Le cozze accumulano plastica. L'allarme da una ricerca della NIVA
Lo studio ha valutato anche le diverse tipologie di plastica presenti nelle cozze e i risultati sono a dir poco sconcertanti. Nella foto, sono riportati quattro diversi polimeri trovati dentro le cozze (notate che la scala delle immagini è di un solo millimetro, quindi i frammenti fotografati sono di dimensioni inferiori al millimetro, praticamente invisibili a occhio nudo). In particolare, sono stati trovati pezzetti di polipropilene (in alto a destra), il polimero utilizzato per produrre moltissimi oggetti di uso comune tra cui anche le retine usate negli allevamenti di mitilicoltura. E’ quindi tristemente plausibile che i frammenti minuscoli in cui si scindono le tonnellate di retine in polipropilene gettate sui fondali del Mar Piccolo vengano poi filtrate dalle cozze allevate negli impianti di mitilicoltura".
Le cozze potrebbero servire da bioindicatore globale per l'inquinamento da microplastiche, una della ragioni è che non si muovono dal fondo del mare. Come riporta ecoseven.net
La nuova ricerca NIVA ha trovato in media 1,8 pezzi di microplastica nei molluschi norvegesi – tra l'altro proprio le cozze che vivono in acque ritenute incontaminate nell'Artico sono state trovate con la maggior quantità di plastica tra quelle testate vicino alla costa norvegese (i ricercatori hanno spiegato che le correnti oceaniche e i venti provenienti dall'America e dall'Europa possono trascinare la plastica verso nord, portandola poi nel Mar Glaciale Artico).
Gli scienziati non sono del tutto sicuri di come le microplastiche che si stanno instillando nelle creature marine incideranno sugli umani che le consumano, ma è bene tener presente che se mangiamo molti molluschi possiamo essere davvero a rischio. L'esperto di microplastiche e professore alla Plymouth University, Richard Thompson, ha detto a Reuters riguardo a questi dati, che «è un avvertimento che dobbiamo fare qualcosa per ridurre l'apporto di plastica all'oceano». Ci ha tenuto anche a sottolineare che: «al momento, è un motivo di preoccupazione piuttosto che un allarme per il consumo umano».
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