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La fame, i pesticidi e gli ogm

8 aprile 2004
Fabio Massimo Parenti

Non ci vuole un grande spirito critico per riconoscere che una tecnologia non è mai neutrale. Le manipolazioni agrobiotech da laboratorio non fanno eccezione, e le ragioni propagandistiche da parte di produttori e di scienziati «interessati» sono lì a dimostrarlo. I vari «detentori d'interessi» hanno annunciato che le colture ogm avrebbero risolto, con la loro diffusione, il dramma della fame nel mondo. Grottesca demagogia visto che, si sa, il problema alimentare mondiale è di natura soprattutto politica ed economica. Altra giustificazione avanzata dai fautori di tali colture è poi la presunta riduzione dell'uso della chimica in agricoltura. Tuttavia, un recente studio di Charles M. Benbrook (direttore del Centro di politica per l'ambiente e la scienza dell'Idaho) dimostra che nelle coltivazioni ogm degli Stati Uniti l'uso di veleni chimici risulta in realtà aumentato in modo significativo rispetto ai raccolti non modificati geneticamente: +11,5% di erbicidi e insetticidi nel 2003; + 31 milioni di chili di prodotti chimici sparsi sul territorio tra il 2001 e il 2003.
Lo studio prende in considerazione le due agro-biotecnologie più diffuse negli Usa: la manipolazione genetica per accrescere la tolleranza agli erbicidi e quella per consentire alle piante di produrre una tossina naturale («bt», dalle iniziali del batterio da cui è stato estratto il gene) che disarma gli insetti nocivi.
La prima tecnologia/manipolazione, paradossalmente, è stata concepita con lo scopo di permettere una più ampia tolleranza agli erbicidi e non per diminuirne l'uso. Peraltro, la loro parziale riduzione sarebbe potuta avvenire solo nel caso in cui fosse stata sviluppata la tolleranza delle piante nei confronti degli erbicidi a basso tasso d'applicazione per acro, e non, al contrario, aumentando (come è stato fatto) la resistenza verso il glifosato, che è utilizzato da sempre in alte dosi.
La ricerca di Benbrook e i dati dell'United States Department of Agricolture rilevano, in particolare, un aumento medio del 5% nell'impiego dell'erbicida Roundup Ready (a base di glifosato) sui raccolti di soia geneticamente modificata rispetto alle varietà convenzionali - sia i semi modificati che il prodotto chimico sono di proprietà della Monsanto. Si pensi, inoltre, che circa il 25% degli agricoltori statunitensi, passati da sistemi basati sull'applicazione di basse dosi di erbicidi alla soia Roundup Ready, hanno visto raddoppiare il volume di prodotti chimici applicati per acro.
Quanto alla seconda tecnologia/manipolazione, quella «bt», la ricerca rileva invece come la sua diffusione alla fine degli anni `90 abbia favorito, ad esempio nelle coltivazioni di cotone, dei marcati squilibri nelle popolazioni d'insetti: vere e proprie mutazioni che hanno obbligato a passare da insetticidi ad ampio spettro all'uso di un maggior numero di prodotti chimici specifici. Anche in questo caso, quindi, non sono stati registrati nel complesso risultati soddisfacenti, cosicché i dati aggregati sul volume dei trattamenti chimici per acro sono cambiati poco dall'introduzione del cotone bt.
In generale, ogni prodotto chimico utilizzato dagli agricoltori è tollerato da una data pianta per un periodo di tempo limitato (al massimo qualche anno), dopodiché è necessario ricercare altre soluzioni. Specialisti dell'Università dell'Arkansas hanno previsto che, nel 2004, 600 mila acri piantati con la soia RR saranno infestati da erbe resistenti al glifosato (e ciò si tradurrà in maggiori spese per gli agricoltori che dovranno fare uso più intensivo di veleni).
In questa dinamica complessa, d'interazione fra elementi chimici naturali e di sintesi, l'uso intensivo di pesticidi (l'insieme delle sostanze velenose usate in agricoltura) ha favorito nel frattempo il proliferare di superinsetti, di erbe superinfestanti e di supervirus.

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