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Un problema economico e politico. Un numero monografico di "Afriche e orienti"

Le guerre dell'acqua una mezza verità

15 marzo 2004
Tonino Bucci 


Europei e Americani fanno a gara nel finanziare missioni spaziali alla ricerca di acqua su Marte, ma nel frattempo è sul nostro pianeta Terra che le risorse idriche diventano sempre più scarse e preziose. Da più parti, ormai, il controllo e l'utilizzo dell'acqua sono stati individuati come le possibili cause delle guerre del XXI secolo. Il problema è così avvertito nel dibattito attuale che una rivista - "Afriche e orienti" (Aiep editore, pp. 256, euro 15) - ha dedicato un intero numero monografico al tema «Economia e politiche dell'acqua».
La questione è tutt'altro da considerarsi limitata alla semplice disponibilità di una risorsa naturale; i contributi raccolti nella rivista mettono in evidenza che l'eventuale penuria d'acqua dolce è piuttosto provocata da modelli economici e sociali di sviluppo sbagliati, oltre che da politiche inadeguate. Ne emerge una mappa variegata sul piano delle aree geografiche interessate: la desertificazione nel Burkina Faso, i bacini del Nilo e del Giordano, i pozzi scavati a mano in Ghana, la lotta per i servizi di base in Sudafrica. Sebbene le previsioni più apocalittiche non abbiano, almeno per ora, trovato conferme, la scarsità e il controllo dell'acqua è comunque una chiave di lettura da non scartare nel caso di alcuni conflitti locali. «In realtà, le guerre per l'acqua non si sono verificate - scrive Eugenia Ferragina, ricercatrice dell'Istituto di studi sulle società del Mediterraneo - ma non per questo il peso strategico della risorsa si è ridotto, l'acqua è diventata, infatti, uno strumento di potere e di ricatto sul piano politico, un elemento in grado di condizionare i rapporti di forza su scala internazionale, di creare gerarchie spaziali all'interno degli stati e nuove forme di ineguaglianza tra nord e sud del mondo».

Eppure, parlare di guerre dell'acqua rischia di distogliere l'attenzione dalle vere cause della scarsità idrica. «Le tesi sull'acqua "oro blu" e sull'inevitabilità delle guerre dell'acqua - spiega Riccardo Petrella, docente all'Università cattolica di Lovanio e segretario generale del Comitato internazionale per il contratto mondiale dell'acqua - sono delle semplificazioni e delle mistificazioni pericolose». In realtà, la quantità d'acqua dolce disponibile sulla faccia del pianeta terrestre è sufficiente a garantire il diritto alla vita per tutti non solo nei paesi sviluppati, ma anche in Africa, Asia e America latina. Se le risorse idriche si assottigliano, ciò è dovuto ad «abusi» e agli «sprechi che ne facciamo». Non è la scarsità della natura ad essere la causa della povertà in quei continenti, piuttosto «è la povertà che è all'origine della scarsità e della rarefazione dell'acqua. Nei paesi sviluppati è il modello devastatore e non sostenibile che è all'origine della scarsità e della rarefazione dell'acqua. La povertà e l'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo sono le cause principali dell'eventuale crisi mondiale all'orizzonte 2015-2020». Se è vero questo, finché non si mettono in discussione «i principi fondatori ed i meccanismi principali di funzionamento dell'economia capitalista di mercato mondiale, la crisi mondiale dell'acqua non potrà essere evitata».

Abitanti di paesi che appartengono allo stesso bacino idrico possono anche entrare in conflitto se diminuiscono le risorse d'acqua dolce. Però, «nonostante la sua apparente validità, l'argomento fondato sulla penuria d'acqua non è che una mezza verità. Altre analisi mettono in evidenza l'importanza dei fattori legati a rivalità etniche, razzismo, xenofobia, nazionalismi di tutti i generi, lotte per l'egemonia regionale politica, economica o culturale».

Se esiste al mondo un'area geopolitica in cui la difficoltà di approvvigionamento idrico sarebbe così intensa da poter scatenare una guerra, questa regione è proprio il Medio Oriente. E in effetti il controllo dell'acqua esercitato da Israele rientra in una delle discriminazioni subìte dai palestinesi. Tuttavia, «è chiaro che la guerra dell'acqua è la conseguenza e non la causa della guerra tra stati arabi (Siria Giordania, Territori palestinesi, Libano) e Israele che dura ormai da cinquant'anni. Al di là delle cause storiche legate all'opposizione religiosa tra ebrei e musulmani (per non menzionare altre comunità confessionali), la guerra trova la sua origine nel fatto che le potenze vittoriose della seconda guerra mondiale hanno dato soddisfazione a una rivendicazione legittima del popolo ebreo (la creazione dello stato di Israele) senza però dare la stessa soddisfazione alle rivendicazioni, altrettanto legittime, dei popoli arabi e soprattutto del popolo palestinese». L'acqua può anche rappresentare, nell'immediato, un motivo di conflitto - come accadde per la guerra dei sei giorni quando gli stati arabi, in risposta alla "via nazionale" all'acqua di Israele, provarono a deviare il fiume Giordano. Ma si tratta soltanto di un aspetto di una contrapposizione più complessa.

Per i Territori palestinesi la sfida imposta dalla «crescente domanda di acqua potabile» è ancora più drammatica, dato che «il contesto economico e istituzionale si presenta assai poco favorevole»: qui, scrive sempre Eugenia Ferragina, «il problema idrico si intreccia strettamente con il controllo del territorio da parte di Israele». Non solo i difficili collegamenti tra città e villaggi palestinesi hanno provocato un aumento del prezzo dell'acqua, ma la penetrazione degli insediamenti israeliani - e l'uso di potenti impianti idrici - ha contribuito al prosciugamento dei pozzi palestinesi più antichi.


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