La "monnezza"
La "monnezza" tracima, ingorga strade e piazze, travolge la politica, spezza la vita quotidiana. E, sotto le detonazioni dell'emergenza, racconta la bulimia della società dello spreco e dell'indigestione. Città avvolte nei rifiuti, campagne impaludate di scorie di ogni genere, territori bucati e triturati e scavati e quindi rimpolpati di veleni. Cassonetti dell'immondizia dati alle fiamme, discariche esaurite per rifiuti inesauribili, chimica dissimulata che concima la terra, amianto che riposa sotto il cespuglio, mercurio che misura la febbre ambientale, fanghi che fermentano, cave abusive che diventano pattumiere non protette, inceneritori che fumano diossina, inquinamento delle falde. Tessere di un delirio post-moderno, la deriva di una urbanizzazione senza progetto e senza vincoli, il rendiconto amaro di una economia orfana di ecologia, di uno sviluppo senza qualità, di un benessere spoglio di contenuti etici e sociali. La crisi campana è il riassunto nazionale di tutta una storia del capitalismo, della sua versione edilizia e meridionale, della sua complice compromissione con i sistemi criminali. Eppure colpisce che l'implosione di un intero territorio, il suo corale rifiuto dei rifiuti, venga esposto nelle rubriche di cronaca e di folclore. Al massimo corredato da risse politiche locali. Come se lì non ci fosse, in quella inondazione di sacchetti di plastica e di rottami, l'epifania dell'Italia reale, la rivelazione di una frattura profonda tra valori e interessi non più componibili nella ragnatela delle vecchie clientele e delle cattive compensazioni (tu mi dai territorio da saccheggiare, io ti do lavoro nero e ricchezza drogata).
Dovremmo togliere dallo sfondo, in cui rischiano di evaporare, quelle domande di fondo che il corto-circuito del ciclo dei rifiuti propone: sulle forme stesse, e sui contenuti, della produzione; persino sul modello di civiltà che questa crisi svela o che rivela: follia di un Capitale che avvelena i pozzi della vita. Eccola l'umanità ridotta a tubo digerente e collocata nel tempo di una mercificazione globale e totalitaria: rischia di finire col nutrirsi dei propri medesimi rifiuti. Cannibali e coprofagi. Naturalmente il risvolto della "grande abbuffata" è la immensa fame, la povertà incommensurabile, l'anoressia obbligatoria di tanto, troppo mondo. Ma a questo livello si interrogano solo il movimento no-global e gli acchiappa-nuvole. I gestori della governabilità, invece, si occupano di sfornare ricette empiriche, delibere concrete, atti amministrativi utili a fuoriuscire dai cunicoli emergenziali. Che poi, detto in soldoni, si riducono a due scelte complementari: discariche o inceneritori. Magari promuovendo dibattiti domenicali sulla raccolta differenziata. Ma il lunedì torna la discarica, il martedì l'inceneritore, e nell'agenda dei giorni feriali scompare quel carattere strategico (in termini ambientali ma anche economici) della raccolta differenziata che si riduce ad essere poco più di una cartolina illustrata. E dunque pare che si tratti di decidere di che morte morire: se avvelenati via terra o via aria, in entrambi i casi con soluzioni di cortissimo respiro e sempre, almeno in Campania, governate dalla camorra.
Eppure l'emergenza rifiuti non precipita sul governo come un cataclisma, non determina la convocazione d'urgenza delle Camere, non invade il recinto della polemica tra gli schieramenti. Piuttosto il calcio, con le sue società miliardarie e fallite, con i suoi stadi sequestrati dai manipolatori di ultras, con i suoi autogol speculativi e finanziari: su questo Berlusconi sente l'urgenza di firmare uno scandaloso decreto. Qui in fondo c'è lo spettacolo, lì solo mondezza. Qui c'è il calcio-mercato e il suo indotto elettorale. Lì c'è uno spicchio di economia criminale e le contraddizioni di un Sud malato e gonfio di scorie. Un Sud condannato all'emergenza. Che poi non è tale: più che di una emergenza si tratta in realtà di una insorgenza di ciò che cova da decenni nelle viscere dei nostri territori. Più che di commissari straordinari che rendano ordinario lo straordinario e che, di emergenza in emergenza, replichino il film dei palliativi e delle sconfitte, più che di scelte militari o di decisioni miracolose, ci sarebbe bisogno di una politica di lungo respiro, di una strategia alternativa: che sappia investire sulla cura dell'ambiente, sulla trasformazione-differenziazione dei rifiuti, su sistemi innovativi di produzione agricola e industriale, sul recupero e sul riuso urbano, sul riassetto idro-geologico. E dunque le immagini televisive delle città-pattumiera di questi giorni, che sembrano la cupa incarnazione di visioni felliniane, dicono di un elemento ormai strutturale e permanente. La novità c'è, ma non consiste nello straripamento dei rifiuti, bensì nella generalizzazione del rifiuto, cioè nella intensità della protesta sociale che sta divampando in pezzi significativi di Mezzogiorno. Scanzano ha fatto scuola. Le comunità meridionali non credono più alle favole e non accettano più un destino di veleni e discariche. Disobbediscono a chi li vorrebbe sommersi di immondizia e autoritarismo. Al contrario, per governare razionalmente ed ecologicamente il ciclo dei rifiuti occorre mettere insieme comunità e competenze, soggetti orizzontali e responsabilità verticali, liberando il percorso della produzione e dello smaltimento di rifiuti dalla presenza protagonistica dei clan e delle camorre. Una grande battaglia di sviluppo e di legalità, assai lontana dall'orizzonte del berlusconismo di periferia, capovolta rispetto alle ansie speculative di classi dominanti che hanno svenduta la "res publica".
E ancora "monnezza". Quella vera: che ci assedia, ci soffoca, sembra riprodursi per partenogenesi. Quella metaforica: di un governo amico degli affari, dei condoni, delle sanatorie che feriscono, delle imprese senza regole, delle clientele affamate di appalti e di prebende. Quella culturale: di una globale resistenza a vedere e a sentire lo stress dell'ambiente planetario, l'infarto ecologico che cova nella congestione metropolitana o nel buco di ozono, l'entropia che non viene misurata da nessuna quotazione borsistica e da nessun indice mibtel. Ariano Irpino o Aversa sono svincoli della geo-politica dei rifiuti: non sono micro-storie, ma la mappa del mondo. E noi siamo viaggiatori perduti sulle rotte fumogene della grande discarica: che è l'illusione di una crescita illimitata e di una illimitata disponibilità di risorse da predare. Dietro l'angolo dell'eden consumista, oltre tutte le dogane della globalizzazione liberista, c'è un inferno di polveri e fanghi, di liquami e sacchetti di plastica. La "monnezza" che avanza…
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