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Il caso Ilva

Come mai Vendola non si è accorto di niente?

Duecentodieci chili l'anno. È la quantità di emissioni industriali per ogni abitante di Taranto. I periti della Procura hanno evidenziato quello che la Regione Puglia non ha fatto in tanti anni. La Procura della Repubblica ha svolto azione di supplenza dei decisori politici
Alessandro Marescotti (presidente di PeaceLink)

Due quintali e dieci chili a testa. A Taranto le emissioni industriali sono tali e tante che, se sommassimo tutti i fumi delle ciminiere e tutti gli scarichi in mare, e li dividessimo per gli abitanti della città, otterremmo proprio questo numero: 210 chili. Ogni anno! Oltre una tonnellata a testa in cinque anni. Sfido a trovare un'altra città in Italia dove si possano fare questi conteggi. Basta prendere i numeri della perizia commissionata dalla magistratura, fare somme e divisioni e, con una normale calcolatrice, arriviamo a questa brutale verità. Ciminiere
A Taranto, ogni mese, almeno due persone sono uccise dalle sostanze chimiche prodotte dall'inquinamento industriale. E' questo l'eccesso di mortalità calcolato dai periti nominati dalla Procura di Taranto nell'ambito dell'incidente probatorio.
Chi ha governato, questa verità non l'ha voluta cercare. Ha preferito non sapere e non far sapere. E ha lasciato che una città morisse lentamente. Ad essere indagati per disastro ambientale e altre ipotesi di reato sono i vertici dell'acciaieria Ilva. Otto dirigenti sono agli arresti domiciliari. La magistratura è intervenuta lì dove la politica ha fallito.

Un dato della perizia ci dice che tra lavoratori dell'Ilva i tumori si impennano fino ad arrivare ad un allarmante + 107% per il cancro allo stomaco. E poi ci sono i dati degli effetti immediati dell'inquinamento. Essi sono fotografati dai periti con precisione impressionante che non lascia molto spazio ai dilemmi: il danno alla salute non è solo ereditato dal passato ma riflette un danno diretto, frutto delle esposizioni attuali. Chi lava i balconi a Taranto lo nota: il secchio è sempre nero e non si vede miglioramento. La polvere nera in fondo al secchio si attacca alla calamita. E' impressionante pensare che può andare anche nei polmoni. La “prova calamita” dimostra la provenienza dell'inquinamento.

Se a Taranto c'è questa situazione anomala, come mai la Regione Puglia non ha agito prima della magistratura? Dove vanno a finire i buoni propositi della politica sanitaria volta alla prevenzione? Come mai in pochi mesi tre periti nominati dalla Procura sono riusciti a produrre i dati eclatanti che, in anni e anni di governo, la Regione non è riuscita a fornire? Alla Regione parlano di “carenza di personale”. Tuttavia anche un vigile urbano avrebbe potuto fare di più, conteggiando i morti annui del quartiere Tamburi (accanto a cui sorge l'acciaieria) e operando un raffronto con i morti del resto della città. Per anni questi semplicissimi conteggi non sono stati fatti. Bastava eseguirli con lo stradario alla mano. Bastava un vigile con la calcolatrice e avremmo avuto qualche numero utile in più. Quando andai dal Procuratore capo per portare dei numeri sul quartiere Tamburi relativi ai decessi per tutte le cause (il dato è semplicissimo da raccogliere), ebbi modo di scoprire, con mio grande stupore, che quei conteggi non venivano fatti e che la somma dei morti annui avveniva senza alcun criterio statistico che offrisse un'idea – anche grezza - del possibile impatto dell'inquinameento sul quartiere Tamburi, il più esposto.

Di fronte tutto questo dato sconcertante appare stonato l'ottimismo a cui si impronta la nota stampa del Presidente Nichi Vendola del 5 aprile 2012 nella quale si pone l'accento su alcuni dati regionali che esprimerebbero una “buona condizione di salute” della popolazione pugliese. Un ottimismo in perfetta sintonia con quello del sindaco di Taranto, sostenuto proprio da Vendola. Parliamo di Ippazio Stefano, che nell'ottobre del 2011 si compiaceva così: “Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti da Ilva”. Lo stesso sindaco, nei mesi precedenti, era così ottimista che non chiedeva di inserire nell'Autorizzazione Integrata Ambientale alcuna prescrizione particolare per limitare l'inquinamento dell'Ilva. Il 4 agosto 2011 l'allora Ministro Stefania Prestigiacomo confermava che "il sindaco di Taranto non ha formulato per l'impianto specifiche prescrizioni ai sensi degli articoli 216-217 del Regio Decreto 27 luglio 1934, numero 1265".  Quel Regio Decreto offriva e offre al Sindaco dei “superpoteri”, che possono giungere fino alla chiusura di un'industria che arrechi danno alla salute.
La perizia epidemiologica commissionata dalla magistratura tarantina si conclude così: “L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all’esposizione all’inquinamento”.
Sono affermazioni che – è palese - vanno nella direzione opposte all'ottimismo di facciata esibito negli scorsi mesi dal Presidente della Regione e dal Sindaco di Taranto. Ed è per questo che Salute Pubblica, PeaceLink, Lega Italiana Lotta Tumori (LILT) e Medicina Democratica hanno sottolineato: “I risultati favorevoli di alcuni indicatori di salute sulla totalità della popolazione regionale possono soffrire di un effetto di diluizione per cui aree maggiormente protette da minacce ambientali rischiano di mascherare le cattive condizioni di salute di aree più minacciate. Tra le popolazioni minacciate ricordiamo i lavoratori”.
Credo che, dopo l'inchiesta sugli inquinatori, si apra un nuovo fronte. Quello delle complicità. Una rete di potere e di pressione che le intercettazioni telefoniche ha portato alla luce in modo devastante. Quelle telefonate intercettate spiegano tante cose. Come mai ad esempio nell'agosto del 2010 viene rimosso, con una norma “nascosta” nel decreto legislativo 155/2010, il limite del benzo(a)pirene? Parliamo di una sostanza cancerogena che rende i bambini del quartiere Tamburi dei “fumatori incalliti” (per un equivalente di mille sigarette/anno). Le intercettazioni vertono in buona parte proprio sul benzo(a)pirene. Ma passiamo alla diossina. Come mai la legislazione italiana non ha un limite per diossine e PCB nei terreni di pascolo?
Oggi in Italia, in qualunque regione, una pecora può contaminarsi “a norma di legge” in terreni con diossine e pcb. Possiamo mangiarne il formaggio e rimanerne contaminati. E questo perché se esiste un limite per gli alimenti, non esiste tuttavia un limite apposito per i pascoli. Per ovviare a questo “buco normativo” per i pascoli si adotta il limite di diossine e pcb delle zone urbane, che è assolutamente inadatto: le pecore non pascolano sull'asfalto. Il ministro ell'Ambiente Clini questa cosa la sa? E il ministero delle Politiche Agricole ha qualcosa da dichiarare?

Note: Fonte: Il Manifesto 8 agosto 2012

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