Premiate due attiviste di Bhopal
21.04.04
Secondo la Union Carbide fu “negligenza” quanto avvenne nella fabbrica ormai in disuso della UC di Bhopal, India centrale, nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984. Quasi vent’anni fa, durante una giornata festiva in cui si celebravano riti e matrimoni, il cattivo funzionamento del sistema di sicurezza permise all’acqua di lavaggio di raggiungere uno dei tre serbatoi che contenevano 63 tonnellate di isocianato di metile. La reazione chimica produsse un gas che cominciò a sprizzare dai condotti usurati del sistema idraulico e la nube che si liberò nell’aria invase rapidamente una parte della città di Bophal e in particolare gli slum appena a ridosso della fabbrica. Quel gas era acido cianidrico: cianuro. Dall’inconfondibile odore di mandorle amare.
Quella di Bopahl è una brutta storia che non è ancora finita e che ha a che fare, in un paese che, come molti altri, tende a chiudere un occhio sui pasticci delle multinazionali, con una maledizione che dura nel tempo. Forse anche per questo la Goldman Environmental, una fondazione americana che ogni anno assegna 750mila dollari a sei esponenti di altrettanti continenti che lottano per l’ambiente, ha voluto premiare quest’anno due ambientaliste di Bophal. Rashida Bee e Champa Devi Shukla utilizzeranno i 125mila dollari del premio per continuare la loro lotta contro la UC e la storia infinita e maledetta dell’eredità della nube al cianuro che uccise e continua a minare la salute di migliaia di persone ogni anno. Il premio, una sorta di Nobel per gli ambientalisti e che viene consegnato a S. Francisco, è stato dato alle due indiane per la loro attività che aveva il fine di non far dimenticare lo scomodo capitolo della Carbide, che formalmente era stato già rimosso con l’acquisizione dell’UC da parte della Dow Chemical. Per la Dow il capitolo era stato definitivamente chiuso nel 1989 col pagamento all’India, che gestì poi assai malamente quei quattrini, di 470 milioni di dollari per le compensazioni.
Ma per gente come Rashida Bee e Champa Devi Shukla la “mancia” aggiustata in tribunale non aveva chiuso la partita. Le due hanno cercato di trascinare nuovamente in tribunale la Dow e fatto pressione sulla gestione del caso da parte delle autorità indiane. Una ricerca dell’anno scorso (citata dal sito delle vittime: http://www.bhopal.net/index.php) e pubblicata dal Journal of the American Medical Association, dava infatti conto di come gli effetti nocivi del gas si stiano facendo sentire anche sulla seconda generazione di nati a Bophal. La “negligenza” di allora ha effetti nel tempo. Eppure i medici di Bopahl, a cui la Carbide non aveva mai rivelato l’esatta natura dei propri prodotti, non ne sapevano nulla quando arrivarono le prime vittime della nube tossica in quella notte di dicembre. Dovettero squartare cadaveri e praticare rapide autopsie e, prima che potessero stabilire la cura, si ritrovarono gli ospedali, le strade e infine i cimiteri, pieni di morti. Si parlò di ottomila morti, ma adesso quel bilancio è salito a ventimila. Con oltre 150mile persone che hanno risentito, in un modo o nell’altro, degli effetti della nube della morte.
In tempo di elezioni - si vota in India nei prossimi due mesi per il rinnovo del parlamento - è un episodio spiacevole da ricordare. La Carbide era in fondo anche il simbolo dell’ingresso prepotente delle multinazionali nella nuova India del progresso tecnologico. Quella shining India che campeggia oggi sui cartelloni propagandistici del Bjp, il partito nazionalista indù riciclatosi in messaggero del progresso liberista e modernista a tutti i costi. Anche a quello di qualche negligenza.
Sito delle vittime:www.bhopal.net/index.php
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