I discorsi dei Pontefici Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II sulla produzione dell'acciaio nell'impianto siderurgico di Taranto
Nei suoi oltre 50 anni di attività, il siderurgico di Taranto è stata meta di visita anche da parte di Pontefici che spesso hanno espresso giudizi ed opinioni sull'azienda non molto lusinghieri.
Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II sono venuti a Taranto rispettivamente nel 1968 e nel 1989 quanto ancora il siderurgico era di proprietà dell'IRI; l'impianto è stato poi venduto alla famiglia RIVA nel 1996 e ha cambiato ragione sociale, acquisendo il nome di ILVA spa.
Dal discorso pronunciato da Papa Giovanni Paolo II nell'ottobre del 1989 all'Iltalsider il Pontefice metteva già in evidenza il problema delle condizioni di lavoro all'interno dello stabilimento. Leggiamo alcune parti del suo discorso:
"Questo impianto, in cui ci troviamo, e le officine, nelle quali voi lavorate e trascorrete buona parte delle vostre giornate, sono un segno eloquente delle capacità dell’uomo di trasformare la materia prima per adattarla alle proprie necessità"... "Tuttavia, promuovere la capacità produttiva di un complesso industriale non è tutto, e non è neanche quello che più conta. Il valore e la grandiosità di un impianto di produzione, sia pure così impressionante come è questo vostro, non devono misurarsi unicamente con criteri di progresso tecnologico o di sola produttività e redditività economica e finanziaria, ma anche e soprattutto con criteri di servizio all’uomo e di corrispondenza a ciò che la vera dignità del lavoratore, in quanto immagine di Dio, richiama ed esige. Ora, qual è, da questo punto di vista, la realtà attuale dell’Italsider di Taranto?".
Già nel 1989 il Papa metteva in evidenza di come già allora il settore siderurgico fosse in crisi: "Vi è, anzitutto, la pesante situazione relativa all’occupazione, aggravata dal ridimensionamento della capacità produttiva dell’impianto, nel quadro di una crisi più generale concernente la produzione dell’acciaio. Vi sono i fenomeni connessi del pre-pensionamento e del ricorso alla cassa integrazione, rimedio, quest’ultimo, parziale e temporaneo in relazione alla mancanza o alla stasi del lavoro. Non mi sfuggono di certo le complesse componenti della crisi siderurgica, che è fenomeno di dimensione internazionale".
Ma Giovanni Paolo II parlò anche della situazione ecologica che definì grave: "Vi è, inoltre, la grave situazione ecologica, con le sue preoccupanti ripercussioni sulla natura, sul patrimonio zoologico ed ittico e sulla vita quotidiana delle persone. Il campanello di allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far sì che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi. Quando si tratta di ripensare una situazione come questa, carissimi, due sono i criteri morali di fondo, di cui si deve tener conto.
Il primo è la dignità della persona umana, creata ad immagine di Dio: “L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (Gaudium et Spes, 63).
Il secondo è la dignità stessa del lavoro, che è parte della vocazione dell’uomo chiamato da Dio a realizzarsi e perfezionarsi come persona (cf. Laborem Exercens, 4). All’uomo non è dato altro mezzo per sviluppare i talenti e le qualità ricevute, oltre che per guadagnarsi la vita.
Le nuove circostanze richiedono da tutti uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività, affinché agli uomini e alle donne di Taranto vengano offerte nuove possibilità di lavoro, possibilmente più confacenti alla realtà ambientale in cui essi vivono: le industrie del cosiddetto terziario, ma anche un’agricoltura rinnovata e tutto ciò che può gravitare intorno alla ricchezza del mare".
Oltre a Giovanni Paolo II, nel lontano 1968 anche Papa Paolo VI venne in visita a Taranto presso lo stabilimento Ilva, e già allora le sue parole furono molto critiche circa le condizioni dei lavoratori negli impianti: «Qui due mondi si incontrano, la materia e l’uomo; la macchina, lo strumento, la struttura industriale da una parte, la mano, la fatica, la condizione di vita del lavoratore dall’altra. Il primo mondo, quello della materia, ha una segreta rivelazione spirituale e divina da fare a chi la sa cogliere; ma quest’altro mondo, che è l’uomo, impegnato nel suo lavoro, carico di fatica e pieno lui stesso di sentimenti, di pensieri, di bisogni, di stanchezza, di dolore, quale sorte trova qui dentro? Qual è, in altri termini, la condizione del lavoratore impegnato nella organizzazione industriale? Sarà macchina anche lui? Puro strumento che vende la propria fatica per avere un pane, un pane per vivere; perché prima e dopo tutto, la vita è la cosa più importante d’ogni altra. Ma l’uomo vale più della macchina e della sua produzione. Sappiamo bene tutte queste cose, le quali hanno assunto, nel tempo passato e ancora assumono nel tempo nostro, una importanza nuova, immensa, predominante».
Cosa possiamo dedurre da queste parole? Che la grave situazione ecologica e le condizioni lavorative nello stabilimento dell'allora Italsider erano già sotto gli occhi di tutti e da tempo, ma si è fatto sempre finta di niente: hanno fatto credere ai tarantini che avrebbero potuto vivere solo grazie all'industria pesante, e che dunque avrebbero potuto sopportare di tutto pur di mantenere il proprio lavoro. Giovanni Paolo II parlò della possibilità dello sviluppo del settore terziario, connesso all'agricoltura ed alla ricchezza del nostro mare.
Invitò "tutti uno sforzo di rinnovata analisi e di creatività" per costruire un modello di sviluppo diverso e questo invito, andato disatteso per decenni, è ancora valido e come associazione non ci stancheremo di stimolare le istituzioni in tal senso e i cittadini e le associazioni a esser protagoniste di questo processo di cambiamento, prima culturale e poi economico.
La riflessione che ne scaturisce è che per colpa di una classe politica ignava e corrotta si è perso troppo tempo. Non si sono costruite negli anni alternative valide, e per questo ad oggi, nonostante sia noto all'Italia intera che quell'industria uccide, ancora tantissimi Tarantini giustificano la sua presenza perchè non riescono a vedere altro oltre quei camini. Il nostro compito come cittadini consapevoli adesso dev'essere quello di non perdere più tempo e, anche di fronte ai vari tentativi spudorati da parte del Governo di salvare l'Ilva ed il sistema che essa rappresenta, quello di continuare a denunciare, ad informare perchè nessuno più di fronte all'evidenza abbia il coraggio di negare.
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