4 agli arresti domiciliari, 70 sono sotto indagine, per ordine del gip veneziano Licia Marino, su richiesta del pm Giorgio Gava. Pesanti le accuse, seppur diversamente distribuite: associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, falso ideologico materiale, immissione nell'aria di polveri e fumi inquinanti. È il risultato dell'operazione "Houdini" che ha portato anche al sequestro degli impianti della società "Nuova Esa srl" di Marcon, in provincia di Venezia, una delle più grandi strutture di gestione rifiuti d'Italia, e della "Servizi Costieri srl" di Porto Marghera. Intermediari, trasportatori, titolari di centri di stoccaggio, recupero e smaltimento, perfino addetti ai laboratori di analisi, numerose le figure coinvolte nella vasta rete della collusione che faceva scomparire i rifiuti pericolosi, senza doverli convogliare nei siti dei costosi trattamenti.
Semplice il metodo usato: i componenti tossici venivano miscelati con quelli urbani fino a ricavarne un materiale apparentemente innocuo, tale appunto da essere utilizzato per terrapieni o da finire in discarica abusiva. E, di conseguenza, i documenti venivano declassificati. Le indagini sono partite dal sequestro di una di queste discariche in centro Italia, a Rieti, e sono arrivate sino alla terraferma veneziana, dove è stato individuato il cervello dell'organizzazione. Con gangli, peraltro, in altre parti d'Italia. Dalla falsificazione dei documenti di trasporto alla simulazione di operazioni di r ecupero, passando per certificati di analisi che testimoniavano il falso: il raggiro era stato studiato fin nei minimi particolari. Centinaia di migliaia le tonnellate di rifiuti smaltiti irregolarmente. Compresi 300 fusti di pentasolfuro di fosforo, una sostanza cancerogena altamente pericolosa non solo per l'uomo, ma anche per l'ambiente.
Sulle due società veneziane aveva acceso i riflettori anche la commissione parlamentare sui traffici di rifiuti, che l'11 dicembre aveva interrogato i loro amministratori. Paolo Rosso, il presidente della commissione, ribadisce la necessità, sulla scorta di quanto accaduto, che i reati ambientali sino inseriti nel codice penale, perché - osserva - organizzazioni come queste, che perpetuano il sistema della cosiddetta"declassificazione" dei documenti, «non possono assolutamente cavarsela a buon mercato». Ed è la stessa richiesta che viene avanzata da Legambiente, secondo il cui Rapporto Ecomafie sarebbero circa 11,2 milioni di tonnellate l'anno i rifiuti che spariscono nel nulla.

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