Dopo dieci anni il pomodoro transgenico fa ancora paura
12.05.04
Ha solo dieci anni però ne ha fatta di strada e soprattutto ha fatto molto parlare molto di sé. È il pomodoro transgenico: il 21 maggio 1994 fece la sua comparsa sui banchi dei supermercati e fu subito un grande successo. Però, dopo lo stordimento iniziale, il rapporto tra i consumatori e il nuovo modo di coltivare si è presto alterato. C'è chi considera i transgenici come una sorta di «cibo Frankenstein» e li demonizza indicandoli come occulti artefici di nuove malattie e soprattutto di alterazioni genetiche. Altri invece ne osannano le grandi possibilità per combattere lo spettro della fame che, non dimentichiamolo, continua ancora oggi a fare strage in varie parti del mondo.
Il pomodoro ha dato il «la» e ben presto le colture ogm hanno interessato altri prodotti, alcuni dei quali, come la soia, sono divenuti veri e propri leader nell'agricoltura che si avvale di organismi geneticamente modificati.
Il giro d'affari intorno ai transgenici cresce di anno in anno: attualmente è attestato intorno ai 42.000 milioni di dollari; mentre le aziende biotech nel mondo sono circa cinquemila. La maggioranza delle coltivazioni di transgenici è di soia (circa 42 milioni di ettari), a distanza segue il cotone (7 milioni di ettari), la colza (circa 4 milioni di ettari) e quindi il mais (1,5 milioni di ettari).
Da quando il pomodoro transgenico è entrato a far parte dell'industria agricola contemporanea, i terreni del mondo coltivati a ogm si sono moltiplicati a dismisura: circa sessanta volte in dieci anni. Il primo pomodoro modificato aveva subito un trattamento genetico per fare in modo che il processo di degenerazione delle cellule fosse più lento, in pratica l'intenzione era quella di renderne più lunga la vita e di conseguenza dilatarne il tempo di sosta all'interno dei circuiti di commercializzazione.
Partendo da lì sono stati condotti esperimenti in ogni direzione, fino alla realizzazione di angurie e meloni cubici per facilitarne lo stoccaggio. Non sono mancate iniziative atte a ridurre le dimensioni di alcuni prodotti (così come è accaduto per le scatolette) al fine di renderli accessibili anche ai consumatori single.
Ma in genere il ruolo dell'ogm è soprattutto quello di realizzare prodotti più grossi, meno attaccabili dai parassiti, capaci di crescere anche in condizioni non ottimali e soprattutto più grossi. Inoltre alcuni prodotti sono studiati per essere più nutrienti: i primi esperimenti risalgono al 1987. È stata l'Inghilterra il primo paese a lavorare in questa direzione creando un riso ogm arricchito con vitamina A.
Da qualche mese, anche in Italia, i prodotti che contengono oltre lo 0,9% di un ingrediente transgenico devono segnalarlo in etichetta: saranno soprattutto merendine, biscotti, gelati e altri prodotti confezionati a porre in evidenza sui loro imballaggi la presenza di transgenico.
Per molti italiani sarà come uscire dal tunnel della non conoscenza e avere finalmente l'opportunità per sapere dove effettivamente l'ogm ci ha messo lo zampino. Infatti gli italiani sono piuttosto inquietati dal transgenico: una recente indagine realizzata dalla Coldiretti ha posto in rilievo che nel nostro paese il 53% dei consumatori non comprerebbe mai un prodotto ogm, anche se dovesse costare un quinto rispetto ad uno biologico.
Ad alimentare le paure contribuiscono le tante ipotesi sollevate dagli ambientalisti e da quei biologi che non ritengono verificata la non pericolosità dei prodotti geneticamente modificati.
Se dieci anni fa la rivoluzione ha avuto inizio con il pomodoro transgenico entrato prepotentemente sugli scaffali dei negozi, oggi quella rivoluzione viene in qualche modo ufficializzata con le nuove etichette. Però, dove effettivamente questa rivoluzione ci condurrà, non è ancora chiaro.
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