Effetto serra e capitalismo
Ho preso spunto dal sito di Nexus, dove ho trovato l'intervento di Paolo Cortesi "Come imparai ad amare l'effetto serra" (http://www.nexusitalia.com/effettoserra.htm), che si preoccupava di come l'aumento della temperatura del globo, febbre sintomatica della crisi planetaria, venga sottovalutato o negato da ambienti di ricerca legati all'establishment tecnologico.
Mi è sembrata l'occasione per una riflessione più generalizzata sul disastro ambientale e sociale mondiale, che vorrei condividere con i lettori di Culturaviva, in sincronia con la recensione di Stefano, che ci rinfresca la memoria sul lavoro del grande Sermonti.
Condivido pienamente, di Cortesi, la netta condanna del capitalismo come sistema di produzione / consumo / progresso indefinito che non tollera limiti di nessun tipo (morale, economico, ambientale). Questo, per altro, è l'"Ordine del mondo" fondato sull'accumulazione della ricchezza, sulla delega del potere ad una sistema gerarchico e sullo sfruttamento degli schiavi che la civiltà occidentale si porta dietro fin dai tempi delle città-stato mesopotamiche. Poi tale ordine è passato attraverso la rivoluzione bancaria dell'Europa del XVI secolo, che ha messo definitivamente al potere un'oligarchia borghese, la quale si è dotata, con le rivoluzioni industriali moderne, di mezzi tecnologici sempre più invasivi che oggi permettono di esercitare un potere globale incontrastato sugli indigenti che popolano il resto del mondo.
Detto questo mi sembra che i mali insiti nel capitalismo e nell'industrialismo siano di ordine economico-sociale prima che ambientale. Nel senso che la distruzione delle culture, delle tradizioni, degli antichi mezzi di sussistenza, la riduzione degli uomini in schiavitù hanno priorità rispetto all'effetto serra, sia esso reale o presunto.
I lettori di Nexus sanno che alcuni scienziati dissidenti ritengono che la storia del buco nell'ozono sia una bufala (CFC troppo pesanti per raggiungere l'alta atmosfera). Tra questi vi è l'esimio Kary Mullis il quale ritiene che il Global Warming Panel (o come si chiama) sia una buffonata. E sappiamo bene quale statura morale e scientifica possieda il premio Nobel per la biochimica, distante anni luce dalle intenzioni dei figli di buona donna del Capitalism Magazine. Altri ricercatori sostengono che la CO2 atmosferica viene bilanciata dai meccanismi di deposizione del carbonio sotto forma di carbonato di calcio (come le barriere coralline del triassico stanno a dimostrare) e che la serie storica dei dati climatici è del tutto insufficiente a trarre delle conclusioni con un livello decente di affidabilità statistica.
Inoltre proprio in questi giorni (era agosto) sul sito di Nexus si discute della possibilità che questa crisi climatica europea sia artificiale (chemtrails e progetto HAARP).
Ora, non voglio essere frainteso. Io non ho una teoria preferita in proposito e non sto ribattendo all'articolo di Cortesi, che è un giornalista coraggioso e ammirevole. Attraverso Nexus vengono filtrati e veicolati scenari su cospirazioni innominabili e ognuno di noi è invitato a farsi un'idea propria di una situazione che è molto più complessa di ciò che sembra. Quindi non concentriamoci troppo sulla battaglia per il cambiamento climatico globale, perchè quando l'ortodossia scientifica, magari tra 20 o 30 anni, ci dirà che in realtà i calcoli erano sbagliati e che possiamo anche bruciare il doppio dei combustibili fossili senza pericoli, scopriremo di aver puntato sul cavallo perdente.
Le rivoluzioni industriali producono una serie impressionante di danni ambientali "locali" (distruzione di ecosistemi e quindi del suolo, della fauna e della flora necessarie alla sopravvivenza stessa degli autoctoni, diminuzione progressiva dell'acqua potabile disponibile, effetti tossici e degenerativi sulle popolazioni), che porteranno per forza di cose al crollo del sistema molto prima che qualcuno misuri realmente un aumento di temperatura del globo.
Le considerazioni di Fred Singer (fondatore e presidente del Science & Environmental Policy Project) non sono sbagliate anche se sembrano dettate dal cinismo (non possiamo permetterci di ridurre le emissioni del 60%-80%, quindi lasciamo perdere e continuiamo cos?). L'occidente è strutturalmente incapace di frenare la sua crescita e di riconvertirsi. E' in grado di creare "benessere" solo con la crescita materiale. Ergo, dato che l'UNICO modo di svilupparsi è quello di bruciare, costruire, consumare e buttare via, i paesi del terzo mondo stanno premendo per avere diritto anche loro a consumare le risorse necessarie a intraprendere le rivoluzioni industriali.
L'oligarchia che governa il mondo deve però impedire questa strada con ogni mezzo, altrimenti non avrebbe più il controllo sulle masse. Per questo qualcuno suggerisce che le limitazioni alle emissioni dei gas serra, che in "tutta fretta" si è cercato di approvare negli anni '90, fossero solo parte della strategia secolare che i paesi padroni attuano nei confronti delle loro (ex?) colonie per impedire di fatto che si mettano sulla via dello "sviluppo" (da cui la definizione perenne di paesi in via di sviluppo). In ogni caso ciò non toglie che abbandonare la strada del petrolio sia effettivamente un imperativo ecologico e morale per chi vuole immaginare una qualche forma di "sviluppo sostenibile".
Ma la trappola è qui. I paesi del terzo mondo si sviluppano per diventare che cosa, mi chiedo? Siamo di fronte a un dilemma antropologico e sociologico di vasta portata. Noi capiamo perfettamente che è insensato che quei popoli arrivino a possedere il videoregistratore e il condizionatore. Ma allo stesso tempo le popolazioni che per secoli sono state schiave dell'occidente e lo hanno visto in vetrina, ora vogliono anche loro il giocattolo. I secoli di colonialismo li hanno trasformati nell'ombra delle culture che erano millenni fa, sono ormai una moltitudine di individui senza struttura e senza anima che si affolla in metropoli tutte uguali, occidentali nell'architettura e nel funzionamento spietato. A parte le poche tribù ancora protette dagli ambienti selvaggi e le piccole comunità "civilizzate" che stanno recuperando gli antichi saperi (come alcuni Pellirossa nordamericani), tutti sono ormai "occidentali" nell'anima.
Anche le più antiche e feconde civiltà orientali, quella cinese e quella giapponese, che avevano elaborato sistemi armonici di crescita, demografica e materiale, dell'uomo nel suo ambiente, sono state azzerate, massificate e digerite dalle due contrapposte ideologie occidentali, il marxismo e il capitalismo ultra-liberista. Contrapposte solo nell'apparenza, dato che entrambe le filosofie credono ciecamente nel progresso materiale, nel "miglioramento" dell'uomo alla ricerca della felicità, divergendo solo su chi debba guidare il cammino delle magnifiche sorti e progressive: l'oligarchia invisibile (il mercato, i banchieri, gli imprenditori) oppure l'oligarchia di stato.
I Giapponesi in particolare hanno tentato di sublimare la cancellazione delle loro cosmogonie millenarie, sostituendo i miti fondanti della loro esistenza con il PIL, gli indici di borsa e il credo nella scalata sociale. Ma il risultato è stato una società con ritmi di crescita parossitici e con il più alto tasso di suicidi al mondo.
Viviamo in un mondo in cui gli analisti si stracciano le vesti quando il PIL scende di pochi punti percentuali. Non abbiamo più gli strumenti democratici per incidere sulla rotta che il gruppo dirigente mondiale, ha intrapreso verso l'auto-distruzione (leggasi Superclan di Giulietto Chiesa).
La sfida vera sarebbe rieducare il mondo "altro" a non seguire la strada che abbiamo intrapreso noi e a ritrovare significati e modi di vita che oggi si sono persi. Il problema è che la maggior parte di quei modi di vita e degli ecosistemi in cui si sono sviluppati li possiamo leggere sui libri, dai resoconti degli antropologi, ma oggi non esistono più. Saremmo noi in grado di riprodurli?
Io credo che il punto di non-ritorno sia già stato oltrepassato.
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