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Per una teoria dei Beni Comuni

Seminario organizzato da: Comitato Beni Comuni di Monza e Brianza
Laura Tussi26 febbraio 2014

Per una teoria dei Beni Comuni: seminario organizzato da Comitato Beni Comuni di Monza e Brianza

Per una teoria dei beni comuni

Seminario organizzato da:

Comitato Beni Comuni di Monza e Brianza

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Ospiti veramente d’eccezione a Monza per il seminario intitolato “Per una teoria dei beni comuni” organizzato dal Comitato Beni Comuni di Monza e Brianza. Due ore e mezza, naturalmente, non possono bastare per affrontare una tematica che in quest’ultimo periodo sta assumendo un’importanza drammatica per quello che riguarda il nostro presente e il nostro futuro, visti i continui assalti delle varie lobby dei privati (banche, finanza, multinazionali, imprenditori, etc…) appoggiate dal politico di turno ai beni della collettività.

Grazie però alla straordinaria presenza di oggi abbiamo potuto capire qualcosa di più, al di là, una volta tanto, dei semplici slogan spesso usati e abusati.

Paolo Maddalena è un giurista e magistrato italiano, esperto di diritto romano, di diritto amministrativo e costituzionale che si è dedicato, sin dagli anni settanta, allo studio del diritto ambientale. I primi giorni di marzo uscirà il suo ultimo libro, “Il territorio bene comune degli italiani”, e nel suo intervento, in qualche modo, abbiamo avuto un’anticipazione dei contenuti.  Val la pena rivedere tutto il suo intervento di 45 minuti prima di tutto perché sono stati intrisi della “bellezza della cultura” e sappiamo bene quanto manca la profondità culturale nel linguaggio della comunicazione moderno.

Maddalena ci ha ricordato che “Noi abbiamo il miglior sistema giuridico esistente nel mondo, il sistema romano-germanico, cioè quello del diritto romano” , ma “oggi c’è un grande squilibrio nella mente dell’uomo, che è anche uno squilibrio enorme che c’è nel territorio. Tutto appartiene a privati: ma che sta succedendo?” Capire quindi perché privatizzare è una cosa sbagliatissima è fondamentale per capire quello che sta succedendo. “L’Italia esiste perché esiste un patrimonio paesaggistico e culturale enorme: è mai possibile che nessuno ha mai pensato che questa terra è nostra?” Maddalena ci ha spiegato quali sono i fattori produttivi della ricchezza. “La nostra ricchezza è l’Italia, è tutto quello creato dall’uomo, la terra, le industrie, i beni culturali, il sistema economico che abbiamo creato. [...] Se noi seguiamo le politiche di togliere a tutti e dare a pochi noi ci impoveriamo. I fattori che producono ricchezza sono il territorio, cioè le risorse della terra, e il lavoro dell’uomo. Le risorse della terra le ha distrutte la speculazione edilizia, il lavoro lo distrugge la speculazione finanziaria”. Ma Maddalena ci spiega subito dopo che il problema è stato risolto nel 1948 dai nostri padri costituenti e torniamo sempre alla grandezza della nostra Costituzione, che, forse, è il bene comune più grande che abbiamo. Ma Maddalena ha fatto di più, ci ha fatto capire la genesi della Costituzione attraverso la storia, riportando nel loro contesto vero originale il significato delle parole oggi usate spesso a sproposito: cos’è lo stato? Cos’è il territorio? Cos’è la sovranità del popolo? Come nasce il principio di appartenenza  del territorio? Come si fa a far appartenere pezzi di territorio, res publica, a privati? Tutto parte dal diritto romano. Seguendo la storia, con un racconto affascinante, Maddalena ci porta a capire alla fine che “è una favola che  il diritto di proprietà è anche diritto di costruire”, ma è solo un’invenzione del periodo borghese. “La costituzione repubblicana (art. 42) dice che la legge riconosce e garantisce la proprietà privata allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Se non esplica la funzione sociale, non c’è più la tutela giuridica.” Concludendo, “se il territorio appartiene a tutti anche la modifica del territorio appartiene a tutti, è il popolo che può stabilire se il territorio si può modificare e l’urbanizzazione è una grossa modifica del territorio. [...] Occorre una revisione generale di tutto il tema della proprietà e il legislatore ha il dovere di adeguare queste norme alla Costituzione.” L’applauso finale è poi esploso quando il giurista ha auspicato un’unica vera grande opera pubblica, che sia quella della ricostituzione dell’equilibrio idrogeologico dell’Italia.

L’intervento successivo di Paolo Berdini, urbanista, autore di saggi di denuncia dell’urbanistica contrattata e della cultura dell’abusivismo, ci ha aiutato a mettere a fuoco cosa è accaduto nell’ultimo ventennio nel campo dell’urbanistica. Berdini ci riconduce a una legge del 1942 che dice che la pianificazione urbanistica sta in capo al consiglio comunale, mentre ai cittadini spetta il potere di fare delle osservazioni. Nell’ultimo ventennio, “il potere della pianificazione passa dal consiglio comunale all’amministrazione politica, cioè quelli che stanno attorno al sindaco”. C’è la legge del 1993 che affida unici poteri al sindaco, eletto dal popolo, cancellando di fatto in seguito tutti gli organismi di controllo: “è lui che decide i dirigenti del comune che devono dire sì al programma”, facendo un riferimento alla lottizzazione avvenuta in Porta Garibaldi a Milano. “L’economia ha preso in mano le redini della città” e qual è stato il risultato? Oltre alla devastazione del paesaggio, le città stesse stanno fallendo nei debiti, vedi Alessandria, vedi Parma, la stessa Roma (16 miliardi di debiti!), Napoli, Genova. Per chiedere conto a chi ha portato a questo disastro, dobbiamo tener conto di tre elementi: “primo elemento è che la città è un bene collettivo; secondo elemento, chi ha detto che dobbiamo vendere le proprietà pubbliche? Terzo elemento è il passaggio della partecipazione insito nella legge del 1942, che deve diventare il pilastro del controllo della cittadinanza e non essere svuotato come ora”

Durante l’intervento di Paolo Berdini non abbiamo potuto fare a meno di notare la presenza dell’assessore di Monza Colombo, protagonista assieme al sindaco-re Scanagatti di questa ennesima fase di cementificazione non regolamentata nè tanto meno partecipata. Diciamo solo che lo abbiamo visto andare via subito dopo, probabilmente a preparare i prossimi 5 piani di integrati di intervento contrattati col privato e privi di qualsiasi partecipazione condivisa della cittadinanza.

Il giornalista Luca Martinelli, uno dei fondatore del forum Salviamo il Paesaggio, ci ha ricordato la questione NOTAV e la disinformazione sistematica dei giornali, volta a far passare sotto silenzio l’utilità reale dell’opera. “L’informazione nel nostro paese è tremendamente controllata da un editore occulto, gli inserzionisti pubblicitari, a cui si aggiunge spesso l’editore in carne e ossa, che ha interessi economici rilevanti e impedisce di avere accesso a un certo tipo di informazione soprattuto su deterinati temi”. Martinelli ci ha ricordato poi l’altra grande opera in costruzione, l’autostrada Orte-Mestre, progetto approvato dal CIPE che non potrà più essere sottoposto a nessuna valutazione di impatto ambientale, pur attraversando diversi siti di interesse naturalistico. Anche qui, i grandi giornali non ne parlano mai. Oltretutto, Martinelli ci ha fatto notare come queste grandi opere siano spesso finanziate dalla Cassa Depositi e Prestiti, che utilizza il nostro risparmio postale. Questo soggetto, unica banca con soldi in questo momento, usa i soldi per fare tutto tranne il bene comune, non investe nell’edilizia residenziale pubblica, investe nelle infrastrutture impattanti sul territorio, addirittura entra nel capitale (100 milioni di euro) di Finiper, una società che gestisce ipermercati Iperi e Unes. invece di investire, per eeempio, le sue risorse per rafforzare processi sul territorio locale che promuovono l’economia solidale, progetti di filiera corta.

Prende la parola poi Riccardo Santolini, biologo, ricercatore in Ecologia presso l’Università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, presidente della SIEP-IALE (Società Italiana di Ecologia del Paesaggio). Santolini mette in relazione ecologia, paesaggio ed economia, cercando di far capire che “il nostro territorio ha delle soglie di sostenibilità”, soglie che vengono sistematicamente stravolte dalle cosiddette “varianti”, che non sono altro che decisioni prese di volta in volta per accontentare il privato di turno. Nello sviluppo sostenibile debole, tutte le risorse sono sullo stesso piano (per cui anche un’autostrada può essere una risorsa), mentre nello sviluppo sostenibile forte riesce a definire quel limite oltre al quale si limita il benessere e la qualità di vita dei cittadini. “L’inquinamento dell’aria, causato dall’aumento del traffico, viene alienato dalle modalità con cui gestiamo la nostra città...Il dirigente della regione dell’Emilia Romagna ha dichiarato che se voi continuate a costruire le città in questo modo io non riuscirò più a pagare i ticket per quel tipo di malattie”. Santolini ci spiega come “si sta cercando di stimare il valore economico delle funzioni ecologiche che quel bene induce su un sistema per la funzionalità di quel sistema”. In pratica si sta cercando di ribaltare il concetto economico inserendo il valore del capitale naturale.

L’ultimo intervento è stato quello di Domenico Finiguerra, già sindaco di Cassinetta di Lugagnano, noto per aver redatto un piano di gestione del territorio a consumo zero, nonché fondatore del forum Salviamo il Paesaggio. Finiguerra ci fa riflettere sul fatto che la preoccupazione sempre più crescente dei cittadini verso la devastazione del territorio non si sta ancora traducendo in progetto politico, ma ha a tutt’oggi un effetto devastante sul mondo del lavoro. 700 mila posti di lavoro si sono creati quando si è gonfiata la bolla immobiliare e quei posti non si recupereranno più, così come il territorio che è stato devastato. Questi posti vanno recuperati in parte con la riconversione ecologica dell’edilizia, ma soprattutto invertendo il nostro modello produttivo. Anche l’agricoltura stessa va riconvertita, ma quanto meno è l’unica cosa, la terra, che non si può delocalizzare, come avviene invece per le nostre fabbriche. Territorio e lavoro: il lavoro va ricercato nelle cose che proprio oggi, guarda caso, ci vogliono privatizzare: la terra, i beni culturali, il paesaggio, i servizi. “Dobbiamo recuperare posti di lavoro creando nuovi beni comuni: opere di cura del territorio, per esempio.” Finiguerra sottolinea anche lui come l’informazione dominante crea comunque un muro di fronte a certi argomenti e come sia difficile raggiungere la massa delle persone.

Come sinteticamente abbiamo descritto, è stato un seminario di informazione e formazione di qualità straordinaria e, come comitato Beni Comuni di Monza e Brianza

siamo molto orgogliosi di averlo organizzato e di poterlo divulgare attraverso le nostre registrazioni video, invitando ciascuno a diffondere questi temi e queste sensibilità il più possibile.

 


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