Vedi Taranto che muore
A i cancelli dell`Ilva i politici non li vedono da mesi. Telecamere sparite, spariti anche loro . «Bersani e Berlusconi forse hanno perso il torn torn ? Eppoi ci chiedete perché abbiamo votato Beppe Grillo. Lui qui almeno un comizio in campagna elettorale ha avuto le palle di farlo». L`operaio che lavora nell`area a caldo ha votato Movimento 5 Stelle «come più della metà dei miei colleghi». Cosi in città il comico genovese è passato dall`1,7 delle comunali del maggio 2012 al 26 per cento, poi non s`è fatto più vedere nemmeno lui. I leader degli altri grandi partiti sembrano aver cancellato l`Ilva dalla loro agenda già dallo scorso dicembre: sulla vicenda tarantina spulciando i giornali locali e le dichiarazioni rilasciate all`Ansa si scova a fatica un appello di Anna Finocchiaro (candidata in Puglia per il Pd), e un attacco di Angelino Alfano ai pm che hanno chiesto il sequestro della fabbrica. Stop, nient`altro.
Nel tacco nero d`Italia, però, non è cambiato niente. O quasi. Se i Riva hanno nominato Enrico Bondi nuovo amministratore delegato dell`Ilva e la chiusura di un altoforno a gennaio - e a nove mesi dal primo intervento della magistratura - ha migliorato la qualità dell`aria, le tensioni in città restano enormi. La Corte costituzionale ha deciso martedì che la legge "salva Ilva" voluta dal governo Monti è costituzionale, e la produzione d`acciaio continuerà nonostante le inchieste della magistratura. Il nodo del ricatto tra lavoro e malattia resta irrisolto, e le polemiche sull`applicazione dell`Autorizzazione integrata ambientale tra ambientalisti e il ministro Corrado Clini sono all`ordine del giorno. Mentre le bonifiche nel quartiere Tamburi, il più inquinato, non sono ancora cominciate. I morti scandiscono, come sempre, la vita quotidiana della città: alla manifestazione ambientalista del 7 aprile (dove non c`era nessun rappresentante delle istituzioni, tra i politici s`è visto solo il comunista Paolo Ferrerò) i familiari mostravano foto di bimbi e anziani «uccisi dalle polveri alla diossina sprigionate dal mostro», mentre a inizio marzo il marito di una donna ammazzata da un carcinoma ha intentato l`ennesima causa civile contro l`Ilva; a Pasqua i becchini del cimitero di San Brunone, a due passi dall`acciaieria, hanno sospeso sepolture e riesumazioni perché mancavano le mascherine per proteggerli dalle sostanze tossiche che impregnano i terreni del camposanto. «Epidemia e contagio sono parole chiave per capire la città », ha detto Alfonso Musei, giovane filosofo nato a Taranto. «Qui la paura di morire trova risposte solo nella sopravvivenza».
ILVA SÌ, ILVA NO Camminando nei vicoli del centro, chiacchierando con i metalmeccanici e i cozzari del Mar Piccolo, parlando con i pochi giovani e intellettuali rimasti, con i professionisti o i colletti bianchi che lavorano alla Marina, ci si accorge che la città è stanca. Avvolta da una cappa di depressione, dilaniata tra gli arrabbiati che vorrebbero voltare pagina e chiudere per sempre la fabbrica e i conservatori, terrorizzati dal possibile declino dell`unica economia,quella legata alla siderurgia, ancora capace di dare lavoro in città. «Epperò bisogna dire la verità: su 11 mila dipendenti totali», spiega Fulvio Colucci, saggista e autore del libro-inchiesta "Invisibili" sugli operai «i tarantini veri e propri sono poco più di 3-4 mila, tutti gli altri vengono da fuori, dalla provincia». Sono gli eredi dei "metalmezzadri", come li chiamò Walter Tobagi in un reportage scritto nel 1979: tute blu residenti a Gl`ortaglie, Massafra e Cisternino che non rinunciavano a lavorare nei campi come agricoltori. I loro figli al referendum consultivo che il 14 aprile chiamerà gli abitanti a decidere se chiudere in parte o del tutto l`Ilva non potranno votare. «Ma, se potessero, credo voterebbero a favore dello status quo», spiega Colucci. «All`interno della fabbrica c`è una spaccatura tra i residenti, più sensibili alle questioni ambientali, e tra chi vive lontano dalle ciminiere», chiosa un caporeparto, Antonio, mentre torna nella sua casa di Tamburi. «Lo scriva, qui la classe operaia non esiste più».
SINDROME DON ABBONDIO La maggioranza degli "italsiderini doc" che mangiano le cozze e i pesci del Mar Piccolo, insieme agli altri 3 mila tarantini che lavorano nelle ditte esterne dell`indotto (si occupano di edilizia, pulizia e riparazione degli impianti) sembra invece orientata per la chiusura solo dell`area più inquinante, quella delle cokerie, che comporterebbe anche lo smantellamento dei parchi minerari. 11 referendum, che tutti indicano come uno snodo decisivo, rischia però di trasformarsi in un flop: Rifondazione comunista sembra abbia invitato a votare scheda bianca, mentre i partiti - che non si sono ancora ufficialmente sbilanciati, Grillo compreso - in segreto stanno cercando di boicottare l`appuntamento. Pure i sindacati (Cgil in testa) hanno già invitato all`astensione, a braccetto con gli industriali di Confindustria contrari a mettere un «semplice sì o no su una scheda. Il referendum ».ragionano dall`associazione «è solo uno strumento di divisione e frattura su un argomento di vitale importanza per il presente e il futuro del territorio». Secondo Colucci le reazioni scomposte dimostrano innanzitutto paura dell`ignoto: «Sono tutti terrorizzati dall`eventuale chiusura dell`Ilva». Anche il "niet" alle » sole cokerie preoccupa: secondo gli esperti se i Riva fossero costretti a importare da fuori le bramme di acciaio, la fabbrica (già in crisi verticale, nel 2012 le esportazioni di metalli di base sono calate, secondo dati della Regione Puglia, del 9,6 per cento) potrebbe essere smantellata in toto. Lasciando a casa 5 mila tarantini e altre 15 mila dipendenti in giro per l`Italia. I ragazzi-volontari di "Ammazza che piazza", oggi assai più rapidi del Comune a rimboccarsi le maniche per ripulire giardini e parchi devastati da immondizia e degrado, se ne fregano, e invitano gli abitanti ad andare alle urne in massa: per loro Taranto non può essere la vittima sacrificale sull`altare del Pii, e con una mail hanno invitato «tutti i tarantini fuori-sede con residenza a Taranto a venire a votare».
GIOVANI ADDIO A pochi chilomentri dall`Ilva, intanto, il resto di Taranto muore. Il comune guidato dal 2007 da Ippazio Stefano di Sei (alle ultime elezioni ha vinto al ballottaggio contro il figlio dell`ex sindaco populista Giancarlo Cito) non s`è ancora ripreso dal default di fine 2006, quando la città dichiarò bancarotta a causa di un buco da oltre mezzo miliardo provocato dalla malapolitica del centrodestra. Servizi pubblici al minimo, monnezza ovunque, welfare inesistente: al netto dei fumi tossici, non è un caso che la città quest`anno abbia guadagnato l`ultimo posto della classifica sulla qualità della vita pubblicata dal "Sole 24 Ore". Quello che le statistiche non dicono è che le classi sociali negli ultimi anni si sono incattivite. Gli interessi contrapposti dividono le generazioni, e il motto identitario "Tarde nuèstre", Taranto nostra, bandiera dialettale dell`orgoglio di una comunità fiera viene ripetuto, fiaccamente, solo dagli anziani della città vecchia.
«Il fatto è che oggi viviamo un passaggio drammatico, la stessa sopravvivenza della città è a rischio», spiega il presidente dell`Ail (l`associazione italiana contro le leucemie) di Taranto Paola D`Adria. Lei, attivista anti-Ilva con un marito doganiere deceduto per un tumore del sangue provocato dai fumi tossici, è preoccupata in primis dall`invecchiamento progressivo degli abitanti e dall`incapacità di un progetto a lungo termine che consenta ai più giovani e capaci di rimanere. L`Istat, nel censimento 2011, ha disegnato una mappa sconfortante: rispetto a dieci anni fa la città ha perso il 13,1 per cento degli under 39, mentre gli ultraottantenni sono aumentati del 61,8 per cento. Chi può è partito per Bari o le regioni del Nord. «Non solo perché Taranto non ha una sua università ma ospita sedi distaccate dell`ateneo di Bari, ma perché la vita culturale è inesistente». Solo cinque cinema e un teatro per una città che conta quasi 200 mila abitanti (dagli anni Ottanta sono spariti oltre 40 mila residenti), zero opportunità di lavoro e di svago. Metaforica è la vicenda di qualche settimana fa, quando la po lizia ha arrestato alcuni ragazzi accusati di aver bruciato automobili in sosta. Gli agenti che li hanno individuati ipotizzavano ritorsioni criminali, legavano la vicenda al racket. Invece dopo il fermo i giovani hanno risposto alle accuse lasciandoli di sasso: «Non c`era un motivo particolare per cui lo facevamo», hanno detto a verbale. «Diciamo che era un gioco, una cosa per passare la serata perché non abbiamo niente di meglio da fare. Nessuno ci aveva chiesto di fare quello che abbiamo fatto. Non conosciamo nessuno dei proprietari dei veicoli. Ci fermavamo dove capitava...».
L`illegalità a Taranto, come nelle altre città del Sud, è endemica. Eppure la crisi economica e sociale ha peggiorato la tendenza. Secondo i dati della procura, nel 2012 i reati denunciati alle forze dell`ordine sono aumentati: due omicidi, 12 tentati omicidi, 47 estorsioni, tré sequestri di persona, una rapina ogni tré giorni, dieci furti al giorno. Secondo il procuratore capo Franco Sebastio, inoltre, in alcuni quartieri - i più disagiati dove vive il sottoproletariato - «c`è il rischio di una recrudescenza di attività criminali che potrebbero assumere una dimensione associativa, non bisogna abbassare la guardia».
Ma le cronache giudiziarie raccontano episodi di microcriminalità legati - forse anche alla mancanza di lavoro e alla disperazione: un mese fa un uomo è morto dopo aver rubato alcune bottiglie in un discount (fuggendo è scivolato, tagliandosi l`arteria femorale con i cocci di vetro); e se a Como un gruppo di banditi ha assaltato un portavalori portandosi via 10 milioni di euro usando bande chiodate per bloccare le pattuglie, a marzo rapinatori mascherati hanno usato la stessa tecnica per derubare i Monopoli di Stato di Taranto, portandosi via un carico di sigarette.
TRA COZZE E TURISMO Se l`era dell`acciaio - al di là dell`esito del referendum e delle sorti dell`Ilva sembra comunque volgere alla fine, nella citta dei due mari il futuro non è facile nemmeno da immaginare. Taranto piange i suoi morti e i suoi malati, ma non propone ancora una cura, un`alternativa per lo sviluppo. Tramontato il lavoro garantito negli anni Sessanta e Settanta dall`Arsenale della Marina, sparite le commesse dei cantieri navali, oltre alla siderurgia (che comporterebbe il ridimensionamento anche dell`Eni e della Cementir, che lavorano in sinergia) soffrono anche altri settori-chiave dell`economia cittadina. Spesso, dicono lavoratori e sindacati, anche a causa dell`Ilva, «che con una mano da reddito», sospira Colucci, «e con l`altra distrugge posti di lavoro».
L`economia delle cozze, da sempre fonte di guadagno per le cooperative dei miticoltori del Mar Piccolo, è stata praticamente distrutta dalla diossina: da due anni - dopo che Peacelink scoprì nei mitili concentrazioni di pericolosi Pdc superiori del 69 per cento ai limiti di legge - nell`area sono vietati sia l`allevamento sia la commercializzazione (seppure qualcuno per tirare a campare non ha rispettato i divieti: una settimana fa la Guardia di Finanza ha sequestrato 15 tonnellate di cozze "abusive" e potenzialmente avvelenate). In attesa che la zona sia bonificata solo quattro aziende hanno avuto il permesso di spostarsi sul Mar Grande, mentre i fondi destinati ai risarcimenti non sono stati ancora erogati. Se negli ultimi anni sono decine gli allevatori costretti ad abbattere migliaia di capi di bestiame intossicati, la centrale del latte di Taranto è fallita qualche giorno fa, e all`Eni i sindacati denunciano ritardi nel pagamento degli stipendi degli operai che puliscono la raffineria. «Tutto il comparto agro-alimentare», spiega il comitato Donne per Taranto, «ha subito danni e gravi conseguenze. A coloro che si ostinano a dichiarare quanto l`Ilva ha fatto per la nostra terra, bisogna ricordare i danni non solo contro la salute ma anche contro la nostra economia locale».
Di certo la città, che da sempre preferisce la conservazione al cambiamento, deve decidere se restare chiusa nel Mar Piccolo o provare a cambiare tutto, navigando in acque aperte. «Non sarà facile che le varie anime della città riescano a produrre una visione comune», ragiona la D`Andria, che ha appena scoperto di avere troppo piombo nel sangue. «La società ècomposta da operai,pochissismi imprenditori, una media borghesia "non riflessiva" che vota tradizionalmente la famiglia Cito o il Pdl, pochi professionisti benestanti che vivono al borgo o nella mia zona, quella di Viale Virgilio. Non ci crederà, ma dalla mia finestra qualche Ferrari la vedo ogni tanto».
Professionisti e operai si sono saldati politicamente votando Grillo, ma le loro ricette per il futuro sono assai diverse. Come quelle delle decine di associazioni unite, per adesso, soprattutto dal "no" all`Ilva e ai Riva, considerati alla stregua di assassini seriali. Se qualcuno punterebbe sulla riconversione del porto, che presto dovrebbe ottenere 400 milioni di finanziamenti, altri sperano nel turismo, settore abbandonato quando, negli anni Cinquanta, le classi dirigenti cittadine decisero di trasformare Taranto in un polo industriale. Oggi a guardare i due mari vengono in pochi: gli stranieri pre- feriscono il barocco di Lecce.
Eppure il know-how ci sarebbe; a pochi chilometri dall`Ilva il mare è ancora spettacolare, la città vecchia mozza il fiato, la chiesa di San Domenico, il castello aragonese e la cattedrale sono gioielli della storia dell`arte, mentre il Marta, il museo archeologico che conserva i reperti dell`insediamento greco risalenti fino al IV secolo a. C,, è secondo solo a quelli di Atene e di Napoli. Nel 2012, però, è stato visitato in media da meno di 100 persone al giorno, un`inezia rispetto ai tesori conservati e ai soldi spesi per una ristrutturazione infinita durata sette anni. Quest`anno, sul fronte turismo, rischia di andar peggio, visto che da luglio dello scorso anno il territorio tarantino è diventato nell`immaginario collettivo la patria della diossina e del cancro. Un posto da cui stare lontani. Qui tutti sperano che i turisti non imitino i politici.
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