Ilva sfida Bruxelles
I risvolti di questa recente sanatoria sono molteplici, con importanti conseguenze a livello nazionale ed europeo, che vanno ben al di là della realtà locale di Taranto.
Il primo punto che desta preoccupazione riguarda la flagrante violazione della direttiva europea IPPC (Riduzione e Prevenzione Integrate dell’Inquinamento) e la sua applicazione nel diritto italiano perché, se la direttiva obbliga il governo alla messa a norma degli impianti inquinanti di Taranto attraverso il rispetto dell’AIA (autorizzazione intergrata ambientale), tuttavia con la legge n. 6 si autorizza l’ILVA a non attuare il 20% delle prescrizioni dell’AIA stessa e quindi della direttiva IPPC.
Il comma d dell’articolo 7 sancisce, infatti, che gli stabilimenti di Taranto potranno continuare a produrre anche solo avendo avviato l’adozione dell’80% del numero complessivo delle prescrizioni. In quel 20% di prescrizioni esentate a priori, l’ILVA ed il governo – che controlla e dirige ILVA attaverso la struttura di commissariamento- potranno includervi prescrizioni importanti quali la copertura del parco minerali o la riduzione delle emissioni non controllate della cokeria, che hanno degli effetti potenzialmente molto pericolosi sulla salute della popolazione, dimostrati negli studi scientifici e nelle perizie del Tribunale di Taranto.
Il governo ha deciso quindi di porsi al di là del rispetto della legge e della direttiva europea IPPC e di andare anche contro la sentenza della Corte Costituzionale di maggio scorso (n.85/20) che, nel sancire la persistenza del vincolo cautelare sulle aree ed impianti dello stabilimento ILVA posto sotto sequestro il 25 luglio 2012, ha riaffermato che “l’attività produttiva è ritenuta lecita alle condizioni previste dall’AIA riesaminata. … la cui inosservanza deve ritenersi illecita e quindi perseguibile ai sensi delle leggi vigenti”.
La produzione dell’ILVA sarebbe dovuta quindi avvenire nel rispetto strettissimo dell’AIA, che ha il valore di costante condizionamento della prosecuzione dell’attività produttiva alla puntuale osservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzativo. La deviazione da tale percorso di adeguamento, deve ritenersi illecita e quindi perseguibile ai sensi delle leggi vigenti. E qui la nuova legge n.6 ribalta di nuovo le regole e pone la struttura del Commissariamento al di là di ogni possibilità di perseguibilità penale in relazione alla non applicazione di misure previste dall’AIA: siamo all’articolo 7 comma 9-bis.
Il grave sbilanciamento nella tutela dei diritti in gioco risulta nuovamente evidente nel momento in cui l’ILVA dichiara di non poter mettere in atto l’AIA a causa di mancanza di fondi, questione che avrebbe dovuto costituire preciso compito della dirigenza ILVA e del governo italiano nel momento in cui venivano adottate le legge finalizzate a garantire allo stabilimento la piena attività.
Svuotata l’AIA di ogni sua importante prescrizione, relegata in un angolo la direttiva europea IPPC, protetta l’ILVA, garantita la struttura di commissariamento da ogni pericolo penale, assicurato lo status quo della produzione, la legge n.6 si concentra sulla questione della proprietà e delle garanzie che il governo italiano ancora una volta pone in essere a beneficio della famiglia Riva.
Perché l’Articolo 7 comma g sancisce la possibilità da parte del commissario ILVA di disporre delle somme poste sotto sequestro dalla magistratura italiana, nei diversi procedimenti penali in corso contro membri della famiglia Riva, anche in relazione a procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali, sempre- secondo la legge- ai fini dell’attuazione di un piano industriale che non esiste ancora.
Emilio Riva, Nicola Riva e Fabio Riva oltre ad essere indagati dal Tribunale di Taranto per “delitti contro la pubblica incolumità nonchè delitti contro Ia pubblica amministrazione e la fede pubblica, quali fatti di corruzione e di concussione, falsi e abuso d'ufficio”, sono anche indagati dal Tribunale di Milano per frode, truffa aggravata ai danni dello Stato.
Il 22 maggio 2013 il Tribunale di Milano aveva posto sotto sequestro 1,2 miliardi di euro, in merito ad un’indagine su una maxi-evasione fiscale per indebita sottrazione di risorse finanziarie dalle casse dell’azienda.
Il 24 maggio 2013 il Gip di Taranto firmava altresi’ il decreto di sequestro per equivalente di beni per 8,1 miliardi di euro, la stima formulata dai custodi giudiziari del costo totale degli interventi necessari alla messa a norma degli impianti dell’area a caldo. La nuova legge stabilisce che quei fondi posti sotto sequestro dalla magistratura italiana possono tornare nella mani del Commissario ILVA. Ricordiamo pero’ che dal 4 giugno 2016 l’ILVA tornerà nelle mani della proprietà - secondo la legge 3 Agosto 2013 n.61, che stabilisce il Commissariamento per un periodo di massimo 36 mesi- e quindi i beni della famglia Riva saranno di nuovo al sicuro nelle casse di ILVA S.P.A.
La nuova legge sancisce anche che « quei fondi che non sono utilizzati devono poi tornare nelle mani del sequestro», ma una volta impegnate le somme nell’avvio del progetto di un’opera qualsiasi, da realizzarsi in tempi non meglio specificati, de facto le somme impegnate non potranno tornare sotto sequestro.
Nell’attesa della messa a norma dello stabilimento, dell’avvio dei lavori delle prescrizioni AIA, nell’attesa del piano ambientale, del piano industriale, Taranto viene offesa nuovamente con una proposta inutile quanto macabra da parte del governo: lo screening gratuito delle malattie.
Mentre all’ospedale oncologico Moscati di Taranto, che dovrebbe presidiare tutte le attività oncologiche della città e della provincia, la mancanza di risorse é arrivata al punto tale da indurre la sospensione del trasporto degli ammalati dalla città all’ospedale.
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