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L'obiettivo della riduzione di emissioni di CO2

Il «Green Deal» europeo crede ancora nella crescita verde

La nuova presidente della Commissione Europea annuncia il nuovo ambizioso «Green Deal»: previsti 1000 miliardi di euro in 10 anni, pari a un quarto del budget dell'Unione. Ma la crescita economica resta in programma, tra plausi e critiche.
12 dicembre 2019
Mathilde Dorcadie (corrispondente da Bruxelles della rivista ecologista "Reporterre")
Tradotto da Pietro Anania per PeaceLink
Fonte: Reporterre, quotidien d'écologie en ligne - 12 dicembre 2019

Traduzioni

Reporterre La nuova presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha presentato mercoledì 11 dicembre agli eurodeputati il  suo progetto di «patto verde» (o «Green Deal»), che traccia le linee guida della politica climatica europea. 

  • Dalla corrispondente di Reporterre a Bruxelles 

L’obiettivo è stato ribadito ovunque: fare dell’Europa il primo continente neutro in emissioni di CO2, da qui al 2050. La formula è destinata a lasciare un segno negli animi e a incarnare le ambizioni della nuova legislatura della Commissione Europea, che avvia qui il primo grande dossier politico dalla sua recente entrata in funzione. L’idea di questo patto era uno dei grandi progetti alla base della candidatura di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione, ed è oramai presentato come la priorità della sua politica per l’Unione Europea (UE). 

«Il patto verde (Green Deal) per l’Europa che presentiamo oggi è la nuova strategia di crescita inclusiva dell’Europa. Permetterà di ridurre le emissioni, creando impiego e migliorando la nostra qualità di vita, senza dimenticare nessuno», ha specificato la nuova presidente, che ha inoltre tentato di includere le imprese nel suo discorso, prome Ursula van der Leyen : « La route sera longue et parfois agitée, mais nous savons que c’est faisable. »

ttendo loro delle «nuove prospettive economiche ». 

A Bruxelles l’annuncio dei dettagli di questo piano era assai atteso, dovendo esso rispondere alle aspettative degli elettori europei, che alle elezioni dello scorso maggio si erano pronunciati in favore di più ampie politiche ambientali. Un’altra ragione è che la UE resta «ben al di fuori della giusta strada per raggiungere tutti i suoi obiettivi ambientali e di sviluppo durevole», come ha ricordato l’Istituto europeo per le politiche ambientali (IEEP). 

Un impegno a ridurre le emissioni dei paesi UE dal 50 al 55 per cento da qui a 10 anni 

La circostanza dell’annuncio s’inscrive nell’attualità del voto (simbolico) degli eurodeputati che hanno decretato, lo scorso 28 Novembre, lo stato d’urgenza climatico. Durante il suo discorso di apertura della plenaria straordinaria, mercoledì, Ursula von der Leyen si è rivolta ai deputati europei chiedendone il sostegno: «Nulla si farà senza di voi! La tabella di marcia dovrà essere adattata e la strada sarà lunga e a tratti agitata, ma sappiamo che si può fare.» La presidente conta poi, in sede del suo primo summit europeo che avrà luogo giovedì e venerdì a Bruxelles, di convincere i capi di Stato e dei governi a investire nella transizione a livello nazionale. Prima di recarsi, sempre in settimana, a Madrid, per presentare il suo piano al resto della comunità internazionale in seno alla COP25. 

Quali sono dunque le misure che, in questo 11 dicembre, l’esecutivo europeo ha proposto? Innanzitutto l’impegno a ridurre le emissioni dei paesi della UE dal 50 al 55 per cento da qui a 10 anni. Per raggiungere tale obiettivo, saranno coinvolti tutti i settori dell’economia, dall’industria ai trasporti, dall’agricoltura all’edilizia. 

Il patto verde propone di estendere il sistema di scambio delle quote di emissione, che aiuta già la UE a ridurre le emissioni provenienti dai settori energetico, industriale e dei trasporti marittimi (le quote gratuite per i trasporti aerei saranno ridotte). Bruxelles prevede ugualmente una carbon tax alle frontiere per evitare la concorrenza sleale di vicini meno virtuosi. Infine, gli annunci evocano inoltre l’ambizione di rinforzare l’economia circolare (attraverso un impiego più sostenibile delle risorse) e di preservare la biodiversità dell’Europa. 

Per finanziare il progetto, la Commissione annuncia un piano d’investimenti di 1.000 miliardi di euro nel corso del prossimo decennio (ovvero 100 miliardi per anno). Si tratterà d’investire particolarmente nelle energie pulite e di sostenere la ricerca e l’innovazione nelle tecnologie a basse emissioni. Sarà inoltre creato un Fondo per la ‘’ Giusta Transizione’’ (Just Transition, ndT) per aiutare le regioni più in difficoltà e più in ritardo. Ma la provenienza delle risorse (100 miliardi di euro in sette anni) e i criteri di attribuzione delle stesse non sono stati ancora precisati. In ogni caso, l’obiettivo a lungo termine è che almeno il 25% della spesa pubblica dell’Unione sia dedicato alla transizione ecologica. 

Rispetto all’agenda, la prima legge europea sul clima sarà proposta dalla Commissione al voto del Parlamento Europeo nel marzo 2020. Durante il prossimo anno sarà presentato un piano globale per la realizzazione entro il 2030 dell’obiettivo di riduzione delle emissioni del 50%. « Dobbiamo essere già in moto verso la COP26 prevista a Glasgow per l’anno prossimo », ha detto Franz Timmermans, commissario al Clima e vicepresidente esecutivo del green Deal europeo, che lui stesso definisce una « mano tesa a tutti i soggetti partecipanti ». 

"A che serve dedicare parte del bilancio per salvare i cambiamenti climatici, se un'altra parte promuove politiche che lo peggiorano?"

In molti accolgono con favore la presa di coscienza del nuovo esecutivo europeo, come il presidente della Commissione Ambiente del Parlamento, Pascal Canfin (appartenente al gruppo parlamentare Renew Europe) che ha parlato con entusiasmo di un passo storico: «Si tratta del  più grande piano continentale di transizione ecologica, dal momento che gli Stati Uniti si saranno ritirati dagli accordi di Parigi». Sussistono tuttavia parecchie riserve. «La Commissione Von der Leyen è sincera, ma non misura l’ampiezza del problema: si resta nella mistica della crescita verde, mentre è tempo di mettere in atto un cambiamento di modello, di passare da un’Europa neoliberale a un’Europa dello Stato sociale, e di dare inizio all’era della decrescita», sostiene Aurore Lalucq, eurodeputata francese (PlacePublique/S&D), ispiratrice di un gruppo transpartisan sulla questione della transizione ecologica. 

Gli eurodeputati ecologisti ricordano, per esempio, che il progetto della Commissione non rimette in causa le politiche comuni sull’agricoltura (PAC), che continuano a favorire gli attuali modelli produttivisti. «Che senso ha dedicare una parte del budget UE al cambiamento climatico, se un’altra parte promuove delle politiche che l’aggravano?» ha sottolineato il deputato belga Philippe Lamberts, vicepresidente del gruppo parlamentare dei Verdi, che ha inoltre ricordato all’emiciclo la contraddizione rappresentata dalle tendenze ‘’liberoscambiste’’ della UE, che tuttora firma con altri continenti dei trattati commerciali ritenuti «climacidi». 

Questioni espresse ugualmente dai deputati della sinistra unitaria europea (GUENGL), che hanno proposto, poche ore prima della plenaria, un contro-progetto per chiedere un patto «verde e sociale», chiedendo obiettivi vincolanti e più ambiziosi, come il passaggio al 100% di energia rinnovabile entro il 2050. Rispetto ai trasporti, la deputata Manon Aubry ha domandato come potrà concretizzarsi la volontà di favorire il trasporto merci su rotaia, dal momento che si assiste dappertutto in Europa allo smantellamento delle imprese pubbliche dei trasporti. 

Per Marie Toussaint, deputata EELV (Europa Ecologia / Verdi), la Commissione non si spinge abbastanza lontano, dal momento che l’esecutivo europeo pensa che «si debbano ancora risparmiare le multinazionali, le banche e il sistema che ci hanno condotti in un vicolo cieco. Serve un Green Deal che giri le spalle alle industrie fossili e cessi ogni finanziamento per tutti e tutte coloro che distruggono il nostro pianeta». Con il suo gruppo parlamentare, la deputata europea chiede inoltre di portare al 65% l’obiettivo di riduzione delle emissioni da qui al 2030. 

L’obiettivo del 55% è stato giudicato insufficiente anche da Greenpeace, secondo cui la risposta offerta dal Green Deal, seppure giudicata ambiziosa per la sua ampiezza, resta «troppo ristretta e tardiva», come dichiarato da Franziska Achterberg, portavoce dell’organizzazione in merito agli affari europei. 

Infine, da parte della Fondazione Nicolas Hulot  per la natura e l’Uomo, giungono critiche rispetto al fatto che lo sforzo finanziario proposto è ancora «ben lontano dalla meta». Secondo le stime della fondazione, «il piano da 100 milliardi annui non copre che un terzo dei bisogni di finanziamento». 

Tradotto da Pietro Anania, revisione di Antonella Recchia, adattamento di Antonella Recchia per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.

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