«Un film distrugge la Terra. Così la salviamo»
Il mondo scientifico americano ha un sogno: il risveglio ecologico dell’America. Spera che il Paese, tra i meno sensibili ai problemi dell’ambiente, ne prenda finalmente atto e agisca. E dopo avere fallito con i libri, gli articoli sui giornali, le conferenze, punta su un film per realizzare il suo sogno: «The day after tomorrow» («L’alba del giorno dopo» il titolo italiano). Il film è il padre di tutte le pellicole sulle catastrofi naturali che impazzano a Hollywood che uscirà il 28 maggio negli Usa e in Europa.
SCIENZIATI - Narra di una nuova età delle glaciazioni provocata dall’effetto serra, della devastazione di Roma e New York, Rio de Janeiro e Nuova Delhi, del rischio di estinzione dell’umanità. «Mi auguro che l’ecologia ne tragga lo stesso beneficio che lo studio della preistoria trasse da "Jurassic park"», dichiara l’oceanografo Tim Barnett. «Come quel film, anche questo non ha base scientifica. Ma prima ancora di uscire nelle sale desta un interesse enorme».
Inizialmente ostili a «The day after tomorrow», gli scienziati statunitensi hanno finito per appoggiarlo persuasi che l’immagine produca più effetto sul pubblico della parola scritta. Il climatologo Dan Scharg, che lo ha visto in anteprima, ammette di esserne rimasto sconcertato: «È così apocalittico da temere che faccia perdere fede nella scienza. Ma a ripensarci, scuoterà la gente dall’apatia». Scharg riassume brevemente la pellicola: la calotta polare si scioglie all’improvviso - cosa scientificamente impossibile - le correnti degli oceani si raffreddano, la Terra è avvolta dal ghiaccio, sopravvivere diventa una battaglia quotidiana.
IL GOVERNO HA TENTATO DI BLOCCARLO - «The day after tomorrow» ha però un nemico nell’amministrazione Bush, che ha tentato di bloccarlo. Il motivo è che è una implicita critica della politica ecologica, o meglio antiecologica, del presidente. Dopo avere criticato il protocollo di Kyoto contro l’emissione di gas naturali, l’amministrazione ha adottato altre misure a favore delle industrie inquinanti che hanno generato la rivolta dei verdi. Non a caso, a New York il film verrà lanciato da un’associazione nemica di Bush, «Moveon» (Va avanti), che terrà un simposio con l’ex vice presidente Al Gore, sconfitto da Bush alle elezioni del 2000, e con Robert Kennedy, il nipote del presidente John Kennedy, e distribuirà volantini in tutti gli Usa. Peter Schum, il direttore, ritiene che il film aiuterà il candidato democratico John Kerry alle elezioni di novembre: «Bush non ha capito che l’effetto serra è una minaccia equivalente a quella del terrorismo», spiega.
Roland Emmerich, il regista di «The day after tomorrow», si compiace delle polemiche, scientifiche e politiche, che circondano la pellicola. Emmerich è l’autore di «Independence day», dove la terra è invasa dagli alieni. Garantisce di non avere voluto fare un lavoro «da scienziato o ideologo». «Non ha una base attendibile - ammette - si basa sul peggiore scenario possibile, realizzabile solo tra migliaia di anni. E non è un film di denuncia, come fu "The day after". Per lui questa è solo una storia fantascientifica con traumatici effetti speciali. Formula che attrae i giovani. Anche se poi riconosce che il suo film potrebbe impressionare il pubblico di tutte le età, e spingerlo a difendere l’ambiente: «Presumo che non sarà percepito solo come uno spettacolo e che genererà un dibattito nazionale. L’effetto serra lo avvertiamo già tutti».
Nulla si crea e nulla si distrugge, neppure al cinema. Il kolossal cambia, da catastrofico diventa ecologico. Una volta era un genere tradizionale, col Destino in agguato come nella gloriosa serie «Airport», o con la fauna di varia umanità incastrata in disastri immani, fra gli attacchi isterici di molte specie animali, dagli «Uccelli» di Hitchcock alla pioggia di rane di «Magnolia». Oggi il catastrofico è progressista. Una volta Charlton Heston, eroe del vibratorio «Terremoto», faceva campagna per i repubblicani (ogni progresso porta sventura, facile morale subliminale), oggi «L’alba del giorno dopo» del tedesco hollywoodiano Roland Emmerich è adottato dai verdi e democratici Usa per le elezioni. Perché il film non fa solo fantascienza, come l’altro best seller dalla stessa firma, «Independence day», ma osserva i disastri degli uomini e, in particolare, le conseguenze dell’effetto serra. Definito dall’autore un «pop corn movie un po’ sovversivo» il colosso Fox uscirà il 28 maggio e forse è parso troppo allarmante per Cannes. È il più costoso (oltre 120 milioni di dollari), apocalittico disaster movie mai girato: New York è sommersa dalle acque nel traffico impazzito finché l’onda anomala non si abbatte sulle scale della Public Library di Manhattan. Los Angeles è travolta da un tornado, Nuova Delhi sepolta dalla neve, a Tokio c’è una grandine da paura, le Hawaii sono scosse da uragani. Insomma, la fine del mondo.
Il regista assicura che si tratta di previsioni verosimili e, da buon immigrato, che le colpe ecologiche yankees sono il 70% del totale. Per pulire la coscienza, i produttori del film hanno bilanciato l’inquinamento prodotto con un assegno all’associazione che rimboscherà il pianeta.
Quindi il film catastrofico è cambiato, non è più nelle mani di Dio che regola il Caso della Vita, né ci sono alieni che battono alla porta come in «Signs», ma fa tutto la ragione dell’ homo sapiens, fino alla glaciazione prossima ventura. Il concetto di catastrofe si è allargato nel cinema che usa il computer per creare qualsiasi effetto. L’effetto serra ha superato la paura del nucleare, protagonista di colossi come «L’ultima spiaggia» laggiù nel ’59, di molte storie serie, anche di Bergman, e di «The day after», cult della paura. Si sono diversificati i flagelli, c’è l’Aids («Angels in America» è il titolo che lo rispecchia) e c’è ampia scelta sugli incubi in offerta: il cinema asiatico, per esempio, riflette la paura dei virus in agguato.
Maurizio Porro
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