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Città soffocate dallo smog e invase dalle auto private, un’emergenza divenuta costante

Mal'aria 2019. Polveri e inquinamento di casa nostra

La situazione delineata da Mal’aria, il dossier annuale di Legambiente, sull’inquinamento atmosferico nelle città italiane.
29 gennaio 2019

Se fino a poco tempo fa ci si poteva nascondere dietro la scusante delle condizioni meteo-climatiche avverse della pianura padana o della stagionalità invernale, ora si può dire che sotto il tappeto c’è troppa polvere, anzi polveri sottili e ozono che ormai respiriamo a pieni polmoni troppi giorni all’anno.

Già nel 2018, l’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA), segnalava nel suo rapporto annuale, su dati del 2015, che ogni anno in Europa le morti premature per inquinamento sono 422.000 e l’Italia è tra i paesi peggiori, con più decessi in rapporto alla popolazione: 60.600 morti solo nel 2015.

Traffico urbano

Nel corso dello scorso anno i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili (PM 2,5) o per l’ozono (NOx) sono stati superati in ben 55 capoluoghi di provincia. Il triste podio se lo contendono Brescia con 150 giorni di sforamenti, Lodi 149 e Monza 140. Tutte le città capoluogo dell’area padana, tranne Cuneo, Novara, Verbania e Belluno, hanno superato almeno uno dei due limiti (dati e tabelle complete nel dossier allegato in fondo). Significa che in diverse città, per quasi la metà dell’anno, non si respira un’aria accettabile e sana.

Se il contributo all’inquinamento è determinato dall’interazione di diverse sorgenti (il traffico, il riscaldamento, le industrie e l’agricoltura), che caratterizzano ogni città, ad accomunare tutte le situazioni ci pensa, purtroppo, l’assenza di misure strutturali capaci di abbattere drasticamente le concentrazioni di inquinamento e di riportare l’aria a livelli qualitativi accettabili.
A nulla, o quasi, denuncia Legambiente, sono serviti i piani antismog scattati con il blocco (parziale) della circolazione dei mezzi più inquinanti.

Secondo l’EEA occorrerebbe una “trasformazione radicale della nostra mobilità” perché non bastano i limiti emissivi degli Euro 6 per ridurre gli inquinanti a rischio sanitario o per ridurre la CO2; l’ibrido e l’elettrico, poi,“sono un percorso obbligato ma non sufficiente”.

Occorre cambiare gli stili di vita e questa è la parte più difficile.

In Italia circolano ancora 38 milioni di auto private che soddisfano il 65,3% degli spostamenti. Eppure, sottolinea il rapporto, il 75% degli spostamenti sono inferiori ai dieci chilometri, il 25% è addirittura sotto i due chilometri. Ciò significa che moltissimi abitanti, soprattutto nei centri urbani, potrebbero rinunciare all’automobile per i propri tragitti quotidiani come già avviene in molte città europee.
L’Italia è uno dei paesi europei con il più alto tasso di motorizzazione (65 auto ogni 100 abitanti) ma, cosa ancor più preoccupante, negli ultimi anni il tasso medio dei capoluoghi italiani è aumentato passando da 62,4 a 63,3.

Il trasporto pubblico è una soluzione ma va guardata e usata con intelligenza. La rete ferroviaria suburbana e metropolitana del nostro Paese dispone di sole 41 linee contro le 81 della Germania, le linee metropolitanee sono 14, contro le 44 della Germania, le 30 spagnole e le 27 francesi.
Il bus è quindi il principale mezzo di trasporto collettivo (assorbe il 64% del traffico), ma il parco mezzi circolante non è dei più aggiornati. Secondo l’Ispra, gli autobus con standard emissivi inferiori all’Euro 4 sono ancora il 55% ma, nonostante crescano le percentuali di mezzi con performance migliori (gli Euro 6 sono il 13,4%), i comuni continuano a investire in mezzi alimentati con fonti fossili e inquinanti. Numeri e statistiche che si traducono inevitabilmente in perdita di attrattività verso i cittadini.

Si dovrebbero ribaltare le gerarchie degli spostamenti del nostro Paese (oggi siamo al 65,3% di spostamenti in auto, 17,1% a piedi, 3,3% in bici, 3% in moto, 4,4% con trasporto pubblico, 2,2% in pullman e treno e solo il 4,6% combina mezzi diversi tra loro), puntando al salto tecnologico delle “zero emissioni” e dei cambiamenti radicali degli stili di vita.

“Eppure – dichiara Zampetti, direttore generale di Legambiete - per uscire da questa emergenza gli strumenti ci sarebbero: ogni città dovrebbe adottare dei PUMS (Piani Urbani di Mobilità Sostenibile) ambiziosi. Il Ministero dell’Ambiente dovrebbe guidare le città, supportando e verificando le scelte fatte affinché siano coerenti con le scelte e i piani nazionali; inoltre il governo dovrebbe finanziare i progetti davvero utili per mettere in campo questa rivoluzione e allo stesso tempo dovrebbe destinare più risorse per incentivare davvero la mobilità sostenibile”

Tra le altre proposte che lancia il rapporto merita attenzione la necessità di una progressiva ma inesorabile uscita delle auto dalle città: “passare dal progettare città per le macchine a città per le persone”. Regolamentare in maniera forte e vincolante zone centrali a pedaggio e lavorare ad una differente politica tariffaria delle soste, i cui ricavi siano investiti nell’efficientamento del trasporto urbano e della mobilità. Ripensare gli spazi delle città, creare nuove “zone 30” e reti ciclabili complete e diffuse.
Occorre affrontare con coraggio scelte di tassazione e/o di incentivi sulle emissioni, prevedendo criteri sociali che rispettino anche la progressività dei redditi dei cittadini.
Non ultima, ricorda Legambiente, la ripresa di un lavoro di consultazione delle parti sociali per varare una Roadmap al 2030 e al 2050 con l’obiettivo della completa decarbonizzazione (emissioni zero) del settore della mobilità.

Qualche nota positiva c’è: Bolzano (in cima anche nella classifica dei capoluoghi più bike friendly), Firenze, Pisa, Torino, Milano, Bologna e Venezia sono le città dove più del 50% degli abitanti cammina, pedala o usa i mezzi pubblici. Nei Comuni capoluogo, inoltre, torna a crescere, dopo un triennio di stasi, l’estensione delle isole pedonali (+4,5%).

Il cambiamento climatico, purtroppo, non è al passo del cambiamento politico. Attuare politiche efficienti in materia ambientale vuol dire lavorare su progetti e risultati di lungo periodo, fare scelte coraggiose e politiche slegate dal ritorno immediato in termini di consenso. Le agende politiche odierne, invece, sono completamente orientate al breve, se non al brevissimo periodo, agende dove le politiche ambientali hanno ruoli marginali se non di facciata, agende a scadenza elettorale.
Eppure sono in ballo il futuro e la salute della nostra casa Terra, l’unica casa al momento.

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