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Le contraddizioni di Greenpeace

Ogni bistecca in più nel nostro piatto significa (fra l'altro) un albero in meno nel mondo. Eppure Greenpeace...
9 maggio 2004
Filippo Schillaci


Scrivo quasi in diretta dalla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma Tor Vergata dove si è da poco concluso un incontro con Greenpeace sugli OGM durante il quale, grazie all'intervento di una studentessa, si è sfiorato il tema delle diversità fra l'impostazione ambientalista e quella animalista.

Sono intervenuto a mia volta facendo notare che fra ambientalismo e animalismo non c'è contraddizione, se mai sinergia. Se è vero che diverse sono le motivazioni, è anche vero che esse percorrono un'unica via: quella del rispetto verso ogni forma di vita, umana e non umana.

Ho fatto l'esempio dell'alimentazione a base di carne del mondo occidentale, che è la principale causa della devastazione delle foreste primarie, annientate per far posto alle colture intensive di foraggio destinato agli altrettanto intensivi allevamenti.

L'insostenibilità ambientale dell'alimentazione non vegetariana è del resto un argomento che ormai conosciamo in dettaglio: lo conosciamo dal notissimo Ecocidio di J. Rifkin e da svariate altre, più o meno diffuse, pubblicazioni. Su Promiseland lo abbiamo trattato ancora una volta pochi giorni fa nell'articolo Quegli "ambientalisti" che mangiano carne... di Paola Segurini (http://www.promiseland.it/view.php?id=868).

Tutti i volontari di Greenpeace presenti si sono detti senza riserve d'accordo con me. Nessun dubbio, nessuna esitazione, nessuna perplessità. Eppure...

Eppure alla fine dell'incontro hanno distribuito un opuscolo dal titolo: Gli OGM nella mangimistica animale in cui si legge: «Vi presentiamo una lista di produttori di pollame, uova, suini, pesci d'allevamento e piatti pronti preparati con ingredienti provenienti da animali nutriti con mangimi "con o senza OGM"». E più oltre: «Non abbiamo ancora predisposto una lista per latticini, carne bovina o di vitello. La lista di prodotti che contengono carne bovina, vitello, latte o derivati verrà sviluppata a breve».

Davanti a una simile pubblicazione mi domando se mai ve ne furono di più inutili. Perché se la questione OGM è fondamentale con riferimento ai cibi di origine vegetale, diventa un dettaglio irrilevante anche sul piano dell'ambientalismo più pragmatico, utilitaristico, insomma antropocentrico, se ci riferiamo ai cibi di origine animale. Che senso ha infatti preoccuparsi della contaminazione genetica degli ecosistemi, quando essi non esistono più? Quando una foresta primaria è stata per sempre annientata e al suo posto si stendono infinite distese di monocolture di mais o erba medica per alimentazione animale, che importanza ha se quelle colture sono OGM o no? Il problema in quel caso non è se gli OGM contaminano o no gli ecosistemi, poiché all'impianto delle colture gli ecosistemi sono già stati cancellati, ma è a monte. Il problema è che ogni bistecca in più nel nostro piatto significa (fra l'altro) un albero in meno nel mondo.

A questo punto c'è qualcosa che mi sfugge: come si può dirsi d'accordo con chi afferma che ambientalismo e alimentazione carnea sono incompatibili e subito dopo distribuire un tale opuscolo?

Greenpeace significa Pace Verde ma se dovessi attribuire un colore a quelle pagine, l'unico che mi viene in mente è il color seppia. Il color seppia del deserto. E quanto alla pace, provate a entrare in un mattatoio, e ditemi se qualcosa in esso, un sia pur piccolo dettaglio, ve ne richiama l'idea.

 

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