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Ambiente e zootecnia

I costi ambientali della carne

Il prezzo della carne dovrebbe perlomeno triplicare se fossero conteggiati i costi ambientali, compreso il depauperamento e l'inquinamento delle falde acquifere, le emissioni di gas serra, lo spreco di combustibile fossile.
19 marzo 2004

Mentre ogni giorno centomila persone muoiono di fame nelle aree sottosviluppate del pianeta, vittime dell’imperativo economico dei nuovi padroni del mondo, nei paesi industriali avanzati, al contrario, una parossistica alimentazione, che supera di almeno il doppio in calorie le necessità individuali, diffonde obesità (su scala mondiale gli obesi sono oltre un miliardo, il numero più alto mai registrato nella storia dell’umanità: una vera e propria epidemia globale), sovrappeso e tutte le patologie associate come le cardiopatie, l'ipertensione arteriosa, le malattie articolari. L’umanità si sta dividendo in due: da una parte un 10-20% ipernutrito, che muore delle malattie dei ricchi, il cancro, gli infarti, il diabete; il resto sottonutrito, che muore delle malattie dei poveri o di fame.
Questa crisi destinata ad acutizzarsi nasce essenzialmente non solo dall’impossibilità per i paesi del Sud del mondo di accedere a una gestione completa e diretta delle proprie risorse, ma è costantemente accresciuta anche da un pervasivo modello alimentare, il nostro, basato sull’iperproduzione di alimenti di origine animale.

Oggi più di un terzo della produzione alimentare mondiale è costituito da foraggio che serve a supportare la zootecnia industriale cioè gli allevamenti intensivi di animali da macello che forniscono carne per l'uomo occidentale.

Più della metà delle superfici fertili del globo è destinata a coltivare cereali, semi oleosi ecc. per nutrire animali allevati. La sola zootecnia europea importa almeno 50 milioni di tonnellate di derrate mangimistiche all’anno. Dal Sud America all’Africa, per il nostro benessere alimentare decine di milioni di ettari di terreno, (le chiamano le terre fantasma) sono destinate a produrre cibo per le stalle intensive europee, privando in questo modo le popolazioni autoctone di risorse fondamentali per la loro nutrizione.

Perfino durante la peggior carestia dell’Etiopia la Gran Bretagna ha importato cereali per il suo bestiame!

Dalla metà del secolo scorso in Europa, la sempre più grande richiesta di prodotti animali, principalmente carne, è soddisfatta dagli allevamenti intensivi. Un metodo di allevamento industriale che nasce quando gli Stati Uniti iniziano ad esportare nel Vecchio continente soia e mais senza pagare nessun dazio, così da smaltire le loro enormi eccedenze. Per via dei bassi costi americani del petrolio e della scarsissima manodopera nei campi, queste derrate arrivano nel nostro continente a prezzi stracciati.

Spinti dalla frenesia produttivistica e dal facile lucro in un circolo vizioso che si autoalimenta, nel giro di pochissimi anni, interi settori della zootecnia tradizionale vengono smantellati mentre al loro posto sorgono immensi capannoni. Diminuiscono le aree dei pascoli e delle foraggere, e aumentano il numero degli animali per azienda. Ridotti a macchine: bovini, ovini, suini, ovini e caprini, polli broiler, ecc. sono ammassati a milioni in spazi angusti e ristretti, ad ingrassare e a morire il più velocemente possibile per il vorace mercato dei consumatori. Il danno ambientale che si paga per questo insensato e dissipatore sistema di produzione e che infligge ogni sorta di sofferenza agli animali è impressionante.

La denuncia del Worldwatch Institute, considerato il più autorevole osservatorio sui trend ambientali del pianeta non lascia dubbi in proposito: “Gli allevamenti intensivi sono una delle serie minacce alla qualità dell’aria, del suolo e delle acque. Il prezzo della carne dovrebbe perlomeno triplicare se fossero conteggiati i costi ambientali, compreso il depauperamento e l'inquinamento delle falde acquifere, le emissioni di gas serra, lo spreco di combustibile fossile”.

Monoculture

L’allevamento intensivo incentivando le monocolture, riduce la biodiversità. Solo mais, grano, girasole e pochi altri cereali (in particolare sono necessari 7 kg di cereali per la produzione di 1 kg carne bovina, 4 kg per la produzione di 1 kg carne suina e 2 kg per la produzione di 1 kg di pollame) sono coltivati. In Italia il fenomeno è visibile avendo ormai trasformato in gran parte il paesaggio: in tutta la Pianura Padana (che possiede la zootecnia più intensiva d'Europa ndr), a partire dalle prime pendici delle Alpi fino all’Adriatico, il territorio è dominato dalle monocolture, in particolare mais, considerato il re dei cereali, e coltivato in pochissime varietà, le più redditizie. Siamo ormai arrivati a una “produzione di 10 milioni di tonnellate” scrive Enrico Moriconi, medico veterinario e autore di diverse pubblicazioni sul rapporto tra ambiente, benessere animale e salute pubblica.

Per ogni tonnellata di mais poi, che assieme alla soia sono anche le colture maggiormente soggette alle sperimentazioni di ingegneria genetica, servono 1000 tonnellate di acqua, la sola produzione italiana richiede all’ambiente 100 miliardi di metri cubi d’acqua ogni anno. Altresì sono necessari enormi quantità di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti, ben 12.000 tonnellate ogni anno! Così se l’agricoltore un tempo coltivava anche per il proprio consumo, questo garantiva una certa diversificazione, la conservazione di numerose varietà di ortaggi, oggi letteralmente scomparsi, e la rotazione del terreno che consente di evitare fenomeni di impoverimento. Oggi, i campi vengono estesi il più possibile, vengono eliminati alberi e arbusti per consentire ai grandi macchinari di muoversi agevolmente, ma così facendo si elimina ogni forma di vita animale e vegetale: siepi, ruscelli piante e arbusti, costituivano infatti un habitat fondamentale per moltissime varietà di uccelli e piccoli roditori che oggi negli sterminati campi di mais, non trovano più la possibilità di vivere.

Acqua

In questo secolo, dove la risorsa fondamentale del pianeta sta rapidamente sparendo, il consumo idrico della zootecnia intensiva è impressionante. Nel calcolo totale dei consumi legati alla produzione di carne, oltre all’impiego in agricoltura, deve essere inclusa anche quella utilizzata direttamente dagli animali: una mucca da latte deve bere 200 litri di acqua al giorno, un bovino da ingrasso arriva a 50 litri, un suino a 20. Poi vi è l'acqua utilizzata negli impianti di allevamento e macellazione. Perciò per un chilogrammo di carne ci vogliono ben 3.150 litri di acqua!

Deiezioni animali

Se nell’allevamento tradizionale gli escrementi animali erano utilizzati come fertilizzanti, oggi negli allevamenti intensivi, le deiezioni, prodotte in milioni e milioni di tonnellate non possono più essere impiegate “come concime (in sostanza sono molto più numerose le quantità di concime delle terre da concimare) ed essendo molto ricche di fosforo e di azoto costituiscono un vero problema per l?atmosfera.”

”Per dare un'idea della quantità di feci prodotte, basti pensare che una mucca da latte produce in un anno feci pari a 30 volte il proprio peso corporeo ovvero 180 quintali all'anno.” Feci che mischiate alle acque composte da sostanze chimiche per il lavaggio dei capannoni, e a tutte quelle sostanze farmacologiche somministrate agli animali, (la produzione zootecnica italiana che è solo i 2/3 di quella tedesca, consuma la stessa quantità di farmaci della Germania, per un fatturato di circa 100 milioni di Euro) contaminano lentamente le falde acquifere per poi passare nei vegetali coltivati e nel pesce e, di conseguenza, all’essere umano.

Clima

Gli allevamenti intensivi sono fra le cause principali dell’effetto serra: la combustione di milioni di ettari di foresta produce milioni di tonnellate di carbonio; l?elevato consumo di energia fossile nella produzione di carne provoca l'emissione di CO2 (anidride carbonica), il principale gas serra. Secondo alcuni calcoli, “le carni bianche e rosse divorate ogni anno da un occidentale provocano l?emissione di mezza tonnellata di CO2. L’energia serve per fabbricare pesticidi e fertilizzanti e somministrarli alle colture foraggere, produrre i mangimi, far funzionare le stalle e le infrastrutture di trasformazione. Dietro ogni caloria di carne bovina che mangiamo ci sono 78 calorie di combustibile.” Inoltre questo sistema di allevamento è la principale fonte di emissione in atmosfera di ammoniaca (80-90% del totale), sostanza che ricade al suolo sotto forma di piogge acide, rovinando suoli e boschi.

Trasporti

Sono un altro pesante costo per l'ambiente. Il trasporto legato a questi allevamenti diventa necessario poiché “non siamo più in presenza di stalle piccole in grado di soddisfare il fabbisogno di una famiglia o di una piccola comunità, ma siamo di fronte a enormi allevamenti che producono migliaia di animali, i quali devono poi essere macellati altrove e quindi trasportati”. Da qui non solo i cosiddetti “viaggi della morte” , in cui animali vivi stipati su camion ben oltre i limiti di legge sono costretti a viaggiare addirittura per giorni interi in condizioni brutali (da allevamento ad allevamento, da allevamento a luogo di macellazione) ma anche di animali morti (carcasse che devono essere portate in luoghi appositi per la trasformazione, lavorazione e poi vendita) “e naturalmente, poiché nessun allevamento può produrre le quantità di cereali che gli occorrono vi è tutto il trasporto legato a questo tipo di derrate.”

In questi ultimi decenni il consumo di carne è stato promosso in ogni modo assumendo artatamente "nell’immaginario collettivo il ruolo di status symbol, per fugare ricordi di povertà e ostentare l’acquisita ricchezza.” Così l’allevamento intensivo diventa l’inevitabile elevatissimo prezzo da pagare non solo in termini ecologici ma anche di salute pubblica (ricordiamo “mucca pazza”, i polli alla diossina, i maiali agli ormoni), per assicurare “un alimento a basso costo e alla portata di tutti.”

Una logica mostruosa dietro la quale si muovono le solite multinazionali che molto lentamente ma in modo inesorabile negli anni hanno trasformato radicalmente le nostre abitudini alimentari ricavandone “guadagni enormi in ogni fase di produzione dalle sementi per produrre cereali, alla produzione e vendita di fertilizzanti e diserbanti, all’allevamento con i relativi interventi farmacologici che necessita, alla lavorazione delle carni”.

Note: Bibliografia:
Enrico Moriconi “L'allevamento intensivo e le conseguenze su ambiente e animali”
Marinella Correggia “Addio alle carni” Ed. Lav
Roberto Marchesini “Pollo alla diossina o mucca pazza” Franco Muzzio Editore
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