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Un libro di Jean Ziegler Ed. Milano, Pratiche Editrice, 1999

"La fame nel mondo spiegata a mio figlio"

Solo in questi ultimi cinque anni il numero delle persone che soffre di denutrizione cronica nel mondo è cresciuto di altre 30 milioni di persone. Un libro estremamente attuale.

10 aprile 2004
Giorgio Pizzol


Per chi si sente a disagio nel trovarsi sempre più spesso di fronte ai libri che propongono di affrontare un qualsiasi problema del vivere e del convivere umano mediante le elucubrate teorie della complessità sarà motivo di sollievo l'incontro con un libro come questo; uno scritto che ha il coraggio di descrivere chiaramente i fatti, di dire pane al pane.
La metafora viene a proposito, perché il tema di questa pubblicazione è proprio il pane, nella sua accezione più larga: vale a dire il cibo o più precisamente il problema della tragica piaga della carenza di cibo per miliardi di esseri umani nel tempo presente.

Più di qualcuno obbietterà subito a questo discorso: il fenomeno non è affatto sconosciuto; i mezzi di informazione forniscono esaurienti statistiche e danno ampio spazio ai rapporti degli organismi internazionali che si occupano del problema della fame nel mondo. Il nostro autore però replica, documenti alla mano: di questo problema si parla troppo poco; e soprattutto non si parla mai delle sue cause, delle responsabilità di istituzioni pubbliche e private, precisamente addebitabili pertanto a persone determinate che si potrebbero anche indicare -se ve ne fosse la volontà- con nome e cognome. Anzi, su queste responsabilità i grandi mezzi di informazione non solo nascondono il vero ma dicono deliberatamente il falso.

L'esempio più clamoroso a questo proposito è l'occultamento della verità intorno alla reale disponibilità di risorse alimentari mondiali.

«Oltre quindici anni fa -riferisce Ziegler- la FAO (Food and Agriculture Organization) aveva già presentato un rapporto confortante: il mondo, in base all'attuale stato della capacità produttiva agricola, potrebbe nutrire senza alcun problema più di dodici miliardi di esseri umani. Nutrire significa assicurare a ogni bambino, uomo o donna della Terra una razione quotidiana di cibo che oscilla fra le 2400 e le 2700 calorie, a seconda delle necessità alimentari di ogni individuo, variabili in ragione del suo lavoro e del clima in cui vive.»

Poiché la popolazione mondiale è oggi di sei miliardi, è evidente che vi sono risorse alimentari per nutrire il doppio degli esseri umani oggi viventi. Ed evidente altresì che il sistema economico oggi dominante funziona in modo tale che, ogni anno: quasi un miliardo di persone muore di fame; altri cinque miliardi soffrono e si ammalano per carenza di cibo; mentre, nello stesso tempo, una massa di prodotti alimentari sufficiente a nutrire sei miliardi di uomini viene gettata fra i rifiuti.

Esempi di notizie in proposito, sulle quali i mezzi di informazione di tutti i tipi tacciono deliberatamente, sono, tra molti altri, i seguenti.
Ogni anno un quarto di tutta la raccolta cerealicola del mondo viene utilizzata per nutrire i buoi dei paesi ricchi. Da notare che in questi paesi le malattie cardiovascolari per sovralimentazione sono in continuo aumento. L'agronomo René Dumont ha calcolato che la metà dei feed-lots californiani (allevamenti bovini dotati di impianti di climatizzazione e di un sistema di distribuzione di cibo ritmata) consuma annualmente più mais di quanto ne servirebbe a soddisfare le necessità nutrizionali di un paese come lo Zambia, vittima di una sotto alimentazione cronica, dove il mais è l'alimento essenziale.
Il nostro autore ci ricorda inoltre che

«l'Unione europea impone periodicamente l'incenerimento e la distruzione con mezzi chimici di montagne di carne e migliaia di tonnellate di prodotti agricoli di ogni sorta».

Le spese per le operazioni di distruzione costano, ogni anno, somme astronomiche ai contribuenti europei.

In merito al fatto che nelle scuole dei paesi ricchi esista un vero proprio tabù a parlare del problema in esame, il libro riporta l'opinione di Josuè de Castro, autore del celebre libro Geopolitica della fame, che già nel 1952, osservava:

«gli individui si vergognano così tanto di sapere che un gran numero dei loro simili muore a causa della mancanza di cibo che coprono questo scandalo col silenzio totale. Questa vergogna continua a essere condivisa dalla scuola, dai governi e dalla maggioranza di tutti noi».

Ma non basta. La FAO, che pure è in possesso dei dati precisi in materia, si sente costretta a diffondere un certo ottimismo, del tutto infondato, intorno alle possibilità di risolvere il problema. Se non lo facesse l'opinione pubblica dei paesi ricchi si rifiuterebbe di versare alla sede di Roma somme considerevoli, che finirebbero per essere giudicate un investimento inutile. «La menzogna è utile» conclude amaramente l'autore.

Silenzio e menzogne più o meno pietose consentono dunque alla coscienza degli abitanti dei paesi ricchi di soffrire di meno di fronte alla descrizione di spettacoli del tipo di quelli di cui si racconta nel testo in esame.

«Al Cairo quasi tutti i cimiteri sono abitati. Gli immigrati del Fayum, dell'alto Egitto e del Sudan, occupano abusivamente le tombe dei borghesi. Protetti dai mausolei di marmo, montano le loro assi, spiegano i loro teloni di plastica. Si costruiscono un rifugio, cucinano i loro magri pasti sul fuoco. Donne e bambini portano il cibo dalla discarica pubblica che si trova lì nelle vicinanze: avanzi gettati tutte le mattine dagli autocarri della nettezza urbana provenienti dai quartieri eleganti del Cairo».

La stessa cosa succede, naturalmente con delle varianti, in tutte le megalopoli del terzo mondo. Ziegler ci fornisce descrizioni sintetiche, ma sufficientemente raccapriccianti, delle conseguenze di tali condizioni di vita per la salute (soprattutto dei bambini): cecità, rachitismo, sviluppo insufficiente delle capacità cerebrali, vermi intestinali e così via.

Passando alle cause del problema, il saggio spiega con una messe più che abbondante di dati che:

«Principale responsabile della denutrizione e della fame sul nostro pianeta è la distribuzione ineguale delle ricchezze. Un'ineguaglianza negativamente dinamica: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri. Nel 1960 il 20% degli abitanti più ricchi della terra disponeva di un reddito 31 volte superiore rispetto a quello del 20% degli abitanti più poveri. Nel 1998 il reddito del 20% dei più ricchi era 83 volte superiore a quello del 20% dei più poveri.
Le 225 fortune più grandi del mondo rappresentano un totale di oltre mille miliardi di dollari, ossia l'equivalente del reddito annuale del 47% più povero della popolazione mondiale, circa 2,5 miliardi di persone. Negli Stati Uniti il valore totale netto della fortuna di Bill Gates è uguale a quello dei 106 milioni di americani più poveri».

Ziegler si sofferma in particolare su due delle cause per le quali che si determinano, si conservano, e si aggravano queste disuguaglianze.

In primo luogo sulla speculazione sui prezzi degli alimenti di prima necessità condotta da un «manipolo di banchieri» che controllano il mercato mondiale dei prodotti alimentari per mezzo della Borsa di Chicago. Conseguenza di tale speculazione sono:

* l'incapacità dei paesi poveri di acquistare generi alimentari per l'alto prezzo di vendita;
* la necessità per gli stessi paesi di abbandonare le tradizionali colture agricole per dedicarsi a monocolture che possano trovare uno sbocco commerciale;
* in definitiva, la totale dipendenza delle popolazioni che soffrono la fame dalle decisioni del predetto gruppo di banchieri che hanno come unico obbiettivo la pura e semplice massimizzazione del profitto.

In secondo luogo l'autore spiega e documenta quanto pesi nel causare la fame nel mondo l'appoggio dell'Occidente -tramite la fornitura di armi- alle guerre nei paesi in via di sviluppo; guerre nelle quali vengono dilapidati, i fondi destinati agli aiuti umanitari.

Dopo aver svolto un'analisi chiara e coraggiosa sia delle caratteristiche che delle cause del problema della fame il libro avanza anche qualche proposta circa i rimedi.

Su quest'ultimo punto il libro appare forse un po' carente.
Da un lato infatti propone un metodo di intervento coerente con l'analisi sopra esposta come quando afferma:

«È dunque l'attuale giungla del capitalismo selvaggio che è necessario civilizzare. L'economia mondiale è nata dalla produzione, dalla distribuzione, dal commercio e dal consumo alimentare. Affermare l'autonomia dell'economia rispetto alla fame è un'assurdità, o peggio ancora, un crimine. Non si può delegare al libero mercato la lotta contro il flagello della fame per saziare l'umanità.»

«Va cambiato l'ordine omicida del mondo».

E ancora: «Gli aiuti umanitari urgenti soffrono di una tara nascosta: raramente i donatori si interrogano sulla qualità delle strutture sociali del paese beneficiario degli aiuti. In altri termini, gli aiuti urgenti sono spesso riversati su paesi le cui strutture sociali, politiche ed economiche sono guaste, ingiuste o dominate dalla corruzione. Con tale metodo i donatori rafforzano il potere dei ricchi, cementano strutture sociali ingiuste e rispediscono i poveri alla loro miseria e a uno sfruttamento ormai secolare».

Dall'altro ci sembra che l'autore resti comunque più propenso a sostenere le azioni sugli effetti piuttosto che quelle sulle cause del problema.

Naturalmente riconosceremo che ad un libro di carattere divulgativo non è giusto chiedere proposte organiche e operative.

Tuttavia riteniamo che forse non sarebbe stato male dedicare qualche pagina in più soprattutto a questi temi:

* una documentazione un po' più analitica in ordine alle modalità attraverso le quali si svolge il processo di trasformazione degli aiuti umanitari in armi;
* una presa di posizione sulla quella causa del problema della fame che è costituita dalle dottrine religiose che continuano a predicare l'inviolabilità assoluta del comandamento (di origine asseritamente divina): «crescete e moltiplicatevi».

Lo sviluppo del primo tema avrebbe permesso certamente di indicare fra i rimedi una svolta radicale, e tuttavia realisticamente praticabile, della politica estera ed interna di molti dei paesi "occidentali" fra i quali l'Italia. Lo sviluppo del secondo avrebbe indicato un rimedio ancora più praticabile e a costo zero (salvo ovviamente il costo della lotta contro la stupidità di cui non ci nascondiamo le dimensioni colossali) e che ci sembra facile indicare nel comandamento (di origine meramente ed evidentemente umana) formulabile in questi termini «non mettere al mondo un figlio già condannato a morire di fame o a vivere in condizioni inumane».

Nonostante questa nota critica, ci sembra giusto ribadire che il libro merita di essere letto, diffuso e attentamente studiato, soprattutto perché, come notavamo, dice coraggiosamente la verità nuda e cruda che i mezzi di informazione dominanti tentano di nascondere o di edulcorare. E la verità, come si usava dire un a volta, è sempre rivoluzionaria; nel senso che il dire tutto ciò che è possibile conoscere intorno ai fatti che accadono è di per se stesso uno strumento che cambia i rapporti fra gli uomini e li rende più giusti e più gradevoli.

Ci permettiamo pertanto di raccomandare la lettura di questo piccolo libro in tutte le sedi nelle quali sia possibile discutere di libertà e di uguaglianza o, più semplicemente, di norme morali fondate sulla ragione umana. Tra queste sedi vorremmo indicare (sognando) le scuole italiane di ogni ordine e grado o comunque (senza dover sognare) le "associazioni culturali" in senso lato ossia quelle che, in un qualsiasi modo, si occupino del conoscere e del dire la verità.

 

Giorgio Pizzol
g_pizzol@estovest.net

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