Il caso ILVA e il riconoscimento dei diritti umani nella società globalizzata
La vicenda dell’Ilva è salita alla ribalta delle cronache nazionali per anni e lo è tuttora. Si tratta di una storia complessa, articolata, fatta di negligenze, omissioni, corruzione, ma anche di malattia, di sofferenza. Lo scopo delle seguenti pagine è quello di ricostruire questa contraddittoria vicenda attraverso le sue tappe più significative, per avanzare infine una soluzione che possa riparare quel terribile danno commesso nei confronti della città di Taranto e dei suoi abitanti.
Lo stabilimento siderurgico di Taranto nasce come Italsider negli anni Sessanta.
La scelta di costruire un polo siderurgico così importante nella città di Taranto può essere giustificata sulla base di diverse motivazioni. Innanzitutto, Italsider rappresenta in quel momento l’investimento più efficiente per creare nuovi posti di lavoro e favorire lo sviluppo economico della città e della provincia. Lo stabilimento, infatti, dà lavoro non solo agli abitanti di Taranto, ma anche a quelli della provincia, del brindisino e del leccese. In secondo luogo, contribuiscono alla scelta l’economicità della localizzazione, la presenza di una enorme area pianeggiante e la vicinanza al porto commerciale, utile soprattutto per velocizzare le operazioni di trasporto e spedizione del materiale. Infine, la realizzazione di un impianto di così vaste dimensioni caratterizzato dalla presenza di un ciclo integrale di produzione avrebbe messo fine all’importazione dell’acciaio dall’estero, con un notevole risparmio in termini di costi.
L’Italsider di Taranto era, all’epoca della sua apertura, capace di produrre tre milioni di tonnellate l’anno di acciaio; capacità produttiva che fu notevolmente aumentata negli anni fino ad arrivare a quasi dodici milioni di tonnellate l’anno nel 1975.
Nonostante il boom economico e la crescita sul piano lavorativo che il polo siderurgico ha portato abbiamo potuto constatare come, fin dai primi anni dalla nascita, il sito siderurgico destasse non poche preoccupazioni dal punto di vista
ambientale. Il complesso di ILVA infatti, ampio circa quindici milioni di metri quadrati, sorge nei pressi del centro abitato e in particolare nelle vicinanze del quartiere “Tamburi”.
Già nei primi anni Novanta il Consiglio dei Ministri aveva avuto modo di attestare un forte rischio ambientale derivante dal sito siderurgico, accertato in seguito dalle numerose rilevazioni di A.R.P.A. Puglia. Queste ultime hanno infatti permesso di attestare che i limiti delle emissioni consentite per gli impianti siderurgici venivano costantemente e ampiamente superati, con particolare rifermento al benzo(a)pirene, una sostanza la cui cancerogenicità è stata confermata dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
La vicenda ILVA giunge ad una svolta nel 2012, quando il Giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco mette sotto sequestro gli impianti e le cokerie del complesso siderurgico. A tale decisione si era pervenuti, non solo in seguito alle rilevazioni di A.R.P.A., ma soprattutto ai risultati dello studio epidemiologico “SENTIERI”.
Sono le parole del giudice Todisco a mettere l’accento sulla tragica situazione di Taranto: il complesso siderurgico rappresenta un grave rischio per la salute dei cittadini causando molteplici eventi di malattia e di morte.
Successivamente all’apertura delle indagini da parte della Procura di Taranto abbiamo potuto notare il continuo susseguirsi di avvenimenti che hanno portato all’arresto di alcuni ex dirigenti dell’ILVA, del proprietario Emilio Riva e alla confisca del patrimonio della famiglia Riva. Ma è stato incessante soprattutto il continuo legiferare dei diversi Governi che si sono succeduti negli anni attraverso una lunga serie di decreti-legge denominati “salva-ILVA”.
La disastrosa situazione della città pugliese non lascia indifferente l’Europa che, con una serie di ammonimenti, invita lo Stato italiano a mettersi in regola rispetto a quelle che sono le direttive dell’Unione Europea. Abbiamo potuto notare come, a fronte delle evidenti mancanze dello Stato, sono stati i cittadini di Taranto a doversi attivare per ottenere giustizia. In questo senso la pronuncia della Corte Europea dei diritti umani del 2019 ha rappresentato sicuramente un riconoscimento importante: la Corte infatti ha riconosciuto nel comportamento dello Stato italiano una condotta negligente e omissiva in quanto questo non ha provveduto ad evitare o quantomeno arginare e risanare il disastro ambientale in atto a Taranto.
La seconda parte del presente lavoro ha voluto suggerire un modo per assicurare giustizia a quelle migliaia di donne, uomini e bambini sofferenti, quella stessa giustizia che fino ad oggi è mancata completamente. Si è cercato infatti di mettere a confronto i risultati delle perizie chimiche ed epidemiologiche derivanti dagli studi SENTIERI e FORASTIERE con la normativa comunitaria ed europea in materia di danno ambientale. Questo tipo di danno si configura come una lesione, alterazione e distruzione dell’ambiente che, secondo quanto previsto dalla Corte costituzionale, è considerato un diritto fondamentale dell’uomo e della collettività. A mio avviso, infatti, ciò che è accaduto e che ancora accade nella città di Taranto può configurarsi come danno ambientale, inteso nella sua accezione più ampia di lesione di un bene collettivo, suscettibile di una tutela autonoma e valore chiave per la conduzione di una vita personale e familiare dignitosa.
Questa ricerca ha infine affrontato l’istituto dei risarcimenti punitivi che, a mio parere, rappresenterebbe uno strumento di riequilibrio del sistema. I risarcimenti punitivi, o punitive damages, come abbiamo visto sono un istituto di derivazione anglosassone che opera nell’ambito della responsabilità civile. Essi si caratterizzano per una particolare funzione sanzionatoria e deterrente, diversa da quella tipica della classica responsabilità civile, la quale ha invece funzione riparatoria. In altre parole i risarcimenti punitivi hanno da un lato l’obiettivo di sanzionare il danneggiante in virtù della sua condotta fraudolenta compensando le lesioni arrecate agli individui, e dall’altro lo scopo di fungere da deterrente non solo per chi commette un illecito, ma anche per l’intera collettività.
Dopo aver effettuato una disamina sull’evoluzione dei risarcimenti punitivi, a partire dallo sviluppo negli Stati Uniti d’America fino a giungere alla sentenza storica della Corte di Cassazione che ne ha riconosciuto la non contrarietà all’ordine pubblico, è apparso evidente come tale istituto possa essere un forte strumento nelle mani del diritto. Esso infatti potrebbe arginare la pericolosa ascesa di quelle matrici anonime che ormai governano la nostra società, le quali, come abbiamo visto nel caso dell’ILVA di Taranto, sono mosse dall’esigenza di generare profitto e accrescere il proprio potere. Abbiamo visto infatti che le grandi società e le multinazionali effettuano un’analisi tra costi e benefici, tenendo in forte considerazione anche il valore degli eventuali risarcimenti che dovranno versare in caso di commissione di un illecito. In questo senso un risarcimento del danno modesto potrebbe costituire addirittura un incentivo e rendere pertanto conveniente il comportamento nocivo. I risarcimenti punitivi invece prevedono l’erogazione di somme di denaro molto alte che, sebbene all’apparenza possano sembrare eccessive, risultano al contrario proporzionate alle condotte illecite e ai danni arrecati all’ambiente e alla collettività. Appare dunque evidente come i risarcimenti punitivi presentino una funzione di tipo sistemico: intervengono cioè sul sistema riequilibrandolo, facendo sì che quelle scelte d’impresa lesive del sistema ambientale non risultino più economicamente convenienti.
L’istituto dei risarcimenti punitivi si pone dunque come il corretto strumento per ostacolare logiche e meccanismi scellerati che hanno il solo scopo di generare profitti, sopprimendo così valori, quali l’ambiente e la salute, che dovrebbero essere ritenuti elementi fondamentali da tutelare al fine di consentire una vita giusta e dignitosa per l’intera collettività.
Allegati
Tesi di laurea
Federica Sansone17 Kb - Formato docxIL CASO ILVA E IL PROBLEMA DEL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI UMANI NELLA SOCIETÀ GLOBALIZZATA: l’istituto dei risarcimenti punitivi come strumento di riequilibrio del sistema
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