Ilva, l'incubo dei risarcimenti a valanga
La sentenza è rivoluzionaria. Il Quotidiano, con un articolo a firma di Mario Diliberto, ci informa che il proprietario di una casa del quartiere Tamburi ha fatto causa al colosso siderurgico. Il giudice Pietro Genoviva, presidente della terza sezione civile del Tribunale di Taranto, ha accolto la richiesta di risarcimento del danno per una casa di novanta metri quadri in via Mannarini. Questo potrebbe essere un caso pilota di un’ondata di richieste di risarcimenti. Vi sono infatti altre 149 cause di questo tipo. Dobbiamo purtroppo constatare come non sia stato il sindaco di Taranto a chiedere il risarcimento per l’intera collettività ma un privato cittadino. Il risarcimento poggia su una semplice constatazione economica: il deprezzamento del bene casa. Per il perito del tribunale oscilla in un intervallo che va dal 25 al 32%. Il giudice ha valutato cautelativamente un risarcimento del 20% del valore dell’abitazione, oltre agli interessi.
A supportare le ragioni del proprietario è stata portata la sentenza della Corte di Cassazione che “ha certificato che la fabbrica è capace di rovesciare ogni anno su Taranto 21 mila tonnellate di polveri inquinanti”, scrive Mario Diliberto.
Lo stabilimento Ilva di Taranto è una sorgente di emissioni che provoca costi esterni fino ad ora non quantificati. Solo l’European Environment Agency, ossia l'Agenzia Europea dell’Ambiente, ha fatto un calcolo e ha stimato che il danno alla salute e all'ambiente provocato dall’Ilva sarebbe valutabile tra i 283 e i 463 milioni di euro all’anno.
(Fonte: http://www.eea.europa.eu/media/newsreleases/industrial-air-pollution-cost-europe)
Adesso il futuro dell’Ilva non è più solo popolato dalle incertezze sui fondi che mancano per mettere a norma gli impianti. Non è solo reso incerto dai costi delle bonifiche dei terreni che potrebbero ricadere sull’azienda nel caso in cui venisse ricontrata sul suolo e nella falda l’impronta degli inquinanti siderurgici. Adesso il principio europeo “chi inquina paga” potrebbe scatenersi con una valanga inarrestabile di risarcimenti privati. Questa è la notizia. Ed è esplosiva per una città che attende sbigottita l’ennesima legge per sanare “ope legis” una fabbrica fuori norma. Una fabbrica che paradossalmente non è a norma con la stessa prima legge “Salva-Ilva” del dicembre 2012. Quella legge avrebbe dovuto garantirne la continuità produttiva in parallelo all’ammodernamento degli impianti. Invece l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), in essa era incorporata, non è stata rispettata e importanti prescrizioni sono disattese. Adesso la nuova legge stabilirà che l’Ilva può produrre anche se rispetta solo il 70% delle prescrizioni dell’AIA. Un assurdo per l’Europa, una sanatoria per l’Italia. Ma non vi potrà essere nessuna legge che potrà salvare l’Ilva dalla valanga dei risarcimenti che i privati cittadini potrebbero da ora in poi richiedere e ottenere.
Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink
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