Sui rifiuti di plastica la Germania si illude
Nel frattempo, la Germania si ritiene particolarmente rispettosa dell’ambiente, ma in realtà non lo è. Ingenti quantità di rifiuti da imballaggio vengono esportate in Asia, dove grandi quantitativi finiscono in discarica e da lì giungono fino al mare, con le note conseguenze sugli esseri viventi che popolano gli oceani e sulla catena alimentare dell’uomo.
In alternativa, il Paese dà alle fiamme la sua immondizia negli inceneritori che sorgono sul suo suolo e funzionano a pieno regime da quando la Cina ha detto stop alle importazioni. Ciò provoca un aumento di produzione di CO2, sebbene tutti concordino circa la necessità di ridurre le emissioni. L’industria locale, tuttavia, non ricicla i rifiuti della nazione, ma importa pellet di materie plastiche dagli altri Paesi europei per produrre nuovi contenitori in plastica, quando non utilizza il petrolio grezzo, dal momento che è meno costoso.
All’industria piace vestirsi di verde. Ma le persone non vogliono più essere prese in giro
Il governo federale, oltretutto, fa passare come obiettivo una quota di riciclaggio, ovvero il 63 per cento della plastica, che è pura fantasia. Anziché cosa viene effettivamente riciclato, quindi l’output, ci propina ciò che viene condotto nei centri per la raccolta dei rifiuti, l’input. La percentuale di ciò che la maggior parte dei meticolosi, ma non sempre informati utenti tedeschi è solita intendere con riciclo, ovvero che da un contenitore di plastica nasce un nuovo contenitore di plastica, resta ben al di sotto del dieci per cento. La Germania è un Paese che si illude. Il bilancio, dopo 30 anni di raccolta differenziata, è disastroso. Purtroppo, è frutto anche del fallimento della politica.
Ecco perché di primo acchito questa iniziativa dei rivenditori era apparsa molto lodevole. La catena di drugstore dm era riuscita a radunare, in relativamente poco tempo, 30 aziende intorno a sé che avrebbero potuto fare realmente qualcosa per ridurre i quantitativi di rifiuti plastici, tra queste, grandi produttrici come Henkel, Procter & Gamble o Beiersdorf. Per mesi hanno discusso su come venire a capo di questo problema. Unite avrebbero potuto realmente smuovere qualcosa. Nei negozi dm e Rossmann fanno acquisti così tante persone che avrebbero potuto raggiungere la metà delle case tedesche. Il risultato, però, è sconfortante.
Le imprese si sono accordate sull’esposizione di un logo che rappresenta un piccolissimo denominatore comune. Mette semplicemente in luce una “elevata quota di riciclaggio” senza fornire precise indicazioni sulla percentuale o il tipo di plastica. Oggi, a distanza di pochi giorni dall’introduzione del logo, a chi si reca nei negozi dm salta agli occhi come il logo venga usato, non unicamente, ma particolarmente spesso, per sponsorizzare i propri marchi. Come se fossimo stati troppo ingenui a credere che alle aziende stesse realmente a cuore l’ambiente e non il proprio tornaconto. Il tema rifiuti di plastica è talmente sentito dalla società che le imprese lo stanno sfruttando per “vestirsi” il più possibile di verde. È ciò che si vede passando in questo momento davanti agli scaffali dei negozi di queste catene di drugstore.
È vero che subito all’entrata i clienti vengono diretti verso uno stand informativo sul riciclo. Il che è utile, visto che sono in molti a non essere sufficientemente informati. I prodotti messi in evidenza da cartellini dei prezzi recanti una cornice di color blu tenue, però, sono estremamente pochi e soddisfano gli standard minimi. Inoltre sono esposti subito accanto ai prodotti non autorizzati, i quali si pubblicizzano da sé con proprie etichette informative. È da anni che tutte le aziende produttrici operano in questo modo, ora dm e Rossmann forniscono loro l’opportunità di fare greenwashing grazie a questa campagna. Negli scaffali troviamo anche le bottiglie “Ocean Plastic” di Procter & Gambles, sebbene da molto tempo sia stato dimostrato che nulla hanno a che fare con la plastica recuperata dall’oceano.
Non è così che ridurremo la quantità dei rifiuti di plastica. L’industria non ha capito le esigenze di una larga fetta dell’opinione pubblica. Dopo 30 anni di per lo più inutile differenziazione della plastica non vuole più essere presa in giro. È arrivato quindi il momento che la politica si occupi correttamente della questione.
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