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Blair impone i campi ogm

Via libera al mais modificato, nonostante gli inglesi
10 marzo 2004
Orsola Casagrande


Il messaggio più eloquente degli ambientalisti che hanno manifestato davanti a Westminster ieri mentre il parlamento dava il via libera alle colture di mais geneticamente modificato, diceva semplicemente questo: l'85% degli inglesi ha detto no. Tony Blair, per una volta ascolta la gente. Ma il premier inglese non ha ascoltato. E la sua ministra all'ambiente, Margaret Beckett ha annunciato che nonostante i test e gli esperimenti dai risultati misti (e altamente controversi) la Gran Bretagna non sarà più un paese gm free, libero da prodotti geneticamente modificati. Luce verde dunque per le coltivazioni di mais transgenico, nonostante l'opposizione dell'opinione pubblica, di associazioni e gruppi ambientalisti, di molti scienziati. I test sulle coltivazioni pilota sono durati cinque anni e hanno dato risultati molto contestati. Il governo ha allora organizzato una lunga serie di incontri pubblici per avere dalla gente un feedback in matera di prodotti transgenici. Le assemblee, ovunque affollate, si sono svolte durante l'estate e l'85% dei partecipanti ha espresso un verdetto inequivocabile: non solo la stragrande maggioranza degli inglesi non si fida dei cibi geneticamente modificati, ma nemmeno li comprerebbe se li trovasse in vendita nei supermercati. Allora perchè il governo si ostina a voler coltivare prodotti potenzialmente fallimentari? Semplice, per l'ex ministro all'ambiente Michael Meacher (che ha perso il posto proprio per la sua contrarietà agli ogm), si tratta di «accontentare l'amministrazione e le multinazionali statunitensi. Non sono stati fatti - ha ripetuto ieri alla BBC - i test necessari per verificare l'impatto non solo nell'uomo ma anche nell'ambiente».
La ministra Beckett in parlamento ha sottolineato che «soltanto un tipo di mais potrà essere coltivato». Per ogni altra futura coltivazione si dovrà avere anche l'approvazione dei parlamenti decentrati di Scozia e Galles. Quest'ultimo però ha votato nel 2000 di mantenere il Galles una regione libera dagli ogm. Difficile pensare che l'assemblea di Cardiff cambi idea. Nel nord Irlanda poi il Sinn Fein sta conducendo una campagna altrettanto vigorosa contro gli organismi geneticamente modificati e non è escluso che il mini parlamento di Belfast esprima il suo voto in questo senso.
Le due questioni più delicate dell'affaire `cibi transgenici' riguardano la co-esistenza (cioè se coltivazioni di organismi geneticamente modificati possono essere collocate vicino a campi coltivati in modo convenzionale o biologico senza contaminarli) e la responsabilità (cioè chi paga se qualcosa andrà male). Il governo ritiene che a pagare dovrebbe essere l'industria, ma le compagnie biotecnologiche sono contrarie a questa ipotesi. I risultati dei test commissionati dal governo sulle coltivazioni-pilota di organismi geneticamente modificati hanno confermato le paure e i sospetti di chi da anni si batte contro l'introduzione delle coltivazioni genetically modified. Lo studio voluto dal governo Blair è durato tre anni e ha preso in esame tre diversi raccolti, mais, colza e barbabietola. I test avevano coinvolto sessanta fattorie ogm in tutta la Gran Bretagna. In particolare dovevano valutare l'impatto di determinati pesticidi sulle coltivazioni transgeniche. In due casi su tre, le piante geneticamente modificate sono sopravvissute sì ai veleni, ma l'ambiente circostante ne ha risentito pesantemente. Gli esperimenti erano stati compiuti affiancando coltivazioni transgeniche e naturali e lasciando che la fauna locale (piccoli mammiferi, insetti, ecc) continuassero la loro vita di sempre.
Il via libera alle coltivazioni transgeniche è giunto nonostante il parere della commissione parlamentare sull'ambiente che aveva detto, soltanto tre giorni, che «approvare le coltivazioni gm sulla base di stime sarebbe irresponsabile». Beckett ha sottolineato che «le licenze per la coltivazione di mais transgenico dovranno essere rinnovate nell'ottobre 2006. A quel punto chi intende rinnovare la licenza dovrà effettuare delle analisi durante la coltivazione». Secondo la ministra l'approccio del governo «è cauto e basato su prove scientifiche». Per gli ambientalisti invece «ignora i test scientifici e tiene conto esclusivamente degli interessi economici delle multinazionali».

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