Relazione ARPA: Taranto è fuori pericolo?
1. Uno degli aspetti più evidenti è il calo delle polveri (PM10), che scendono a 27 microgrammi a metro cubo nella centralina di via Machiavelli, situata nel quartiere Tamburi di Taranto. Il limite di legge è 40. Siamo dunque al sicuro? Vorrei far notare a tutti che, per il PM10, i limiti suggeriti dall'Oms sono 20 microgrammi per metro cubo. Non solo. Le polveri di Taranto, ce lo spiega lo studio epidemiologico SENTIERI, hanno un impatto sulla salute 2,2 volte più alto rispetto alle polveri di Milano o Torino. E pertanto - moltiplicando i 27 microgrammi di via Machiavelli per 2,2 - otteniamo il valore preoccupante di 59,4 che è un numero che indica una pericolosità complessiva, associata alle polveri. E' un dato che ci spinge a dire che Taranto non è fuori pericolo. Questo significa che 59,4 microgrammi di Pm10 a metro cubo a Milano producono un impatto sulla salute paragonabile ai 27 microgrammi a metro cubo di Taranto Tamburi. Ma mentre a Milano 59,4 microgrammi a metro cubo di Pm10 fanno scattare l'allarme, 27 microgrammi a metro cubo a Taranto Tamburi fanno scattare paradossalmente una reazione di soddisfazione, come se non avessero alcun impatto sulla salute dato che non superano il limite di legge, mentre invece lo hanno, eccome. In altri termini non è solo la quantità delle polveri di Taranto che va valutata ma è anche la loro tossicità.
2. L'Arpa non fa la speciazione delle polveri, ossia l'analisi dettagliata e diversificata delle loro caratteristiche, creando un inventario delle polveri, disaggregando ad esempio la frazione più sottile e studiandone la pericolosità. Sarebbe importante capire cosa finisce nel sangue dei tarantini tramite la frazione più sottile delle polveri industriali. Il PM1 – dieci volte più intrusivo del PM10 – riesce ad arrivare fino in profondità negli alveoli polmonari e a oltrepassarli. Una volta oltrepassati gli alveoli, questo particolato finissimo entra in circolazione nel sangue. Questo particolato, tramite il flusso sanguigno, può arrivare nel fegato. Le nanoparticelle sono pericolosissime, arrivano persino nel cervello. Per cui pesare queste nanopolveri serve a poco, non pesano quasi nulla! Occorre invece la speciazione delle polveri. Le altissime temperature dei processi siderurgici (lo dimostrano gli studi fatti su nanoparticelle e su tessuti studiati al microscopio elettronico) possono produrre un particolato ultrasottile con potere di penetrazione nell'organismo, capace di oltrepassare le barriere biologiche.
3. Altra cosa che l'Arpa non fa è lo studio dei Nitro-Ipa. Gli Ipa sono gli idrocarburi policiclici aromatici, che calano soprattutto d'estate, e con essi anche il benzo(a)pirene. Tuttavia gli Ipa d'estate in realtà non spariscono ma si trasformano in Nitro-Ipa, che sono cancerogeni e mutageni non meno degli Ipa. Sarebbe auspicabile che l'Arpa studiasse anche questo aspetto che per ora rimane in ombra. E che lo studio del benzo(a)pirene fosse schermato dall'interferenza dell'ozono, come già chiedemmo.
4. In rapporto al 2010 la riduzione del PM10, si legge sulla relazione Arpa, è del 35%. Per il PM2,5 il calo è solo del 20%. Considerando che il PM2,5 può essere considerato un tracciante dell'inquinamento industriale, mi chiedo quali grandi risultati siano stati ottenuti, tenendo conto che la produzione dell'ILVA si è dimezzata.
5. Se con i dati 2010 i periti del Tribunale stimavano 30 decessi in più attribuibili all'inquinamento industriale, quanti decessi sarebbero correlabili a questi dati? Ipotizzando una diminuzione del 20% saremmo passati da 30 decessi annui a 24. E' accettabile? Ipotizziamo una diminuzione del 35%, in linea con la riduzione del Pm10, saremmo a quota 19-20. Saremmo passati da un decesso ogni 12 giorni a un decesso ogni 18 giorni attribuibile all'inquinamento industriale. Ipotizziamo pure che a una produzione dimezzata possa corrispondere un eccesso di mortalità dimezzato. Sarebbe un costo in termine di vite umane accettabile? E' bene specificare che stiamo solo facendo calcoli ipotetici e senza alcuna possibilità neppure di fare congetture plausibili, perché l'attendibilità scientifica potrebbe darcela solo un aggiornamento dello studio epidemiologico di Taranto. E fin tanto che non vi è un aggiornamento di quello studio realizzato per la magistratura, vale quello studio lì e basta. Il principio di precauzione rovescia l'onere della prova su chi inquina, non su chi è minacciato dall'inquinamento. Pertanto nessuno può oggi dire che siamo fuori pericolo, poiché ai dati dell'Arpa non corrisponde alcuno studio epidemiologico che certifichi una riduzione delle vittime dell'inquinamento tale da farla rientrare nella categoria dell'accettabilità (1 decesso in più ogni diecimila abitanti in un arco temporale di 70 anni). Oggi abbiamo ancora aree di popolazione esposte ad un rischio sanitario inaccettabile, fino a prova contraria. La Asl di Taranto e l'Arpa da tempo dicono di voler aggiornare lo studio epidemiologico dei periti del Tribunale, ma non lo hanno mai fatto. Eppure negli ultimi tre anni avevano tutto il tempo per farlo. L'aggiornamento è stato sempre annunciato nell'ambito del centro Ambiente e Salute ma non è stato realizzato. Perché?
6. I dati di Via Machiavelli (Tamburi) sono raccolti in posizione particolarmente distante dall'Ilva (quasi un chilometro) e sono comparati con dati di altre centraline posizionate in mezzo al traffico. Le comparazioni non sono appropriate in quanto comparano la centralina di via Machiavelli con quelle preposte a monitorare il traffico. Ne esce una fotografia della città in cui sostanzialmente l'inquinamento periferico è equivalente a quello del quartiere Tamburi e questa non è una fotografia rappresentativa della realtà. I tecnici dell'Arpa sanno benissimo che una centralina piazzata in un punto di traffico può fornire valori molto più elevati rispetto ad un'altra ubicazione indicativa della condizione abitativa della popolazione residente. Questo modo di fare le comparazioni offre una comparazione che risente di effetti distorsivi, offrendo alla fine un'immagine uniforme dell'inquinamento nella città.
7. L'Arpa dispone di una struttura di monitoraggio ad alta risoluzione temporale in grado di valutare l'inquinamento quando la città è sottovento rispetto all'area industriale, ma questo studio non viene effettuato e ci si limita alla registrazione dei valori medi, senza discriminare la direzione del vento. L'Arpa ha tutti gli stumenti e tutti i dati per dimostrare come si propagano gli inquinanti della cokeria a seconda della direzione dei venti. Ma non lo ha fatto. A che serve avere una rete che è in grado di monitorare l'inquinamento minuto dopo minuto se poi alla fine se ne traggono solo le medie? Perché non sono stati studiati i picchi in coincidenza con le varie fasi emissive della cokeria? E perché non è stato piazzato uno strumento di rilevazione dell'inquinamento sul piano coperchi della cokeria, collocando invece i monitor di rilevazione in postazioni che non sono rappresentative dei punti emissivi più consistenti? Sono domande lecite, a cui non otteniamo risposta da tempo.
8. Non sappiamo neppure perché non sia stato aggiornato lo studio Arpa del 4 giugno 2010, che attribuiva all'ILVA il 99,7% degli inquinanti cancerogeni dell'aria (gli Ipa) presenti in città. Oggi gli Ipa sono scesi a che percentuale? Non lo sappiamo. Dai nostri calcoli siamo scesi di un punto percentuale al massimo, ma vorremmo che fosse l'Arpa ad aggiornare quello studio che non piacque moltissimo né a Vendola né ad Archinà.
9. Il camino E-312 non è monitorato da Arpa per i metalli pesanti. Non è quindi stato svolto uno studio di queste emissioni. E' sorprendente che a Taranto le persone abbiano un eccesso di piombo nelle urine e che l'Arpa non abbia mai riscontrato nell'aria-ambiente valori elevati di questo metallo pesante, nonostante i livelli elevatissimi di emissioni dall'area Ilva. Occorre incominciare a capire il nesso fra quanto viene emesso, quanto ricade in città (e nelle campagne dove si coltiva frutta e verdura) e quanto, eventualmente, finisce nell'organismo tramite un monitoraggio biologico. A Taranto non si controlla se vi è piombo nell'insalata. A Taranto si movimenta una quantità di fossile tale che rende inaccettabile il non monitoraggio del mercurio nelle deposizioni.
10. Se l'Arpa volesse, oggi potremmo sapere di quanto diminuiscono gli Ipa a seconda del numero di batterie della cokeria fermate o degli altoforni spenti. Mi sembra utile osservare che gli impianti in funzione a Taranto nel 2014 erano 2 altoforni e 4 batterie della cokeria. A Genova hanno rifiutato un'area a caldo fatta di 2 altoforni e 3 batterie di cokeria. Vorrei capire perché a Genova tutto ciò era inaccettabile e a Taranto invece questo è considerato accettabile.
In conclusione la relazione 2014 sulla qualità dell'aria manca del dato fondamentale. Non risponde alla domanda: siamo in una situazione di pericolo sanitario? Non fornisce al Sindaco di Taranto l'elemento di giudizio per agire o non agire. Se l'Arpa nelle conclusioni avesse affermato che non vi è più una situazione di pericolo per la salute degli abitanti, attribuibile all'inquinamento industriale, che cosa accadrebbe se una nuova indagine epidemiologica chiarisse che l'inquinamento ha dimezzato i morti ma che tutto ciò non è ugualmente accettabile? E' questo il terribile dilemma per cui alla fine della relazione l'Arpa non scrive che Taranto è fuori pericolo. Ma non scrive neppure il contrario, e con ciò il Sindaco si sente confortato nella sua attuale linea attendista.
Alessandro Marescotti
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