La biodiversità è vita e non si può comprare
Uno viene dal paradigma dell'estrattivismo e della crescita illimitata, del sistema coloniale e della cultura dell'industrializzazione. Vede l'umanità separata dalla natura e la natura passiva materia dalla quale estrarre profitti.
Il secondo appartiene ai custodi di semi e alle comunità indigene, considera l'essere umano una piccola parte del tutto. Richiede di farci apprendisti di ciò che è stato molto prima di noi, di pensare e agire la nonviolenza, Viene costantemente minacciato dal capitalismo predatorio.
In questo articolo ho deciso di riportare in forma scritta alcune affermazioni degli esperti presenti al webinar di maggio 2024 moderato da Ruchi Shroff, direttore esecutivo di Navdanya International, intitolato "La Biodiversità è Vita: Diritti della Natura vs Finanziarizzazione della Natura". Essi hanno discusso dell'importanza di preservare la biodiversità attraverso pratiche sostenibili e il rispetto delle conoscenze indigene, e l'idea che la biodiversità debba essere protetta attraverso approcci olistici ed ecologici piuttosto che meccanismi guidati dal mercato.
I popoli indigeni oggi sono il 6% della popolazione mondiale e nelle loro mani è l'80% della biodiversità, proprio grazie al legame che nutrono con essa.
Usanze, pratiche agricole, linguaggio è tutto profondamente intrecciato con l'ambiente. Loro sanno che quando una parte viene danneggiata ne risente l'intero sistema.
Natura e esseri umani, siamo interconnessi in simbiosi reciproca.
Non c'è niente di statico e non ci sono entità separate.
Quando avremo perso l'abilità di vedere e parlare attraverso la lingua dei nostri antenati saremo di fronte a un'estinzione culturale. Alcuni dicono che nel 2050 il 90% delle correnti lingue indigene ancora parlate saranno estinte per sempre. Troppe persone al mondo ancora non comprendono l'interconnessione tra loro e la biodiversità, la meraviglia dei sistemi che ci hanno portato fin qui e ci tengono in vita. Le popolazioni indigene pensano alla natura come a una Entità, e alla loro comunità come piccola parte di una genealogia mistica. Si percepiscono come parte di tutto. Il Cielo e la Terra, il Vento e l'Acqua, la Vegetazione sono divinità, c'è un rispecchiamento poetico e mistico tra uomo e natura, nel quale l'uomo non penserebbe mai di danneggiarla. Non saranno i brevetti tecnologici o le multinazionali a salvarci. Le popolazioni indigene sono l'ultima linea di difesa e possono insegnarci tanto, la natura può insegnarci tanto.
La finanziarizzazione della biodiversità e degli ecosistemi rappresenta solo la continuazione dell'interesse aziendale a mercificare la vita. Cosa sono i crediti in biodiversità, come funzionano e cosa comportano?
L'impostazione è simile a quella delle materie prime fossili. Il fine dichiarato è che queste azioni dovrebbero compensare economicamente la distruzione dell'ambiente avvenuta in posti e tempi diversi. Per fare un esempio, una compagnia aerea vuole costruire un aeroporto dove si trova un habitat di fenicotteri, nel sud della Spagna. A questa si risponde "puoi costruire il tuo aeroporto ma devi compensare in qualche modo l'ecosistema mondiale, non necessariamente nello stesso Paese, non necessariamente lo stesso habitat", in teoria potresti usare quei crediti per restaurare un habitat di pipistrelli in India e dichiarare che hai compensato la distruzione dei fenicotteri in Spagna.
La ipersemplificazione e standardizzazione del pensiero economicista
Non dovremmo permettere di distruggere ancora, proprio perché sappiamo che in nessun modo si potrà compensare ciò che si distrugge in natura.
A dirla tutta, la restaurazione naturale è troppo costosa e estremamente complicata, insomma un ostacolo per la logica affaristica. Nessuno poi parla del dovere di ricompensare i danni ambientali del passato.
Creando questo mercato di crediti e compensazioni noi trasferiamo sovranità ai mercati finanziari privati che per definizione si muovono senza considerare le necessità effettive delle popolazioni, o i regolamenti di governo. Oltre allo sconvolgimento della biodiversità anche gli insediamenti umani sono in pericolo, conosciamo bene il fenomeno del land grabbing.
Ora, la ragione che guida queste decisioni è la stessa che si occupa delle politiche climatiche. L'obiettivo politico dei Paesi che guidano questa corsa è "mantenere lo status quo". Che si parli di stoccaggio di anidride carbonica, di geoingegneria, o di copyright è lo stesso. E spostare l'attenzione dell'opinione pubblica da quello che dovrebbe chiedere alla scienza, fa parte del gioco.
C'è una frase di George Bush senior, del 1992, "The american way of life is not negotiable". In questa affermazione troviamo tutto. Intendeva dire che non interessa il prezzo, anche umano, non importa. Anche nel futuro avremo una vita insostenibile con la tenuta degli ecosistemi, questa è anche la regola dei mercati. Così come il ministro dell'Economia e delle Finanze francese Bruno Le Maire che ha affermato "Non credo nella ideologia della decrescita e la contrasto".
Si vuole creare una nuovissima classe di asset finanziari a scala globale. Basti pensare che Francia e UK al World Economic Forum hanno affermato che carbonio e biodiversità rappresentano una opportunità di business da 10 trilioni (1 trilione = 1 miliardo di miliardi) ogni anno. Una cifra che invoglia molti a stare dentro questo mercato. Intanto hanno stabilito che crediti e compensazioni possono non essere equivalenti. Si agisce molto sui malintesi o attorno alle definizioni di ciò che è scritto. Si afferma che i crediti per la biodiversità non danno un valore economico ai beni di natura ma solo ai servizi, e che questi servono ai Paesi poveri, ritornando sulle vecchie orme del colonialismo.
Si prevede che Francia e UK lanceranno un mercato pilota alla COP29 nell'ottobre di quest'anno, quasi nessuno ne è a conoscenza. Questi mercati si stanno aprendo con grande velocità sui tavoli dell'ONU e europei, su quelli di organizzazioni e fondazioni di ricerca ma manca un dibattito pubblico informato.
Lo stoccaggio di carbonio, la compensazione di biodiversità, la povertà alimentare, la prevenzione dei disastri naturali non porteranno "denaro nuovo". Ricollocheranno in maniera differente la ricchezza che già esiste sotto le dure garanzie della Banca Mondiale.
I diritti della Natura non sono solo una questione legale. È molto importante il modo in cui le comunità vivono la loro interazione con gli elementi della natura. È questo paradigma relazionale che ha mantenuto o rovinato la biodiversità dei suoli, delle piante e degli animali. Nel corso dei millenni la biodiversità si è co-evoluta in diverse culture e sistemi di conoscenza.
Il prossimo passo verso lo sfruttamento degli ecosistemi lo si muove nel nome della conservazione, quando questa significa espropriazione da una comunità originaria per passare nelle mani di una multinazionale.
Nella ricerca in Italia sull'ecologia profonda e i diritti della natura teniamo a modello le comunità indigene. Queste ci ispirano anche se non conoscono la definizione legale dei beni naturali, hanno una propria relazione con l'ecosistema precedente a qualunque formulazione di diritto positivo. Da qui noi intendiamo iniziare, secondo una prospettiva giuridica, artistica e collettiva locale. Siamo partiti dalla sorpresa che la Laguna di Venezia non avesse un riconoscimento giuridico di ecosistema naturale protetto. Abbiamo cercato chi nei dintorni abbia già sviluppato questa sensibilità e abbiamo trovato dei gruppi nelle Dolomiti. Con loro passando per i bacini fluviali del Tagliamento, del Piave, dell'Adige e del Brenta, dal Delta del Po vogliamo arrivare fino alla Laguna di Venezia. Attivisti e professionisti insieme per tornare a una relazione con il territorio, e come rappresentanza politica degli ecosistemi naturali. Come è successo per il Mar Menor in Spagna che per iniziativa popolare ha ottenuto lo status di persona giuridica, il primo ecosistema in Europa, un risultato importante.
Loro danno alla natura un prezzo, parlano di profitti.
A questo pensano mentre i fiumi muoiono,
le foreste spariscono
e i meravigliosi fenicotteri perdono il loro habitat.
All'interno delle discussioni sui diritti della natura dobbiamo anche discutere dei sistemi normativi delle comunità indigene e rispettarli. Mitigare il potere giuridico che proviene dai vertici neocolonizzatori, riconoscere dignità ai sistemi culturali e normativi che si sono costruiti sul territorio, come espressione di vita e di ordine sociale in quell'ecosistema.
Su questo punto aggiunge la dottoressa Jessica Hutchings "Molti capi indigeni incarnano un potere che possiamo definire maschilista, ma questo è un punto di partenza", quello che vogliono imporre dall'esterno non è certo migliore.
La nostra sfida è difendere tutta la biodiversità, la separazione meccanicistica tra natura e uomo è artificiale, non corrisponde alla realtà. La vita non può venire racchiusa in un flusso di profitti.
Ricordo che nello stesso anno in cui Chipko vinceva il Right Livelihood Award, anche conosciuto come il Premio Nobel Alternativo nel 1987, vinceva il Premio Nobel per l'Economia Robert Solow del MIT che aveva affermato questo "In effetti la natura è del tutto dispensabile. Possiamo sostituire costantemente le cose reali che ci tengono in vita con cose artificiali che ci portano denaro. Il mondo può andare avanti senza risorse naturali, per cui l'esaurimento di queste sarebbe solo un evento non una catastrofe". A questo vogliono abituarci, alla sostituzione della vita con costrutti finanziari e formule, termini che cambiano di continuo. La parola biodiversità non esisteva quando ho iniziato a lavorare 50 anni fa. Usavamo il termine "risorse genetiche indigene".
Quello che ho imparato grazie alla mia formazione in fisica quantistica e alla esperienza con le comunità è prima di tutto che la biodiversità si auto-organizza ed è autopoietica, è complessità in continuo divenire. Noi esseri umani e la natura siamo interconnessi in simbiosi reciproca. Non c'è niente di statico, non ci sono entità separate. La biodiversità è la vita stessa.
Quando loro parlano di infrastrutture pensano a grandi strade e aeroporti, non pensano mai alla infrastruttura vitale tenuta insieme dalla biodiversità. La biodiversità non è una cosa, non è un oggetto, non è un numero. E sto dicendo questo perché nei primi tempi le stesse persone che volevano stabilire un prezzo molto alto per proteggere la natura, e l'ho scritto nel mio libro Ecology and the Politics of Survival, loro crearono un sistema chiamato willingness to pay. Non riuscivano a staccarsi dal denaro come mezzo di intermediazione. Impensabile per le popolazioni indigene che non sapevano che farsene del denaro, fino ad allora sconosciuto al loro mondo.
Proprio in questo modo l'1% della popolazione ha distrutto tutto. In nome di derivati e investimenti comprano e trasformando gli ecosistemi.
Nel 1992 con la Dichiarazione di Rio avevamo definito due principi fondamentali, "chi inquina deve pagare" e il principio di precauzione, questi dovrebbero essere applicati alla finanza. Perché la protezione delle risorse ostacola i loro grafici?
La proprietà intellettuale sui semi geneticamente modificati e l'estrattivismo modificano il nostro mondo e la nostra vita attuale e futura. Bloccano qualcosa che esiste già in natura e dicono che è una loro invenzione. Loro danno alla natura un prezzo, parlano di profitti. A questo pensano mentre i fiumi muoiono, le foreste spariscono e i meravigliosi fenicotteri perdono il loro habitat. Questa falsità dobbiamo riconoscere all'imperialismo. Non prendiamo per vere le loro storie. Vogliono farci credere che c'è un modo migliore di utilizzare la natura, invece che rispettarla e lasciarla lì com'è. Ci portano pochi soldi e vogliono farci credere che siamo noi i poveri, a non avere niente. Che noi siamo inferiori, loro superiori. Questo è l'inganno ontologico che voglio sottolineare.
Le popolazioni non sono utili alla finanza, alla finanza non interessa il benessere degli uomini e delle donne comuni. Questo è un aspetto del problema. Dobbiamo prestare attenzione all'immagine della natura senza umani, il rewilding. La natura è abitata anche da persone che non vanno spinte altrove.
Questa economia sta distruggendo la natura e le persone. Tutti questi nuovi crediti e compensazioni sono solo nuove patenti per continuare a distruggere. Vediamo cosa è successo nella politica edile e abitativa in Canada e negli Stati Uniti. Tutto rilevato da BlackRock, la gente è in strada. Questo stesso sistema verrà portato alle popolazioni indigene che custodiscono le fonti naturali.
Noi siamo legati alla natura, quindi se lei è in salute lo siamo anche noi, se la inquiniamo e muore anche noi ci ammaleremo e moriremo. Quelli che stiamo chiamando diritti della natura devono diventare i nostri doveri, le nostre responsabilità. Senza la discussione sulla responsabilità umana non troveremo mai una soluzione.
Dobbiamo riconoscere alle popolazioni il ruolo di proteggere la loro terra. Su questo bisogna portare la discussione.
Precisamente 25 anni fa portammo l'attenzione sulla brevettazione delle sementi e coinvolgemmo le comunità. Il nostro lavoro continua ancora oggi, è difendere in modi creativi la nostra sovranità individuale, la natura, le diverse culture e le future generazioni.
https://navdanyainternational.org/webinar-biodiversity-is-life-highlights/
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