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Marescotti e Battaglia (Peacelink) rispondono a De Marzo

Le lettere, pubblicate sulla Gazzetta del Mezzogiorno, in risposta alla lettera di De Marzo pubblicata sulla stessa testata
15 gennaio 2016
Redazione Peacelink

Marescotti e Battaglia Mai stata al servizio delle lobby dell'acciaio

Esimio Ing. De Marzo,

Prendo atto della sua decisione di passare da un’analisi politico-ambientalista seria e rispettosa delle attività di Peacelink al “chiacchiericcio” poco elegante che ha voluto porgere ai lettori della “Gazzetta del Mezzogiorno” e della sua pagina Facebook, coinvolgendo la mia vita privata.

Se vogliamo scendere sul terreno del pettegolezzo, potrei ipotizzare le motivazioni che l’hanno spinta a ritirarsi dai movimenti ambientalisti locali dopo molte fruttuose iniziative. Ma non voglio seguirla in uno scontro personale su questioni che nulla hanno a che fare con la gravità della lotta che ci vede impegnati sulla questione ILVA.

Non amo scadere ad un livello più basso, non e' nel mio stile ne' nello stile di Peacelink mettere in moto macchine del fango, ne' fare processi alle intenzioni o alle parentele. Invece la ringrazio, perché le sue banali illazioni sono per me l’occasione per rendere conto di tante cose belle portate avanti nella mia vita, tutte finalizzate a dare il mio contributo alla res publica.

Ho cominciato la mia carriera come Funzionario delle Nazioni Unite e quindi, come tale, ho potuto lavorare in Svizzera, in Kosovo, in Serbia, in Montenegro, in Albania, in Sudan, in Belgio e anche in Lussemburgo. Li’ mi sono trovata proprio dalla parte di quelli che hanno partecipato alle bonifiche di Belval e alla lotta per la reintegrazione degli operai che erano stati licenziati dall’industria siderurgica. Quindi dal lato opposto degli interessi siderurgici, ma, tant’é, mi rendo conto che sia difficile, per lei, conoscere cosa accade fuori.

Oltre ai tre figli che lei ha menzionato nella sua arringa, ho anche due lauree, due master in relazioni internazionali e filosofia politica, fino ad un Dottorato di Ricerca conseguito a Bruxelles sui diritti dei popoli all’autodeterminazione, per la precisione in filosofia politica e diritto internazionale.

Capirà, quindi, che non ho grandi difficoltà a conoscere, consultare, incontrare, scrivere e relazionarmi con la Commissione Europea e con tutto il mondo internazionale del quale faccio parte da più di venti anni e che quindi, da tarantina, ho voluto mettere al servizio della mia città la conoscenza del diritto europeo e del mondo internazionale.

Per quanto riguarda la mia immagine di madre, ebbene si, ho tre bellissimi bambini che mi occupano pienamente e quando posso liberarmi dagli impegni con loro, con l’attività di ricerca universitaria, mi dedico anima e cuore a Taranto e lo faccio con grande passione per Peacelink, con i miei colleghi, impegnati quanto me in una lotta giusta e coerente.

Per quanto riguarda il Lussemburgo, mi ci sono trovata benissimo e ho potuto apportare un piccolo contributo anche al PD lussemburghese, contributo pero’ finito quando non sono stati felici del mio articolo (pubblicato sul “Letzebuerg Land”, sì, scrivo su diversi giornali e in diverse lingue) sui legami tra Bersani e i Riva. Quindi, come ho fatto con Tsipras, per coerenza, li ho salutati e ho detto loro che la mia strada non era quella del compromesso.

Posso raccontarle che la strada che ho intrapreso mi ha portata a lavorare anche in Sudan, a Dubai, in diverse parti del mondo, Asia compresa. Ma non ho mai stretto alleanze con i gruppi siderurgici locali, anzi, di solito mi sono sempre trovata dalla parte opposta.

Al netto del pettegolezzo inutile a Taranto e al suo ambiente, il punto di scontro politico e culturale tra noi e’ uno soltanto: lei si autodefinisce “industrialista”, io mi definisco “una intellettuale aperta al confronto”. Non c’e’ bisogno di girarci attorno.

Preso atto delle reciproche differenze di stile e di impostazione politica, non mi resta che porgerle distinti saluti.

Antonia Battaglia
Portavoce di PeaceLink presso le Istituzioni Europee

 

 

PeaceLink non firma armistizi con l'Ilva mentre i bambini muoiono
Nessuna tregua possibile sulla salute dei tarantini

 

L'ingegnere Biagio De Marzo mi invita a firmare "un armistizio" sull'Ilva. Lo fa in un lungo editoriale dal titolo "Marescotti sull'Ilva ci sia un armistizio", apparso mercoledì scorso con grande evidenza sulla Gazzetta del Mezzogiorno in forma di editoriale, di ben sette colonne. Mi ha colto di sorpresa.

Biagio De Marzo conclude così: "E’ il momento, egregio presidente, carissimo Alessandro, che partecipi anche tu all’”armistizio non dichiarato”, per il bene dei tarantini e dei lavoratori dell’Ilva, che interrompa le pressanti comunicazioni alle istituzioni europee che di fatto “forniscono munizioni ai nemici dell’Italia”".

Nel suo articolo mi invita a "richiamare per consultazioni l’ambasciatrice di Peacelink a Bruxelles”, ossia Antonia Battaglia, e a smentire il "chiacchiericcio" che la immagina come una pedina delle lobby siderurgiche europee ostili all'Ilva.

In questo armistizio che mi propone vi è una condizione che ritengo eticamente inaccettabile ossia, specifica De Marzo, "l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni sanitari".

Scrive infatti: "Si impongono decisioni difficili che presuppongono comunque una sorta di “armistizio non dichiarato” che sottintenda anche l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni sanitari. Tale “armistizio non dichiarato” consentirebbe di attivare strategie operative immediate, reperire le risorse necessarie, far ripartire gli impianti e redigere e realizzare, in tempi ragionevoli, il progetto di una “Nuova Ilva” che operi nel mercato globale".

In buona sostanza mi si chiede di "chiudere un occhio" sul fatto che possano morire e ammalarsi altre persone nel frattempo che l'Ilva venga messa a norma e ritorni (pia illusione) ad essere competitiva sul mercato globale.

La mia formazione umana e civile rifiuta questo armistizio. E' già stato firmato da tanti uomini politici. Ma io non sono uno di quelli.
E vorrei raccontare un episodio che mi è accaduto quando ero a Bruxelles in occasione di un incontro con la Commissione Europea.

Ero nella stanza dell'albergo e sul tablet stavo ripassando le cose che avremmo dovuto dire alla Commissione Europea. Leggevo e rileggevo tutte le prescrizioni autorizzative AIA non attuate dall'Ilva, quando sbucò dal display un messaggio che mi commosse.

Una mamma di Taranto, che non conoscevo, mi aveva scritto proprio in quel momento.

"L'interesse che avete e l'amore per Taranto - scriveva questa mamma - non vi fa che onore e mi fa credere che qualcuno nutre speranze per questa città martoriata da decenni". Questa mamma mi raccontava il calvario della sua bambina nata non con uno ma con due tumori contemporaneamente: "Di Taranto conosco i lunghi periodi trascorsi quest'anno in ospedale con mia figlia, credo di conoscere solo la realtà più crudele che Taranto può offrire alla vita.

Mia figlia vi ringrazierà per la battaglia che state facendo. Nata apparentemente sana, ha sviluppato un tumore renale bilaterale a soli sei mesi. Gli oncologi hanno subito parlato di trasmissione da parte di uno dei due genitori, la bambina è nata con questo problema. E allora dal mio piccolo, come mamma, combatto anch'io questa battaglia senza armi, con la mia voce, a volte urlando contro la sordità di chi mi sta vicino e non si rende conto che quelli che pagano sono i bambini, le anime innocenti. Spero che anche la vostra voce percorra il giusto verso e giunga a chi sa ascoltare".

Sentivo che quel messaggio era una ulteriore chiamata all'impegno per la mia coscienza. Un grido di dolore che giungeva via email. Il giorno dopo c'era l'incontro con la Commissione Europea e prima di entrare in riunione lessi quell'e-mail ad Antonia Battaglia, che ci accompagnava e ci guidava a Bruxelles. Anche Antonia si commosse. Antonia è mamma di tre bambini. E le mamme sanno fare patti di fedeltà con i loro bambini che noi uomini non riusciamo neppure ad immaginare.


Quando leggo, sono le parole di Biagio De Marzo, che Antonia farebbe parte di coloro che "di fatto favoriscono gli avversari dell'Italia e della comunità tarantina" e che "ci sono potenti lobbisti tedeschi e francesi che vogliono far chiudere l’Ilva di Taranto per eliminare un concorrente" rimango indignato perché si fa specifico riferimento ad Antonia. Insinuare che Antonia Battaglia possa essere un'abile lobbista, dotata di agganci di altissimo livello e infiltrata dentro PeaceLink per favorire le acciaierie tedesche e francesi è quanto di peggiore io potessi leggere. Antonia è mamma di tre bambini e sacrifica il suo tempo per onorare l'impegno che prendemmo con quella mamma che ci scrisse a Bruxelles. Stiamo lottando insieme per un ideale ben preciso, perché "non un altro bambino, non un altro abitante di questa sfortunata città, non un altro lavoratore dell’ILVA, abbia ancora ad ammalarsi o a morire o ad essere comunque esposto a tali pericoli, a causa delle emissioni tossiche del siderurgico", come ebbe a scrivere Patrizia Todisco, magistrato di Taranto.


Antonia è una persona splendida che ha saputo mettere al servizio dei bambini di Taranto la sua esperienza nell'ONU ed è diventata di fatto la loro "ambasciatrice" a Bruxelles. Antonia ha una approfondita conoscenza del diritto internazionale, ha frequentato master, è esperta di istituzioni europee, parla fluentemente l'inglese e il francese, sa tradurre all'istante ogni cosa. Concentra in sé competenze rarissime, a cui aggiunge un'attività giornalistica su Micromega e una straordinaria forza di volontà. Se invece di ringraziare una persona così si alza il chiacchiericcio, vuol dire che a Taranto le persone mediocri e insensibili hanno preso il sopravvento nei corridoi della politica.

Antonia è con PeaceLink per onorare l'impegno che ci siamo presi verso tutti i bambini e i genitori che oggi percorrono il calvario negli ospedali, verso i tanti bambini malati, verso quel 54% in più di bambini col cancro che a Taranto rappresentano il frutto di un armistizio scellerato. Un armistizio che abbiamo deciso di non firmare perché non è un armistizio ma è di fatto la prosecuzione di una guerra. Una guerra agli innocenti. Quell'armistizio "non scritto" lo hanno firmato in tanti, persino il PCI, ma non verrà firmato da PeaceLink. Noi andremo avanti con Antonia Battaglia e con tutte le persone di buona volontà fino a che l'"inutile strage" non sarà terminata.


Alessandro Marescotti
Presidente di PeaceLink

 

 

 

 

Lettera di De Marzo

Egregio presidente di Peacelink,
mi imbarazza non poco aprire così questa lettera aperta, dopo le migliaia di “Carissimo Alessandro” e “Carissimo Gino” di un’altra vita, quando condividevamo lucidamente il sogno di far diventare l’Ilva, quella fabbrica “monstre”, rispettosa della vita e del benessere dei tarantini e degli stessi suoi lavoratori. Per anni insieme abbiamo coordinato la battaglia sanitaria, ecologica, civica e sociale sull’Ilva, fino a presentare al ministero dell’ambiente, come Altamarea, un piano di risanamento che l’azienda avrebbe potuto realizzare nei 5 anni di valenza dell’AIA. Dopo aspri dibattiti ci fu, in prossimità dell’arrivo, il definitivo voltafaccia di Vendola, Stefàno e Miccoli che credevamo di avere aggregato alla nostra causa. Reagimmo all’improvvido rilascio dell’AIA all’Ilva e decidemmo la “svolta di Altamarea”: puntare a conquistare direttamente quel potere decisionale che ci avrebbe consentito di ottenere per Taranto e per la stessa Ilva quello che non eravamo riusciti ad ottenere da semplici cittadini presenti, in qualità di “pubblico interessato”, nel procedimento amministrativo dell’AIA.


Il fallimento della “presa del Comune di Taranto”.
Il tentativo della “presa del Comune di Taranto”, purtroppo, fallì soprattutto per la vena un po’ anarchica e parecchio individualista che caratterizza il mondo del volontariato e dell’associazionismo tarantino. Tu avevi abbracciato il passionale ma sterile populismo dei “duri e puri” trascinando il generoso Bonelli nell’isolazionismo che conservò al movimento il brand di “duri e puri” ma lasciandolo del tutto marginale e di sola testimonianza. Sul piano personale non ti perdonai per non avere speso una parola per difendermi dall’indecente fuoco amico. Da allora ci siamo ignorati rimanendo, nell’intimo, reciprocamente rispettosi. Tu hai continuato con coerenza e tenacia nella tua battaglia per la chiusura totale di Ilva, secondo me molto ideologica oltre che utopistica nelle contromisure per ovviare alle sue disastrose conseguenze. Io, da irriducibile industrialista, ho continuato a ricercare una difficilissima soluzione tecnico-impiantistica capace di salvaguardare la salute e il lavoro, tenendo in vita, cioè, una grande azienda, alla stregua di un bene comune, capace di ridiventare polo di sviluppo economico e di crescita culturale di un territorio ridotto “ai piedi di Cristo”, in tutto e per tutto.
Per l’Ilva di Taranto è in corso una guerra europea.


Nel frattempo, mentre il lavoro della Magistratura prosegue con i propri tempi, la situazione dell’Ilva si è ulteriormente aggravata tanto da far temere l’esplosione dell’emergenza sociale oggettivamente conseguente alla chiusura totale dello stabilimento. E a Genova ce ne sono già i prodromi. D’altra parte, non si può ignorare che sull’Ilva di Taranto, ormai, è in atto una guerra europea. Da una parte c’è l’Italia, ora rappresentata dal governo Renzi, che vuole tenere in vita a tutti i costi il Siderurgico di Taranto perché terrorizzato, giustamente, dall’idea di perdere alcune decine di migliaia di posti di lavoro ed anche consapevole che, chiusa l’Ilva, Taranto diventerebbe una Bagnoli moltiplicata per dieci, altro che Pittsburgh o Bilbao. Dall’altra parte ci sono potenti lobbisti tedeschi e francesi che vogliono far chiudere l’Ilva di Taranto per eliminare un concorrente e risolvere il problema dell’eccesso di capacità produttiva europea di acciaio.

In questo frangente, faccio veramente fatica a fare buon viso di fronte a italiani e tarantini che, certamente in buona fede e senza rendersene conto, di fatto favoriscono gli avversari dell’Italia e della comunità tarantina sulla quale ricadrebbero principalmente le conseguenze della chiusura dello stabilimento Ilva. E mi addolora che tra questi italiani e tarantini ci sia anche tu. A tal proposito, absit iniuria verbis, ti suggerisco di …. richiamare per consultazioni “l’ambasciatrice di Peacelink a Bruxelles”: potrà essere anche l’occasione per smentire il chiacchiericcio che si fa, complice Internet, sui suoi trascorsi politici in seno al PD lussemburghese, sul suo temporaneo inserimento nella Rappresentanza permanente del Lussemburgo presso il Consiglio d’Europa, sui suoi legami parentali con importanti personaggi pubblici lussemburghesi ben introdotti nelle istituzioni europee, con qualcuno che spara a zero contro la siderurgia italiana e difende a spada tratta quella del proprio Paese. Per carità, tutte cose legittime e rispettabili, che però stridono un po’ con l’immagine, data alla stampa, di una semplice mamma di tre figli che per parlare a Bruxelles del caso Ilva cerca i numeri telefonici su Internet. E poi, scusa, che fine ha fatto l’ostracismo dei “duri e puri” nei confronti di chiunque avesse avuto trascorsi politici e partitici?


Necessita un “armistizio non dichiarato” con “paletti” per l’acquirente.
Tornando a cose più importanti, dopo tre anni di tentennamenti ed indecisioni, che hanno complicato ulteriormente la già grave situazione, si impongono decisioni difficili che presuppongono comunque una sorta di “armistizio non dichiarato” che sottintenda anche l’accettazione che per qualche tempo ci siano ancora danni sanitari. Tale “armistizio non dichiarato” consentirebbe di attivare strategie operative immediate, reperire le risorse necessarie, far ripartire gli impianti e redigere e realizzare, in tempi ragionevoli, il progetto di una “Nuova Ilva” che operi nel mercato globale. L’invito a “manifestare interesse per l’Ilva”, reso pubblico il 5 gennaio 2016, traccia il percorso per arrivare a vendere (o affittare) l’Ilva entro il 30 giugno 2016. E’ un’enorme scommessa, di grandissimo interesse per i lavoratori Ilva e per la comunità tarantina, soprattutto su di essi graverebbero le conseguenze di un risultato fallimentare del procedimento ora avviato. E’ iniziata, così, per l’Ilva e per Taranto “l’ultima partita, disperata, garibaldina e temeraria, ma l’unica che possiamo sognare in alternativa alla tragedia che incombe”.

La comunità tarantina non può rimanere spettatrice passiva, è in gioco gran parte del suo destino. In situazioni di emergenza contano la volontà, il coraggio, la lucidità e la capacità di intuire i passi giusti da fare immediatamente, altrimenti “l’intervento è perfettamente riuscito, purtroppo il paziente è morto”. Noi tarantini dobbiamo riuscire a far mettere “paletti” per chi acquista, per evitare successive chiusure ineluttabili ed impedire trucchi di qualsiasi natura; “paletti” che diverranno prerequisiti per il progetto della “Nuova Ilva”, quello che farà ridiventare il Siderurgico polo di sviluppo economico e di crescita culturale dell’intero territorio, come un bene comune: gli acciai e i tubi dell’Italsider erano vanto ed emblema di Taranto nel mondo, come “la millenaria civiltà magno-greca”, come “I due mari”, come “Il ponte girevole”.


La scommessa non è impossibile. A differenza del 2007, quando, come “pubblico interessato”, entrammo nel procedimento per il rilascio dell’AIA all’Ilva di Taranto, oggi, nello specifico quadro normativo italiano, c’è la Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario - VIIAS. Utilizzarla adeguatamente deve diventare il primo, determinante “paletto” per l’acquirente. Fatta a preventivo, sull’assetto impiantistico/produttivo della “Nuova Ilva”, la VIIAS fornirà elementi, segnatamente i limiti del rischio sanitario residuo, che consentiranno di rispondere positivamente alle attese della Magistratura che ha sequestrato gli impianti che provocano gravi danni sanitari alle persone ed ha imposto di eliminare l’inquinamento delittuoso.


Attualmente i provvedimenti tecnici e gestionali stabiliti sono quelli dell’AIA del 16 ottobre 2012, migliorata rispetto a quella originale ma comunque piena di lacune ed omissioni e neanche completamente integrata con il “piano ambientale” approvato dal precedente Governo ancorchè privo del corrispondente piano industriale. Se tali provvedimenti fossero realizzati e risultassero insufficienti o inefficaci rispetto alle disposizioni della Magistratura, occorrerebbe fare altro. Ritengo che non si possa continuare a considerare quell’AIA intoccabile nei contenuti e nei tempi, col rischio di sprecare risorse senza risolvere il problema del danno sanitario residuo. Con la VIIAS, lo strumento più importante da utilizzare per evitare che impianti industriali provochino danni ambientali e sanitari, le Istituzioni sono oggi più attrezzate per evitare quel rischio. Sottoporre a VIIAS preventivamente l’ipotesi di assetto industriale della “Nuova Ilva” deve essere, lo ripeto, il primo, determinante “paletto” per l’acquirente.
Chiudere positivamente la vicenda Ilva.


La comunità tarantina, con spirito unitario, dovrebbe spingere fortemente per risolvere la vicenda Ilva e dovrebbe sostenere il Governo, riconoscendo che esso è nella necessità di neutralizzare l’emergenza sociale, a Taranto sempre più vicina, e di estinguere i focolai di patologie mortali e non, indicati nelle perizie dell’incidente probatorio. Alla Magistratura compete far rispettare la legge, al di là anche di eventuali conseguenze sociali, e non può accettare compromessi al ribasso. Male hanno fatto le Istituzioni che non hanno colto per tempo i segnali (e i documenti scritti) pervenuti dalla Magistratura e dal “pubblico interessato”. Adesso sta alle Istituzioni, alla Politica, alle Forze Sociali e alle Comunità Locali, dare corpo a una soluzione equa, realistica, pulita e trasparente, facendo in modo che la Magistratura non sia costretta a mettersi di traverso.
E’ il momento, egregio presidente, carissimo Alessandro, che partecipi anche tu all’ ”armistizio non dichiarato”, per il bene dei tarantini e dei lavoratori dell’Ilva, che interrompa le pressanti comunicazioni alle istituzioni europee che di fatto “forniscono munizioni ai nemici dell’Italia”. A tal proposito, sorrido ricordando che proprio qualche giorno fa, ho apprezzato mio figlio che con paziente delicatezza ha spiegato alla mia carissima nipotina milanese che “tra compagne non è bello fare la spia”.


Biagio De Marzo

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