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Imprese pirata all'arrembaggio della vita

"Il mondo sotto brevetto"

Vandana Shiva Ed.Feltrinelli
30 marzo 2004
Benedetto Vecchi
Fonte: www.ilmanifesto.it
2.11.02

Il copyright, i brevetti e i marchi aziendali sono strumenti indispensabili per garantire la crescita economica, anche se riguardano la biodiversità e il Genoma umano. Lo affermano gli apologeti della globalizzazione. Lo contesta la fisica e ambientalista indiana Vandana Shiva nel volume «Il mondo sotto brevetto»

Alcuni anni fa una trasmissione televisiva italiana da prima serata ebbe un particolare successo mettendo sotto i riflettori inventori di marchingegni spesso futili. Ne usciva fuori un quadro di travet frustrati che la sera, in qualche scantinato, si gettavano con passione su circuiti stampati, tubi, bielle e cuscinetti a sfera per mettere a punto prototipi che avrebbero alleviato le fatiche del vivere di noi poveri mortali, incuranti della fatica delle loro compagne e mogli intente nel preparare la cena o a mandare avanti la carretta. Così l'Italia si scoprì essere, oltre che terra di poeti, santi e navigatori, anche nazione di inventori. La trasmissione faceva sua l'aura del solitario artigiano o dello scienziato autodidatta che dedica il proprio tempo libero alla produzione di quel manufatto a cui tutti avevano pensato, ma che tutti avevano ritenuto impossibile da realizzare. Insomma, un'idea romantica della ricerca scientifica e delle sue applicazioni tecnologiche. Senza scomodare nessun classico, per rendersi conto che la realtà è ben diversa basta leggere le pagine che la fisica e militante ambientalista Vandana Shiva ha scritto per denunciare le strategie delle multinazionali farmaceutiche o agro-alimentari (la distinzione tra i due settori è tanto labile da confermare il sospetto che in relatà siano la stessa cosa) nel mettere sotto brevetto la bio-diversità, cioè quei saperi antichi, usanze e costumi dei popoli indigeni che costituiscono la terra di conquista per imprese famose come la Monsanto o meno note come la W.R. Grace.
Il volume si intitola Il mondo sotto brevetto (Feltrinelli, pp. 140, ? 9) ed ha le caratteristiche del saggio propedeutico a un tema tanto sfuggente, quanto determinante nel comprendere l'attuale capitalismo. Si tratta della proprietà intellettuale e di una delle forme specifiche che assume, i brevetti.
Vandana Shiva è nota per il suo impegno a fianco dei contadini indiani. Fisica di formazione ha anche conseguito una specializzazione in economia come recita il suo biglietto da visita, ma forse più importante è stato il suo ruolo all'interno di quella rete costituita da piccoli agricoltori e contadini che, in India, da tempo «resiste» alle strategie delle grosse corporation che hanno cercato, e cercano tutt'ora, di spossessarli della loro autonomia per renderli parte integrante di una rete produttiva da loro controllata ed eterodiretta. Un libro, quindi, che non dice niente di innovativo, né di teoricamente arguto. Più semplicemente, e quindi con indubbia efficacia, esamina un tema, quello della proprietà intellettuale, evidenziando il fatto che la scienza, la tecnologia e la legislazione in difesa della proprietà intellettuale sono fenomeni centrali nello sviluppo capitalistico, contribuendo a determinare le «geometrie dell'imperialismo». O, se si preferisce, i rapporti tra centro e periferia dell'economia mondiale, come ci ricorda la controversia legale tra lo Stato del Sudafrica e alcune multinazionali farmaceutiche dopo che Pretoria aveva deciso di ignorare i brevetti per produrre e vendere a prezzi «popolari» farmaci anti-Aids.
Le teste d'uovo della globalizzazione difendono la proprietà intellettuale perché: a) garantisce la crescita economica; b) copyright e brevetti sono indispensabili perché il pagamento delle royalties consente gli investimenti nella ricerca; c) la legislazione a tutela della proprietà intellettuale rende infine possibile il trasferimento di tecnologia dal Nord al Sud del mondo. Tre argomenti supportati dalle stime fatte da alcuni organismi internazionali (dalla World intellectual property organization all'Onu) sulla quota di scambi commerciali (il 50 per cento nel 1994) che riguardano brevetti, marchi di fabbrica, copyright, design industriale, disegni di circuiti stampati, le forme cioè assunte dalla proprietà intellettuale nella legislazione internazionale e nell'attività produttiva. Per quanto riguarda la competizione economica, i brevetti hanno consentito ad alcune imprese di stabilire un monopolio in un dato settore, cedendo in un secondo momento, e dietro il pagamento di roylaties, la possibilità ad altri di sfruttare «l'invenzione». Per quanto riguarda la ricerca scientifica, il grido di allarme lanciato dall'ex-presidente Bil Clinton e da Tony Blair sulla necessità di rendere pubblici i risultati della ricerca scientifica sul Genoma umano pena la paralisi del progetto di ricerca, la dice lunga sul ruolo propulsivo dei diritti delle proprietà intellettuale negli investimenti in «Ricerca e sviluppo». In altri termini, il copyright e i brevetti imbrigliano l'innovazione tecnico-scientifica. Questo, in sintesi, è ciò che sostiene Vandana Shiva ne Il mondo sotto brevetto.
Un libro dunque che fa il punto della situazione sul ruolo della proprietà intellettuale nello sviluppo capitalistico, ma che registra anche le novità, i punti di rottura, l'insorgenza politica della messa sotto brevetto della biodiversità. Per Vandana Shiva, il punto di svolta è la decisione della Corte Suprema degli Stati uniti di considerare il vivente alla stessa stregua di un'invezione. Era accaduto che i ricercatori della DuPont avevano trapiantato a un topo alcuni geni umani e di pollo in modo da causare il cancro. Il piccolo roditore è diventato famoso per il nomigliolo di oncotopo, ma quel che è rilevante è che il 12 aprile 1988 la massima istituzione giuridica statunitense abbia deciso che i risultati di quella ricerca fossero di competenza dello Us Patent Office, l'ufficio dei brevetti. La strada per la brevettabilità del vivente era stata dunque aperta. Per la fisica e militante ambientalista indiana, la vicenda dell'oncotopo, assieme alla controversia legale tra la General Electric e il Patent and Trademark Office americano sulla brevettabilità o meno di un batterio, sono da considerare non solo il punto di partenza della brevettabilità del vivente, ma anche della «biopirateria» delle grandi multinazionali nei confronti dei saperi, delle usanze della biodiversità che costituiscono la ricchezza di molti popoli indigeni nel sud del mondo.
Ma affinché il mondo venga messo sotto brevetto c'è bisogno di una decisione politica che lo permetta. Decisione politica presa, ricorda Vandana Shiva, nell'Uruguay Round e nel vertice mondiale sullo sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 e ratificata da tutti gli organismi sovranazionali, dal Fondo monetario alla Banca mondiale al Wto. Il grimaldello per forzare le legislazioni nazionali al fine di uniformarle è rappresentato, tanto per cambiare, dai Trips (trade related aspect of intellectual property rights), cioè dagli accordi relativi ai diritti sulla proprietà intellettuale definiti dall'Organizzazione del commercio mondiale. E tuttavia, in un movimento sincopato tra il presente e il passato, l'autrice introduce degli intermezzi per spiegare come opera la brevettabilità del vivente. Per quanto riguarda l'agricoltura accade che le sementi siano brevettate e manipolate geneticamente in maniera tale che risultino sterili i frutti. I contadini sono quindi costretti a ricomprare le sementi dalle stesse multinazionali. Se poi vengono brevettati varietà di riso indiano o alcune piante con proprietà medicinali, siamo di fronte, secondo quanto scrive Vandana Shiva, a veri e propri atti di biopirateria. Ín altri termini, non si spossessano i piccoli agricoltori solo con i brevetti sulle sementi, ma anche appropriandosi del sapere e dell'esperienza tramandate nei secoli. Ed accade che dopo quel «furto» c'è chi propone la «bioprospezione», cioè il pagamento di un risarcimento una tantum sulla rapina perpetuata nei loro confronti.
Il linguaggio di Vandana Shiva è a volte apodittico, ma questo nulla toglie al valore delle sue conclusioni politiche. Ad esempio, quando sostiene che la «bioprospezione, di fatto, porta alla 'recinzione' del patrimonio biologico e intellettuale collettivo, perché trasforma la biodiversità e il patrimonio intellettuale delle comunità indigene in merce protetta dai diritti di proprietà intellettuale» non trapela nessun atteggiamento antiscientifico, come spesso le viene addebbitato, ma semmai un invito agli scienziati a tutelare la biodiversità assieme agli «spossessati» (i popoli indigeni). Se una critica si può fare a Il mondo sotto brevetto riguarda il fatto che ciò che accade nel Sud non è molto diverso da ciò che accade nel Nord del mondo. Così è accaduto, senza necessariamente citare la realtà nota della produzione di software, che le università americane stanno mettendo sotto copyright corsi di apprendimento a distanza o che vogliano brevettare innovative procedure finanziarie. Oppure che il Wto inviti gli stati membri dell'organizzazione a privatizzare le istituzioni culturali e ad estendere il regime della proprietà intellettuale a quelle conoscenze che sono state considerate da sempre di pubblico dominio.
In altri termini, la proprietà intellettuale è cosa troppo concreta per lasciarla nelle mani dei giuristi. Il copyright, i brevetti, i marchi aziendali sono infatti gli strumenti attraverso i quali sono definite le feroci gerarchie sociali dell'economia mondiale tanto al Nord che nel Sud del pianeta. Ed è quindi giusto che questa materia venga nuovamente presa nelle mani di chi è espropriato del suo sapere, sia che si tratti di un contadino indiano che di un programmatore della Silicon Valley, di uno studente bolognese che di un ricercatore del Massachusetts Institute of Technology a Boston.

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