Energia, la nostra compagna di strada
I problemi energetici, nonostante la loro forte incidenza, sia sull'ecosistema terrestre, in particolare sui mutamenti climatici, sia nelle cause dei conflitti internazionali in corso e nella iniqua ripartizione delle risorse tra i popoli del nord e del sud del mondo, sia sulla qualità della vita e sulla salute degli uomini, non vengono considerati dalle forze politiche con l'attenzione e l'impegno che sarebbero necessari. Quando non sono sottovalutati, sono tutt'al più considerati come uno dei tanti argomenti settoriali da inserire nel mosaico dei loro programmi politici. I quattro firmatari del testo che segue, a vario titolo impegnati da anni su questi problemi energetici con approcci di tipo tecnico ed economico ritengono invece che per affrontarli in modo efficace li si debba porre al centro della politica economica e industriale dei paesi industriali avanzati: solo così facendo si possano anche affrontare in modo efficace i problemi economici e occupazionali che questi paesi attraversano. A tal fine sottopongono all'attenzione di movimenti e partiti le loro riflessioni in proposito, con l'auspicio di contribuire a superare la visone settoriale con cui troppo spesso sono impostate le tematiche ambientali.
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L'efficienza con cui si usa l'energia in Italia è molto bassa. Il nostro sistema energetico è come un secchio bucato che nei processi di trasformazione dalle fonti fossili agli usi finali e negli usi finali (calore, freddo, forza, illuminazione) spreca sotto forma di calore degradato più energia di quella che rende disponibile.
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I consumi delle fonti fossili si suddividono in tre categorie più o meno equivalenti: il riscaldamento degli ambienti; la produzione di energia termoelettrica, l'autotrasporto. Nel riscaldamento degli ambienti la legge tedesca non consente di superare i 70 kWh al metro quadrato all'anno. Le case passive (l'unico settore trainante nell'edilizia tedesca) non possono superare i 15 kWh/m2/a. In Italia, con un clima molto più mite, si calcola (ma nessuno sa fornire dati precisi) che si raggiungano i 150-200 kWh/m2/anno. Il rendimento medio attuale del parco centrali termoelettriche è del 38%. I cicli combinati raggiungono il 55%. La cogenerazione diffusa, oggi assolutamente sottoutilizzata, il 94%. Nel settore automobilistico, dopo il dimezzamento dei consumi avvenuto negli anni settanta, non ci sono stati ulteriori miglioramenti, ma Greenpeace negli anni novanta ha fatto costruire un'autovettura che supera i 40 km con un litro di benzina e le case automobilistiche hanno già realizzato prototipi di media cilindrata che raggiungono i 100-120 km con un litro di benzina.
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Allo stato attuale della tecnologia è quindi possibile dimezzare i consumi di fonti fossili accrescendo l'efficienza dei processi di trasformazione energetica e utilizzando quei veri e propri giacimenti nascosti di energia costituiti dagli sprechi, dalle inefficienze e dagli usi impropri.
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Accrescendo l'efficienza, si riducono i consumi di energia alla fonte a parità di servizi finali. Pertanto si riducono contemporaneamente le emissioni di CO2 e i costi della bolletta energetica. I vantaggi ecologici sono direttamente proporzionali a quelli economici.
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Questo è inoltre il pre-requisito per favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che hanno rendimenti molto inferiori e molto più irregolari delle fonti fossili. Se i consumi energetici (di cui almeno la metà sono sprechi) si riducono, le fonti rinnovabili possono soddisfarne una quota significativa, altrimenti il loro contributo rimane irrisorio.
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Una politica energetica finalizzata a ridurre le emissioni di CO2 deve pertanto articolarsi in due fasi: la riduzione al minimo dei consumi e la soddisfazione dei consumi residui nei modi meno inquinanti a parità d'investimento.
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La clausola economica è fondamentale se si vuole fare un discorso concreto. Un esempio lo chiarirà. Il fotovoltaico azzera le emissioni di CO2, ma 1 kW di potenza di picco costa 10 volte di più di 1 kW in cogenerazione diffusa, che le riduce invece del 50%. Quindi, a parità d'investimento la cogenerazione diffusa riduce le emissioni di CO2 5 volte di più del fotovoltaico.
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Il passo preliminare per favorire lo sviluppo delle tecnologie che riducono le emissioni di CO2 è un'accurata diagnosi energetica degli utilizzatori finali di energia per capire dove e come, a parità d'investimento, si possono ottenere le maggiori riduzioni di sprechi, inefficienze e usi impropri. E i risultati migliori in termini ambientali sono i risultati migliori in termini economici.
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La chiave di volta per avviare un meccanismo di questo genere sono le Esco (Energy Service Company), società che realizzano a proprie spese le ristrutturazioni energetiche dei loro clienti, richiedendo in cambio, per un numero di anni prefissato contrattualmente, i risparmi economici conseguenti ai risparmi energetici che riescono a ottenere. Queste imprese si assumono il rischio finanziario e più sono capaci di accrescere l'efficienza, cioè di ridurre le emissioni di CO2 a parità di servizi energetici finali, più guadagnano.
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Questo meccanismo concorrenziale sarebbe estremamente vantaggioso per gli enti pubblici, perché consentirebbe loro di ridurre i propri consumi senza effettuare spese d'investimento, e di mettere in concorrenza le aziende sulla durata del pay back. La maggiore efficienza e il maggior risparmio richiedono infatti i tempi di ritorno più brevi. In questo modo si darebbe una spinta determinante allo sviluppo delle tecnologie che riducono le emissioni di CO2 a parità di servizi finali dell'energia.
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Le tecnologie che accrescono l'efficienza energetica sono economicamente mature e, spesso, trasferibili da altre applicazioni. Ad esempio: per costruire microcogeneratori (un motore automobilistico collegato con un alternatore, inseriti in una scatola di metallo) occorrono le stesse professionalità, gli stessi impianti e le stesse tecnologie del settore automobilistico.
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A differenza delle fonti alternative, il miglioramento dell'efficienza energetica non richiede finanziamenti pubblici e a parità di investimento riduce di un ordine di grandezza in più i consumi di fonti fossili: dai decimi di punto alle decine di punti percentuali.
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Una politica energetica impostata in chiave economica, e non ideologica, può essere il fulcro di una ripresa produttiva e occupazionale che consentirebbe ai paesi industrializzati di uscire dalla attuale fase di recessione, mentre gli strumenti tradizionali di governo dell'economia (abbassamento del costo del denaro, lavori pubblici e incentivazione dei consumi attraverso una riduzione delle tasse) hanno dimostrato di essere diventati inefficaci. Si pensi agli effetti occupazionali che avrebbe un programma di politica economica incentrato sulla ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio nazionale per allinearlo agli standard della legislazione tedesca, oppure sulla produzione di micro-cogeneratori a compenso della minore produzione di automobili negli stabilimenti Fiat.
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La stessa metodologia operativa può essere applicata in tutti gli altri settori che generano gravi forme di impatto ambientale (ad esempio: i rifiuti), o a quelle risorse che iniziano a scarseggiare (l'acqua); perché la causa di questi fenomeni consiste soprattutto negli usi inefficienti e negli sprechi. Molto di quanto negli attuali processi produttivi diventa rifiuto o emissione inquinante, con opportune tecnologie può tornare a essere materia prima per altri processi produttivi, determinando una riduzione di costi direttamente proporzionale alla riduzione dell'impatto ambientale.
- Fare uscire dalla sua specificità la politica energetica e ambientale per farla diventare la chiave di volta della politica industriale ed economica è l'unico modo per ottenere risultati significativi sia in termini ecologici, sia in termini produttivi e occupazionali. Questo è l'unico modo per avviare un circolo virtuoso nei paesi industriali avanzati, con effetti benefici anche per i paesi non industrializzati, sia perché consente una più equa redistribuzione delle risorse, sia perché indica un modello di sviluppo ecologicamente più compatibile di quello che alcuni di essi stanno intraprendendo. L'uso più efficiente delle risorse diminuisce infatti i costi di produzione e i risparmi economici che ne conseguono, consentono di pagare gli investimenti, i salari e gli stipendi nei settori produttivi e nelle tecnologie che accrescono l'efficienza nell'uso delle risorse. L'occupazione necessaria a ristrutturare energeticamente il patrimonio edilizio o a produrre cogeneratori sarebbe pagata dalla diminuzione dei costi di importazione dei prodotti petroliferi. Più si accresce l'efficienza, più si risparmia, più si può investire nella crescita dell'efficienza. Questo è il nuovo circolo virtuoso che deve essere innescato per risanare l'ambiente e il sistema economico e produttivo.
- Un sistema di incentivi e disincentivi fiscali finalizzato ad accrescere gli investimenti nelle tecnologie che migliorano l'efficienza energetica, e più in generale nell'uso delle risorse, è pertanto l'elemento decisivo per rilanciare l'economia, consentendo contemporaneamente di accrescere l'occupazione e ridurre l'impatto ambientale.
Luca Mercalli (luca.mercalli@nimbus.it)
Mario Palazzetti (m.palazzetti@novaengineering.net)
Maurizio Pallante (mpallante@libero.it)
Bruno Ricca (bruno.ricca@editoririuniti.it)
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