La leggerezza del legno come segreto della sua longevità
Archeologicamente parlando, abbiamo avuto età della pietra, del rame, del bronzo, del ferro. La mitologia ha favoleggiato di unʼetà dellʼoro. Attendibilmente perché esso è un materiale più deperibile o meno prezioso, unʼetà del legno non è mai stata contemplata sul serio. Eppure, lʼassiduo utilizzo o unʼincisiva presenza del legno hanno attraversato e caratterizzato le altre età a lungo.
Prendiamo in considerazione lʼesempio biblico: si va dallʼedenico albero della conoscenza del bene e del male allʼarca di Noè durante il diluvio universale, fino alla croce evangelica. Sullo sfondo di questa narrazione, è evidente una consuetudine di sfruttamento delle aree boschive, di coltivazione arborea e lavorazione del legno. Potremmo addirittura affermare, fin dalla preistoria unʼetà del legno è stata e in parte è ancora onnicomprensiva e trasversale, rispetto ad altre della civilizzazione umana.
Lo storico in particolare mediterraneo Carlo Ruta si è posto il problema, nel libro intitolato “La lunga età del legno. I paradossi della materia «debole» e le rotte delle civiltà” (Edizioni di Storia e Studi Sociali, Ragusa 2020; pp. 144), giungendo alla conclusione che il legno è stato il materiale più impiegato non solo nellʼantichità; anzi, il quale ha maggiormente concorso al progresso tecnico e di riflesso civile.
Perciò, lʼautore ripercorre le tappe principali di tale sviluppo, a partire dalla navigazione specialmente in area mediterranea e in tempi remoti. Già allora, il legno fu notoriamente usato per la costruzione di imbarcazioni in grado di coprire distanze sempre più lunghe, diventando vere e proprie navi: mezzi di trasporto adatti al commercio, alle prime scoperte geografiche e migrazioni di popoli, ancor prima e meglio che essere adibiti quali strumenti per eventuali conflitti.
Già prima della “scoperta del mare”, citata nel titolo del terzo capitolo dellʼopera, nei capitoli intitolati “Prima della storia” e “Fiumi e laghi come «bussole»” si rileva come il legno fu una materia prima protagonista, nella transizione dallʼabitazione in caverne o tende, tipiche di cacciatori e pastori, a quella in capanne e palafitte, caratteristiche di contadini o pescatori.
Soprattutto queste ultime furono collegate allʼinvenzione di agili canoe o leggere piroghe, in grado di attraversare laghi e percorrere fiumi, conferendo alle genti interessate una capacità di mobilità e conoscenza superiore a quella pure messa in atto dal nomadismo pastorale. Gli esempi generalizzati della navigazione fluviale nelle valli prevalentemente agricole del Nilo o del Tigri e dellʼEufrate, rispettivamente in Egitto e in Mesopotamia, sono poi assai significativi circa il passaggio dalla preistoria allʼalba della storia.
Con particolare riferimento allʼEgitto faraonico, commenta il nostro storico, a pagina 41: “Era partita allora da lì, dalle distese liquide che opponevano una «logica» ai grovigli naturali, la prima rivoluzione, eccezionalmente lenta ma feconda, intangibile ma penetrante,in grado di comporre alla lunga, con l’uso anche di una manualità guidata, le linee orientative della razionalità umana. E tutto questo aveva a conti fatti un sostrato di legno, oltre che di acqua”.
Filosofia della storia quindi, piuttosto “materica” che materialista, mirata a sottolineare come la cultura derivi pur sempre dalla natura, anche se grazie alla mediazione di quella che verrà assunta in quanto vocazione ideale e perfino spirituale dellʼumanità. In altri termini, la “debolezza” e leggerezza del legno, paragonata a quella dellʼesserci in questo mondo, la quale a oltranza si tramanda, evolve e perdura, purché beninteso ci manteniamo allʼaltezza di assicurarle una sufficiente continuità e sostenibilità.
Senza trascurare il ruolo dei Fenici e di altri popoli più o meno marinari, nei capitoli successivi antichità greca e romana vengono prese in esame con riguardo al loro rapporto privilegiato con la sostanza lignea, per farci infine affacciare su Medioevo e Rinascimento, impersonato nel genio progettuale di Leonardo da Vinci. Nella sua lungimirante inventiva, nellʼimmaginario macchinico ormai abbozzato, infatti il legno è ancora strutturale. Esso rientra in una relazione armonica, con lo studio della natura altrove perseguito dallʼartista-scienziato.
Se lʼarcheologia tradizionale ci ha illuminato a proposito delle cosiddette età dei metalli e susseguenti, lʼapporto relativamente recente di quella subacquea ha contribuito non poco alla nostra consapevolezza dellʼimportanza del legno in tempi lontani e pre-moderni. Tuttavia, è il caso di chiederci, che cosa accadde in seguito? Lʼarboreo elemento ha forse conservato il suo spesso sottovalutato primato?
È di nuovo Carlo Ruta a renderci memori e pensosi in merito, nellʼultimo sintetico paragrafo della sua trattazione critica: “L’implosione tecnologica del legno è cominciata dalla seconda metà del XVIII secolo, con l’avvento delle macchine a vapore, e, dal secolo successivo, con la grande industria siderurgica, che, con il supporto forte dell’elettricità, mentre lanciava l’industria dei motori, annunciava già quella del volo. Ma la materia «debole», orientativa e generativa di conoscenze e abilità sin dalla preistoria più profonda, mentre le tecnologie si evolvono a ritmi esponenziali e sempre più si accendono nella vita concreta i rischi di nuovi «grovigli», rimane un sostrato immanente della razionalità.”
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