Anche le briciole hanno il copyright
L'India è travolta da un'epidemia di biopirateria: le corporation globali stanno brevettando le biodiversità indigene e i saperi tradizionali. Prima c'è stata la pianta del neem, poi il riso basmati. Ora il nostro frumento, il nostro «atta» (farina di frumento integrale), il nostro «chapatis» (pane schiacciato, non lievitato) sono stati brevettati. La Conagra, il gigante agroalimentare statunitense, ha ottenuto il brevetto No. 6.098.905 per l'«atta» nell'agosto 2000. Nel 1996, la Unilever e la Monsanto hanno ottenuto un brevetto (EP 518577) perché sostenevano di avere «inventato» l'uso della farina per fare dei tipi tradizionali di pane indiano come il chapatis. Il 21 maggio 2003, l'ufficio europeo brevetti di Monaco ha rilasciato un brevetto con il numero EP 445 929 e il semplice titolo «piante». Proprietaria del brevetto è la Monsanto, meglio conosciuta come il maggiore commerciante mondiale di piante geneticamente modificate. Il brevetto copre il frumento che presenta una speciale qualità di cottura con scarsa elasticità. Il frumento con queste caratteristiche è stato creato originariamente in India; ora la Monsanto ne detiene il monopolio per la coltivazione e i processi di lavorazione.
La biopirateria è sbagliata sia giuridicamente che eticamente. Permettendo che delle innovazioni indigene siano trattate come «invenzioni» del proprietario del brevetto, questi brevetti rappresentano un vero e proprio furto dei risultati scientifici, intellettuali e creativi conseguiti dall'India, e devono essere combattuti. Le conseguenze economiche sono gravi. A breve termine, un brevetto pirata ci deruba dei mercati d'oltremare per i nostri prodotti unici. A lungo termine, se questi trend non saranno contrastati e i sistemi di regolamentazione dei diritti sulla proprietà intellettuale non saranno cambiati in modo da impedire la biopirateria, ci troveremo a pagare le royalties per ciò che ci appartiene e ci è necessario per la sopravvivenza quotidiana.
Se i casi di tali infondate pretese fossero solo uno o due, essi potrebbero essere attribuiti a semplice errore. Ma le cose non stanno così. Il problema è radicato e sistematico e richiede un cambiamento radicale e sistematico, non interventi episodici. Lungi dall'essere un'aberrazione rispetto ad esso, la promozione della pirateria è intrinseca al sistema Usa dei brevetti. I regimi che regolano i diritti sulla proprietà intellettuale nel contesto della liberalizzazione del commercio diventano strumenti di pirateria a tre livelli:
1. La pirateria delle risorse in cui le risorse biologiche e naturali delle comunità e della campagna sono prese liberamente, senza riconoscimento o permesso, e sono usate per costruire economie globali. Ad esempio, il trasferimento di varietà basmati di riso dall'India per costruire l'economia del riso delle corporations americane come RiceTec per l'esportazione.
2. La pirateria intellettuale e culturale in cui l'eredità culturale e intellettuale delle comunità e della campagna viene presa liberamente, senza riconoscimento o permesso, ed è usata per pretendere i diritti sulla proprietà intellettuale come brevetti e marchi registrati, anche se l'innovazione e la creatività originarie non sono avvenute per mezzo di un investimento delle corporation. Ad esempio, l'uso del nome registrato «basmati» per il loro riso aromatico, o l'uso del nome registrato «Bikaneri bhujia» da parte della Pepsi.
3. La pirateria economica, in cui ci si impossessa dei mercati interni e internazionali attraverso il ricorso a nomi registrati e a diritti sulla proprietà intellettuale, con la conseguente distruzione delle economie locali e nazionali dove è avvenuta l'innovazione originale e la cancellazione dei mezzi di sostentamento e della sopravvivenza economica di milioni di persone: ad esempio, i commercianti di riso americani che hanno sottratto i mercati europei ai piccoli produttori indiani di bio-pesticidi a base di neem, e la Grace che ha sottratto loro il mercato americano.
Un brevetto viene rilasciato come diritto esclusivo per le invenzioni che soddisfano i criteri di novità, non-ovvietà, e utilità. Il sapere tradizionale e le innovazioni collettive e cumulative che esso incarna, evidentemente, non si qualificano come «novità». Modifiche insignificanti e scontate che possono essere apportate da persone esperte nel campo dell'innovazione violano il requisito di non-ovvietà e dunque non dovrebbero essere brevettabili. Il brevetto pirata registrato dalla RiceTec sul basmati e il brevetto pirata registrato dalla Monsanto sul frumento sono entrambi stati ottenuti ricorrendo a modifiche insignificanti e scontate di varietà di piante uniche indiane con caratteristiche uniche, per poi pretendere i diritti totali sulle caratteristiche, sulle proprietà, sui tratti delle piante e dei prodotti da esse derivati.
Le pretese decisive in merito al brevetto riguardano il frumento «soft-milling» in cui i geni rilevanti sono assenti o inattivi. Il brevetto significa di fatto il monopolio sulle caratteristiche genetiche delle piante Nap Hal e su tutte le piante di frumento che sono incrociate con questa varietà indiana. Inoltre, esso copre la farina ottenuta da questo frumento, la «pasta prodotta con la farina» e «biscotti o simili, prodotti con la farina». Nel suo brevetto, la Monsanto ha sbagliato il nome della varietà di frumento, chiamandolo «Na phal» che in Hindi significa «nessun frutto». Invece di identificare correttamente il frumento con il nome sbagliato e di contrastare la biopirateria, il parlamento e i tribunali indiani hanno sostenuto e difeso la biopirateria della Monsanto. Così l'India sta perdendo la sovranità sulle sue sementi, sulla biodiversità e sulle innovazioni collettive che in esse si sono concretizzate. Inoltre sta perdendo l'accesso ai mercati europei per i prodotti derivati dal frumento con qualità uniche offerte dai nostri frumenti tradizionali, che sono molto richiesti.
Se non lo impediremo, il brevetto pirata sul frumento trasformerà la preghiera «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» in una supplica alla Monsanto.
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