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Ilva: le otto domande a cui nessuno sa rispondere

Rinviata al 2017 la messa a norma degli impianti. Mossa disperata del governo per rallentare la fine di una fabbrica decotta
9 gennaio 2016
Alessandro Marescotti

operai Ilva in sciopero

Il governo, alla prese con la crisi dell'ILVA, è nel pantano fino al collo per cinque ragioni:

1) non riesce a trovare nessuno disposto ad accollarsi le perdite dell'ILVA: vendere ILVA è come vendere debiti a getto continuo;
2) gli impianti non sono stati messi a norma e la Commissione Europea ha avviato una doppia procedura di infrazione;
3) la crisi internazionale dell'acciaio rende l'ILVA una fabbrica che produce ogni anno perdite superiori all'ammontare complessivo degli stipendi dei suoi lavoratori;
4) la Commissione Europea ha avvertito il governo italiano che gli aiuti di Stato all'ILVA non sono consentiti perché falsano la concorrenza le altre acciaierie che non ricevono aiuti di Stato;
5) la magistratura mantiene sotto sequestro gli impianti perché ritenuti pericolosi ed essi potevano continuare a produrre - come ha stabilito la Corte Costituzionale - solo alla condizione che gli interventi di messa a norma fossero tempestivi.

Di fronte a questi cinque formidabili problemi, il governo - con un emendamento al nono decreto ILVA - pensa di uscire fuori dal pantano con due mosse disperate:
A) concedere un ulteriore finanziamento statale di 800 milioni di euro all'azienda (che ha tre miliardi di debiti);
B) spostare al 30 giugno 2017 la messa a norma degli impianti.

Se - come noi NON crediamo - quegli ottocento milioni di euro dovessero servire, a detta del governo, «al fine esclusivo dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitarie», come verrebbe risolto il problema dei debiti che ILVA continua ad accumulare per la crisi del mercato internazionale dell'acciaio? E come potrà giustificare lo spostamento al 30 giugno 2017 della messa a norma degli impianti se essi dovevano essere messi a norma entro il 2015? Si crea un conflitto insanabile sia con la sentenza della Corte Costituzionale (che non concedeva proroghe alla messa a norma degli impianti) sia con la Commissione Europea (che non consente aiuti di Stato).

L'ultima mossa del governo di concedere finanziamenti e proroghe è quindi una mossa disperata e sconclusionata, destinata a scontrasi con le norme nazionali ed europee che non la consentono. Ma è destinata a scontrasi con il più elementare buon senso, in quanto si sta finanziando un'azienda che è decotta e fallita, che non ha futuro e che nessuno vuole prendersi, al di là delle cordate di facciata che avranno vita breve.

Guai a "credere" troppo in una società decotta. Se l'azienda è impantanata in una situazione di crisi grave e irreversibile è grave perseverare in un'attività improduttiva, anziché chiuderne i battenti. A queste conclusioni era giunta la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 32899 del 26 agosto 2011.

Ci sono domande a cui nessuno fino a ora ha saputo rispondere e crediamo che neppure in futuro qualcuno avrà soluzioni intasca. Proviamo a sintetizzarle in otto domande.


- Chi pagherà i tre miliardi di euro debiti che l'ILVA ha accumulato negli ultimi tre anni?


- Come farà a pagare tale somma colossale quando deve ancora investire altri miliardi di euro per mettere a norma gli impianti?

- Come farà a coprire la vastissima area dei parchi minerali da cui si disperdono ogni giorno le polveri che minacciano i polmoni dei cittadini?


- Come farà l'ILVA a bonificare i terreni e la falda che da anni attendono la messa in sicurezza di emergenza?


- Come farà l'ILVA a sopravvivere alla crisi strutturale del mercato dell'acciaio che nel 2015 ha fatto crollare del 45% il prezzo internazionale dell'acciaio?

- Come mai ILVA non ha presentato il bilancio negli ultimi tre anni?

- Come mai ILVA non ha presentato il piano industriale?


- Come è possibile pianificare la messa a norma degli impianti senza avere un bilancio e un piano industriale?


Il governo non sa rispondere a queste otto domande.

Il governo Renzi sta pasticciando con improvvisazioni di ogni tipo. Alla fine la soluzione sarà inevitabilmente quella di scaricare i debiti dell'ILVA sugli italiani, con tasse sui contribuenti e mancati pagamenti di fornitori e creditori.

PeaceLink agirà a Bruxelles per fermare questa nuova disperata mossa del Governo per guadagnare tempo con un'azienda decotta e inquinante. Al contempo si impegnerà perché a livello regionale venga realizzata una commissione per la riconversione dell'ILVA con un piano B che sfrutti i finanziamenti europei per le aree di crisi industriale.

 

Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink

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