Monsanto perde la battaglia del grano
11.05.04
Nel quartiere generale di Monsanto, a St.Louis, Missouri, non sono abituati a gettare la spugna. Eppure questa volta si tratta di una vera e propria dichiarazione di resa incondizionata. «Come è risultato da una revisione complessiva degli investimenti futuri e dal dialogo con le industrie leader del grano - scrive Carl Casale, vicepresidente esecutivo di Monsanto - riconosciamo che le opportunità di business con il Roundup Ready sono meno attraenti rispetto ad altre priorità commerciali». Monsanto dunque, dopo sette anni di inutili sperimentazioni (dal 1997 i territori piantati con Roundup Ready sono diminuiti del 25%), «smetterà di produrre e di fare ricerca in campo sul grano Roundup Ready»». La notizia è una manna per il sistema agroalimentare mondiale del frumento (2 miliardi di consumatori, 600 milioni di tonnellate all'anno prodotte in 120 paesi) e segna la prima sconfitta che la multinazionale del biotech ha dovuto incassare proprio a casa sua (a metà giornata le azioni di Monsanto perdevano fino al 3,6%).
Come è stato possibile? La sconfitta è venuta dal mercato perché, ammette lo stesso Carl Casale, «questa tecnologia porta vantaggio solo per una parte di coltivatori di grano, poiché risulta non funzionale per un largo schieramento dell'industria del grano». La stessa conclusione cui era giunto il Washington Post un anno fa quando scrisse che «per la prima volta nella decennale corsa per conquistare consenso verso le colture gm, la Monsanto fronteggia una significativa opposizione degli agricoltori». In tutto il nord America, Canada compreso, i farmers hanno constato che il mercato mondiale - europeo in particolare - rifiuta il frumento modificato, una manipolazione che contaminerebbe i prodotti che sono alla base dell'alimentazione dell'area mediterranea (l'anno scorso l'87% degli acquirenti di grano canadese, con in testa l'industria agroalimentare italiana, ha richiesto che fosse ogm-free).
Patty Rosher, manager del Canadian wheat board, una delle più grandi agenzie del mondo nella commercializzazione di grano, ha accolto la decisione con soddisfazione: «Penso che Monsanto abbia preso la decisione migliore e abbia fatto bene a renderla pubblica». Luca Colombo, del Consiglio dei Diritti Genetici, canta vittoria. «Anche Monsanto - commenta - si è alla fine resa conto che la risposta del mercato al frumento trangenico è del tutto negativa. In Italia questa reazione si è materializzata con l'iniziativa Grano o Grane, attraverso la quale l'intero sistema agroalimentare nazionale ha inviato oltreoceano le proprie preoccupazioni su questa tecnologia, in modo da vanificarne l'adozione». E se la battaglia del grano è quasi vinta - «ne riparleremo tra 4-8 anni», minaccia Carl Casale - in Europa nessuno ha intenzione di abbassare la guardia per contrastare l'invasione di tutte le altre colture. Le associazioni ambientaliste, oltre a setacciare i supermercati di mezza Europa a caccia di prodotti etichettati ogm, non perdono occasione per assediare i carichi sospetti che solcano i mari alla ricerca disperata di un approdo. Una settantina di attivisti di Greenpeace proprio ieri ha occupato due dei principali impianti dove viene scaricata soia nel porto di Ravenna. Dei 4,2 milioni di tonnellate di soia che l'Italia importa ogni anno per la mangimistica animale e per l'industria alimentare quasi la metà arriva a Ravenna, e Greenpeace proprio nella città romagnola ha effettuato un test trovando soia gm.
Da domenica intanto è ancora bloccata al largo di Chioggia (Venezia) la nave che batte bandiera panamense con un carico di 40 mila tonnellate di soia argentina: sulla fiancata i militanti di Greenpeace hanno scritto «L'Europa dice no agli ogm». Sono azioni che tentano di dimostrare agli esportatori mondiali (Argentina, Brasile) che in Europa conviene ogm-free. L'hanno capito persino a St.Louis.
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