Le imprese della Chevron-Texaco in Ecuador
Si tratta di un disastro di dimensioni maggiori di quello di Chernobyl e due volte più devastante del naufragio della Exxon-Valdez. Tra il 1964 e il 1992, una filiale della compagnia petrolifera americana Texaco ha devastato la città di confine di Lago Agrio e le aree circostanti nei pressi dell'Amazzonia ecuadoriana. La multinazionale, secondo gli indigeni dell'area, ha riversato oltre 18,5 miliardi di galloni [circa 85 miliardi di litri - NdT] di rifiuti
altamente tossici in 600 pozzi aperti e privi di rivestimento protettivo su un'area di oltre 2.000 miglia quadrate, abitate da una comunità indigena di 30.000 persone, pompando oltre un miliardo e mezzo di barili di petrolio fuori dall'Ecuador. Questa l'eredità di "sviluppo" che si è lasciata alle spalle: una comunità malata e sull'orlo dell'estinzione, un delicato ecosistema devastato. Le conseguenze persistono. Acque limpide ribolliscono di un liquido marrone, la terra non si può più lavorare e la vita è diventata molto complessa. In quest'area, nel corso degli anni successivi all'inizio del rilascio di sostanze tossiche, l'incidenza dei tumori è stata del 40% più alta della norma fra gli uomini e del 60% fra le donne, e sono nati bambini con malformazioni congenite(1). Nel 1987, un terremoto che distrusse venticinque miglia dell'oleodotto Trans- ecuadoriano che attraversa le terre delle comunità indigene dell'Amazzonia contribuì a peggiorare il disastro ecologico dell'Ecuador. Quell'oleodotto si è rotto 27 volte dal 1989, riversando 16,8 milioni di galloni di greggio - da paragonare ai 10,8 milioni fuoriusciti dalla Exxon-Valdez(2).
Nel decennio successivo all'uscita della Texaco, le popolazioni indigene della regione si sono battute nei tribunali americani ed ecuadoriani affinché il gigante petrolifero risarcisse i danni alla salute e all'ambiente causati dalle sue illecite modalità di trivellazione. La causa intentata contro ChevronTexaco, la società nata dalla fusione di Texaco con la società madre Chevron nel 2001, da 88 persone a nome della comunità di trentamila individui è senza precedenti.
Steven Dozinger, l'avvocato che assiste i querelanti, ha detto al Financial Times del 29 ottobre: "Questo processo è uno dei più straordinari nella storia dei movimenti indigeni dell'Ecuador e dell'America Latina. È il primo processo importante relativo a danni ambientali nel quale una multinazionale americana citata in giudizio compare per difendersi dalle accuse con una decisione di una corte americana che pende sopra la sua testa". Dopo aver evitato di prendere una decisione nell'agosto 2002, una corte americana ha deciso che il processo, che è stato ostacolato e rinviato per quasi un decennio, dovrà tenersi in Ecuador. La corte ha deciso che un eventuale sentenza contro ChevronTexaco sarà applicabile negli Stati Uniti.
I più diffusi media occidentali hanno descritto la mossa come un colpo per la ChevronTexaco e la grande industria petrolifera. Ma in effetti, nei dieci anni nei quali il processo ha rimbalzato fra una corte americana e l'altra, la compagnia petrolifera ha esercitato pressioni molto forti affinché il processo si spostasse in Ecuador, quando non richiedeva un completo rigetto dell'accusa. Perché? La ChevronTexaco stava semplicemente seguendo il vecchio trucco delle corporations di cercare di spostare la sede del processo nei paesi in via di sviluppo, che non hanno le risorse e l'esperienza per gestire il caso. I tribunali dell'Ecuador non hanno nessuna esperienza di cause per danno ambientale che coinvolgano una compagnia petrolifera. Spostando il processo in questo paese in via di sviluppo, inesperto, dipendente dalle entrate petrolifere, le possibilità di vittoria sono maggiori e le potenziali perdite patrimoniali inferiori. Il processo, ora in Ecuador, è più di un esempio simbolico degli atroci effetti dello "sviluppo" e della "globalizzazione". Il mondo sta scoprendo, con ogni anno di ulteriore ritardo di questo processo, in quale enorme misura ChevronTexaco abbia strategicamente sfuggito le proprie responsabilità di riparare i danni che ha causato.
La causa intentata contro la multinazionale nel 1993 stimava che sarebbero occorsi circa 1 miliardo di dollari e almeno dieci anni per riparare ai danni pluridecennali. In realtà, una cifra del genere sarebbe totalmente inadeguata a ripagare e risarcire questa comunità e questa terra che è stata portata ad un passo dalla distruzione. *Dopo molti studi condotti sul territorio e sulla popolazione, i legali degli indigeni ora stimano i reali costi di bonifica fra i 5 e i 6 miliardi di dollari(3). ChevronTexaco, che "investe" ogni anno 4 miliardi di dollari nell'intera America Latina, sta usando tutti i suoi stratagemmi per liberarsi dalla colpa ed evitare le responsabilità e i pagamenti.
La corporation ha ripetutamente sostenuto che Petroecuador, la compagnia petrolifera di stato partner nel progetto, dovrebbe essere ritenuta responsabile della tragedia. Un'affermazione del genere è totalmente ridicola, considerato che ChevronTexaco è stata una delle prime compagnie che crearono la nascente industria ecuadoriana del petrolio e ne costruirono le infrastrutture. Essa ha usato la propria esperienza e le proprie tecnologie, e ha riempio le proprie casse durante lo "sviluppo" e ora sostiene che non dovrebbe pagare per l' "eredità tossica" che si è lasciata alle spalle. Un'inchiesta sulla condiscendenza di Petroecuador nei confronti di Texaco è appropriata, ma ciò non toglie che Texaco fosse obbligata a rispettare gli standard dell'industria petrolifera in vigore a quel tempo. *Lo standard fino dal 1950 richiedeva che i rifiuti tossici prodotti dalle trivellazioni fossero reimmessi nel terreno, non scaricati in pozzi aperti.(4)
ChevronTexaco ripete inoltre di aver agito in accordo con le leggi dell'Ecuador. Il gigante petrolifero usa un argomento discutibile, visto che non poteva rispettare delle normative ambientali che non erano ancora compiutamente elaborate e in vigore. ChevronTexaco sta violando i suoi obblighi in tema di diritti umani e di diritto internazionale, e ha cercato di evitare il processo con tattiche ostruzionistiche e nascondendosi dietro artifici legali. Uno studio del 1993 ha stabilito che gli scarti petroliferi e i contaminanti, nelle acque intorno ai luoghi nei quali Texaco effettuava le trivellazioni, eccedevano in modo significativo i limiti di sicurezza internazionalmente stabiliti, talvolta di oltre 1000 volte. Un anno dopo il coinvolgimento di Texaco nella nuova industria petrolifera ecuadoriana, 100 paesi fra cui gli Stati Uniti e l'Ecuador sancirono nella Dichiarazione di Stoccolma che il diritto ad un ambiente pulito e sicuro era un diritto umano fondamentale e inalienabile.
Texaco ha utilizzato intenzionalmente delle procedure scadenti di estrazione e di eliminazione dei rifiuti per risparmiare denaro e quando ebbe la possibilità di rivestire i pozzi, la compagnia decise di non farlo, sostenendo che l'utilizzo di quelle misure di sicurezza avrebbe vanificato i suoi profitti di milioni di dollari. Lo scarico dei rifiuti tossici ha portato alla diffusione di otto diversi tipi di tumore tra i gruppi indigeni di quella parte dell'Amazzonia. Ecco cosa si legge in una comunicazione interna scritta da un manager della Texaco nel 1980:
"Gli attuali pozzi non rivestiti sono necessari per una gestione efficiente ed economica delle nostre operazioni di trivellazione. Il costo totale dell'eliminazione dei vecchi pozzi e del rivestimento di nuovi pozzi sarebbe di 4.197.958 dollari. [....] Si raccomanda che i pozzi non siano né rivestiti né colmati."
Un altro trucco della multinazionale è stato quello di presentare in modo enigmatico la struttura della società. Il gigante petrolifero ritiene di non poter essere considerato responsabile per ciò che fece l'altra metà del suo nome, poiché la fusione avvenne solo nel 2001 mentre la causa fu intentata nel 1993. Pur avendo felicemente acquisito tutte le attività della Texaco (denaro liquido, pacchetti azionari ecc.) a seguito della fusione, ChevronTEXACO rifiuta di assumersi le responsabilità della Texaco. L'uso di questa logica assurda si ritrova anche nella dichiarazione della società secondo cui non vi è una "prova scientifica" del danno causato alle cinque comunità indigene che vivono nell'area estrattiva della compagnia. Dopo aver cercato per tutti i primi anni 90 di far rigettare la causa, ChevronTexaco raggiunse con il governo ecuadoriano l'accordo di pagare 40 milioni di dollari per il disinquinamento - nonostante gli ambientalisti sostenessero (già allora) che sarebbero occorsi miliardi di dollari per riparare il danno causato alle zone umide amazzoniche. L'opera di bonifica è stata del tutto inadeguata, considerato che oltre il 60% dei pozzi continua a rilasciare rifiuti tossici.
"Se Texaco avesse fatto una cosa del genere negli Stati Uniti, sarebbero tutti in galera", dice Rene Vargas, ex ministro dell'energia. Questo è esattamente il punto. Il processo non si tiene negli Stati Uniti, dove i legali delle popolazioni indigene hanno cercato senza speranza di mantenerlo. Esso si tiene in un paese che conta sulle esportazioni petrolifere per il 40% delle sue entrate annue, un paese con una pesante situazione debitoria e con un'industria petrolifera che è stata di recente parzialmente privatizzata. Il governo dell'Ecuador ha fame di investimenti privati, ha fame della rata di 42 milioni di dollari del prestito del FMI, che è solo una parte dell'accordo complessivo di sostegno di 205 milioni dei dollari ora in bilico, e ha fame di investimenti diretti stranieri per sostenere il suo "sviluppo".
Il 29 ottobre ha segnato la conclusione della fase probatoria della causa civile. Il processo è ora nelle mani di una corte stretta fra il governo ecuadoriano desideroso di richiamare ulteriori investimenti internazionali e le comunità indigene che - ironicamente, visto l'inversione della politica del governo del presidente Lucio Gutierrez - lo hanno aiutato a salire al potere.
Gutierrez vinse le elezioni presidenziali nel novembre 2002, battendo il miliardario magnate delle banane Alvaro Noboa con promesse di giustizia sociale e fine della corruzione. Gutierrez aveva guidato la rivolta indigena contro il presidente Jamil Mahuad, notoriamente corrotto, nel 2000. Tuttavia, dai tempi della sua elezione così popolare e dalla nomina iniziale di alcuni leaders indigeni nel suo governo, Gutierrez ha cambiato rotta con il suo "programma di austerità economica" per blandire il FMI e le sue schiere di Washington.
Il governo Gutierrez ha firmato una lettera di intenti con il FMI che propone prestiti in cambio di politiche che "alzano il prezzo del gas, privatizzano alcuni settori economici, indeboliscono le protezioni per i lavoratori, peggiorano la situazione del debito, rendono marginali i bisogni primari di educazione e salute e trasformano il territorio dell'Ecuador in una parte del sistema statunitense di basi militari" dice Blanca Chancoso, rappresentante della Federazione delle Nazionalità Indigene dell'Ecuador (CONAIE).(5)
La crescente tensione politica fra gli indigeni e Gutierrez, insieme con normative ambientali lassiste, un sistema giudiziario corrotto e un paese in crisi economica, potrebbero giocare a favore di ChevronTexaco. Il successo della multinazionale dipende non tanto dalle prove, che dimostrano ampiamente i danni che essa ha causato alla comunità nel corso dei decenni, quanto dai ritardi del processo, dai tecnicismi legali e dalla distorsione che i media faranno del termine "successo". Una vittoria indigena significherebbe poco se i risarcimenti non potessero essere pretesi o fossero inadeguati rispetto al danno subito. Ma le implicazioni di questo caso non dovrebbero essere sottovalutate. Se gli indigeni vinceranno la causa, altre comunità nel mondo, depredate dalle multinazionali affamate di profitti e sradicate dalle loro terre e dalle loro vite, avranno la possibilità di intentare azioni e cause legali contro di esse.
Sulla carta, anche i gruppi ambientalisti ritengono che gli indigeni abbiano buone possibilità di ottenere un processo equo. Il giudice che presiede il caso, Alberto Guerra, ha un buon curriculum e il processo ha il supporto delle corti americane. Ma nel contesto della sofferente economia ecuadoriana, la prospettiva di una vittoria indigena è meno sicura.
Il governo dell'Ecuador spera che gli investimenti nell'industria petrolifera del paese possano raggiungere il miliardo di dollari nel 2004 "nello scenario meno ottimistico" grazie agli appalti recentemente indetti relativi a trivellazioni da parte di società petrolifere straniere in cinque nuovi tratti amazzonici. Queste società hanno già fatto sapere al governo del presidente Lucio Gutierrez che "problemi ambientali irrisolti" complicano le loro "possibilità di business". *Alcuni funzionari governativi hanno riferito che il paese ha bisogno di destinare dal 40 al 45% del suo bilancio al servizio del debito per poter stare a galla e non rischiare una nuova situazione di insolvenza come avvenne nei primi anni novanta. Le implicazioni di una sentenza contro un investitore estero nel settore petrolifero sono quindi ovvie.(6)
Gli indigeni dell'Amazzonia ecuadoriana aspettano un verdetto, che secondo gli attivisti potrebbe non arrivare per un altro decennio. Fino ad allora, essi aspetteranno, continuando a vivere tra le acque inquinate che usano per pescare e bere e il suolo inquinato che utilizzano per il loro sostentamento.
(1) Amazon Watch study: "ChevronToxico: Clean Up Your Toxic Legaci In The Ecuadorian Amazon"
(2) Allen Gerlach, "Indians, Oil and Politics: A Recent History of Ecuador", SR Books, 2003, pag. 57
(3) Wall Street Journal, 29 ottobre 2003: "ChevronTexaco Faces Big Tab For Cleanup"
(4) Amazon Watch Report,: "ChevronTexaco's Deadly Deceptions About Ecuador"
(5) Narco News, 8 settembre 2003: "Ecuador's President Is a Puppet of the World Bank: Interview With Blanca Chancoso"
(6) Dow Jones Newswires, 30 ottobre 2003: "Foreign Cos Plan to Skip Ecuador's Oil Field Auctions"
Sociale.network