Piombo nel sangue dei bambini di Taranto.
http://ctxt.es/es/20151111/Politica/2939/Fotografia-Taranto-Italia-contaminacion-ambiental-Ilva-siderurgia-Europa-Multimedia.htm#.VkSm6WexY6g.twitter - 11 novembre 2015
Polvere rossa e brillante macchia le lapidi di marmo bianco del cimitero di Taranto, una città di 200.000 abitanti che si trova nella regione Puglia, il tacco dello stivale d'Italia. È la conseguenza della pioggia di minerale di ferro, particelle di polvere che giorno dopo giorno cadono su questa località del sud Italia. Pioggia di polvere rosso scuro che non smette mai. Non scende dal cielo. Proviene dall'Ilva, la fabbrica di acciaio che da varie decadi sta contaminando la popolazione.
È mezzogiorno, c'è un totale silenzio e nessuno visita il cimitero. I profili delle tombe e i ritratti incorniciati dei defunti sono lo specchio del cielo della città. Alcune delle fotografie dei morti sono sfocate. La polvere di ferro le ha erose. Sullo sfondo, la visione delle ciminiere fumose dell'Ilva, la più grande acciaieria d'Europa.
All'uscita del cimitero si trova il quartiere Tamburi, dove vivono circa 18.000 persone. La polvere di minerale ricopre ogni cosa: case, balconi con panni stesi e aree verdi, dove i muri che le circondano ricordano che è proibito giocare, perchè il terreno è contaminato da piombo, PCB, berillio, mercurio, nichel e cadmio.
La scrittrice tarantina (abruzzese, ndt) Beatrice Ruscio, autrice del libro Legami di Ferro, spiega che questo veleno in forma di minerale è una delle ragioni per cui per un certo periodo di tempo non si è potuto seppellire e disseppellire i morti nel cimitero, a causa delle condizioni del suolo altamente tossiche. Racconta inoltre che la fabbrica ha dei campi di minerale – montagne di polvere di ferro a cielo aperto- che occupano una superficie corrispondente a circa novanta campi da calcio, e che si trovano a soli 170 metri dalla zona residenziale.
Il camino più alto del complesso siderurgico è considerato il principale responsabile dell'immissione in atmosfera della maggior parte degli inquinanti, ma dai diversi impianti dello stabilimento dell'Ilva fuoriescono emissioni non convogliate attraverso i camini. Queste ultime non sono, pertanto, sottoposte a nessun filtro.
Le analisi incaricate dall'associazione ecologista italiana PeaceLink e dal suo presidente, il professore Alessandro Marescotti, hanno rilevato la presenza di piombo nel sangue dei bambini. Ci sono dati di mortalità infantile superiore del 21% alla media del paese. Numeri elevati dei casi di leucemia, tumori cerebrali e linfomi.
Alcuni anni fa furono trovate sostanze tossiche nel bestiame della zona e il pascolo è proibito fino a 20km entro il raggio dell'Ilva. Gli ambientalisti locali avvertono che c'è contaminazione nella carne, nei vegetali e anche nel latte materno.
Prima dell'arrivo della fabbrica, questa zona d'Italia bagnata da due mari era famosa per la qualità delle sue ostriche. Adesso le cozze – anch'esse contaminate- sono vendute nelle pescherie e ristoranti di Taranto. Lo stabilimento siderurgico Ilva, con una superficie di due volte maggiore alla stessa città, estrae acqua dal Mar Piccolo, con la quale raffredda gli impianti della fabbrica, per poi ributtarla nel Mar Grande.
Le prospettive turistiche di un luogo storico, e situato in una zona privilegiata d'Europa, sono state sacrificate da una politica focalizzata solo nella produzione di acciaio, gas e combustibile. L'acciaieria e tutte le imprese satellite hanno vinto. I turisti hanno paura ad andare in un posto tanto inquinato. Perfino le guide turistiche avvertono di questo.
L'Ilva, che è nata un secolo fa, e che ha cominciato la sua produzione a Taranto negli anni sessanta, emette senza controllo veleno nell'aria: le diossine e benzoapirene, causa di una gran quantità di malattie cardiovascolari e diversi tipi di tumore.
Gli abitanti del quartiere Tamburi – i lavoratori della fabbrica e le loro famiglie – sono restii a parlare. Un silenzio che grida, dato che circa 12.000 persone sono morte negli ultimi dieci anni per problemi di salute relazionati alle malattie che provocano queste sostanze cancerogene.
“L'acqua del rubinetto esce di colore nero e nei giorni di vento si vede come si solleva la polvere di minerale, ma non voglio dire niente di più, e non mi faccia neanche una foto. Mio marito e mio cognato lavorano lì”, dice una signora che si affaccia alla finestra della sua casa situata vicino a una delle entrate della fabbrica. Una delle strategie che ha la fabbrica è di assumere famiglie intere. Così conquista la sua stabilità sociale e la dipendenza del suo personale.
“Attenzione!!! Città contaminata”, è un grido che si legge su vari muri del quartiere Tamburi, insieme al disegno di una faccia coperta da una maschera. A Taranto, tutti hanno un amico o familiare vittima dell'inquinamento della fabbrica di acciaio. Lavoro e cancro o disoccupazione e povertà. I lavoratori della fabbrica preferiscono mantenere i loro posti, anche se dal 1991 Taranto è considerata come “zona ad alto rischio ambientale”.
In Via Lisippo, la strada con le case più vicine alla fabbrica, c'è una targa sulla facciata della casa dove è vissuto Giuseppe Corisi, lavoratore della fabbrica, già deceduto: “Ennesimo decesso per neoplasia polmonare. Tamburi (Taranto). 8 marzo 2012”.
Mentre, all'altro lato della città, la parte antica, quella che fu la bella città vecchia sta crollando, dimenticata, decadente e abbandonata dalle autorità. Un bellissimo posto dove le pareti color ocra delle antiche case, erose dal tempo e senza restauri, assomigliano al colore della polvere di ferro avvelenata, presente nell'erba dei parchi, nelle tombe del cimitero, sui marciapiedi, sulle pareti e muri delle case sporche di questo rosso scuro nel quartiere Tamburi.
“I lavoratori vivono sotto pressione, economica e sociale. Hanno preferito il lavoro alla salute. La città è stata sacrificata per sessanta anni, non c'è un polo universitario, non c'è teatro, non c'è niente. Si sono portati via tutto. Come l'aria che porta la polvere dalla fabbrica alle case. Questa polvere di ferro e morte”, riassume Marco, abitante di Taranto e ambientalista.
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