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L’inizio di questo secolo ci pone davanti a scelte decisive: la biotecnologia irrompe, come mai si era visto prima, nella diagnosi e nella cura delle malattie. Che cosa sta accadendo nel settore delle scienze biomediche?

"Il bivio genetico"

Gianni Tamino Ed.Ambiente
29 maggio 2004
Gianni Tamino


Ambiente e salute

Negli ultimi decenni lo scenario tipologico delle malattie è significativamente cambiato nelle diverse aree del mondo e così nei paesi più ricchi e industrializzati una migliore igiene, una maggiore disponibilità di cibo e migliori condizioni generali di vita (abitazioni, ambiente sociale, ecc.) hanno portato a una diminuzione delle malattie infettive. In compenso però si sono sviluppate nuove patologie legate alle nuove condizioni di vita. Ritmi e ambienti di lavoro, stress, inquinamento ambientale, alimentazione eccessiva, per citare solo alcuni esempi, hanno favorito le patologie ad andamento cronico-degenerativo come le malattie cardiocircolatorie, le disfunzioni metaboliche, i tumori ecc. Molte di queste patologie determinano, col tempo, un'usura degli organi, fino alla perdita di funzionalità, che porta alla morte.
Rispetto a queste alterazioni e alle cause che le determinano sono possibili differenti approcci, a seconda del tipo di funzione che si attribuisce alla medicina. Sebbene l'uomo sano e l'uomo malato corrispondano a due facce della stessa medaglia, fin dall'antichità la comunità dei medici si è divisa in fedeli di Igea (da Igea deriva il termine "igiene", settore della medicina che si occupa soprattutto di difesa della salute e quindi di prevenzione delle malattie), per i quali la salute è un bene da mantenere e un obiettivo da garantire attraverso una corretta conduzione della propria vita; e seguaci di Asclepio, che ritengono dovere del medico ripristinare la salute attraverso la cura delle malattie sopraggiunte.
In una corretta visione moderna della medicina, le due facce – quella di Igea e quella di Asclepio – non dovrebbero essere separate, o peggio contrapposte, e le autorità sanitarie dovrebbero, attraverso un'adeguata prevenzione, fare ogni sforzo per evitare che gli individui vadano incontro alle malattie e, d'altra parte, garantire le migliori terapie quando comunque le malattie si manifestano. In quest'ottica è bene ricordare che la salute, per l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), è una condizione di benessere fisico, mentale e sociale e non tanto l'assenza di malattia. Del resto, come abbiamo visto, le malattie si manifestano non solo perché si viene a contatto con un agente patogeno (virus, batterio, sostanza chimica, agente fisico ecc.), ma anche perché le nostre normali e naturali difese, per ragioni genetiche, fisiologiche, psicologiche, spesso contingenti, non sono in quel momento e in quel luogo in grado di impedire l'attacco degli agenti patogeni: difese che sono tanto più efficaci quanto maggiore è il nostro benessere fisico, mentale e sociale.
Le malattie cronico-degenerative, proprio perché correlate a fattori ambientali, possono prestarsi a interventi di natura preventiva (migliorare l'ambiente di vita per mantenere la salute); tuttavia, poiché nella società industrializzata anche la malattia diventa fonte di profitti attraverso gli interventi terapeutici (medicinali, operazioni chirurgiche, protesi ecc.), si è arrivati alla cosiddetta medicalizzazione della salute, che offrendosi come soluzione tecnica a ogni problema esclude interventi preventivi e impedisce al cittadino di capire, accettare e fronteggiare in modo autonomo la propria condizione di malato. Tutto ciò ha portato, nella pratica medica, a sostituire l'uomo malato con la malattia, a degradare il paziente a caso clinico e spesso a considerare la parte anatomica malata disgiunta dalla complessità dell'individuo malato. In altre parole, come affermava François Dagognet nel 1957, c'è il rischio di «considerare la malattia e ignorare il malato, considerare l'organo e dimenticare l'organismo, guarire l'uno e alterare l'altro; ossia sostituire a una terapia della patologia una patologia della terapia». In una visione meccanicistica della salute umana, in cui prevale l'organo sull'organismo, si è affermata l'ipotesi di affrontare le malattie a carattere degenerativo ricorrendo alla logica dei "pezzi di ricambio" per sostituire la parte malata, senza valutare adeguatamente le ripercussioni che il nuovo organo potrà avere sull'intero individuo.
Questa è la conseguenza di una sempre maggiore specializzazione e tecnicizzazione della medicina moderna, che porta alla spersonalizzazione sia del malato che del medico.
Si arriva così a ipotizzare e studiare malattie indipendentemente dal malato, che possono essere curate con terapie standardizzate, valide per un modello di uomo medio, che nella realtà non esiste. Inoltre, come osservava Franca Ongaro Basaglia (Salute/Malattia, 1982), «l'individuazione della malattia crea l'illusione che la morte non esista o che, affidandola al medico, possa essere rinviata indefinitamente… Alla fine di una serie di rinvii, capita anche di morire, ma non si tratta più dell'incontro dell'uomo con la morte e con la propria "finitudine", ma di un'operazione tecnica mal riuscita che lascia sul letto un cadavere: l'esperienza della morte diventata il limite della medicina di fronte alla malattia». La tecnomedicina, che ignora il malato, arriva a considerare vecchiaia e morte come malattie da guarire con nuove medicine tecnologiche e rifiuta la realtà biologica dell'ineluttabilità della morte per ogni organismo vivente. In tal modo, però, si rischia di togliere il rispetto per la dignità umana dell'anziano e del malato terminale.
Nell'ottica di un sistema sanitario efficiente, in una società sostenibile la priorità dell'intervento deve essere rivolta alla prevenzione delle cause di malattia, agendo sulle alterazioni dell'ambiente di vita e potenziando le difese dell'organismo. Tuttavia ciò non impedirà totalmente il sorgere delle malattie, che comunque dovranno essere curate, agendo soprattutto sulle cause, senza provocare nuove alterazioni nella salute del paziente e, soprattutto, senza considerare solo la malattia e ignorando il malato. In questo caso, infatti, ci troveremo di fronte al rischio di trasformare un soggetto vivente malato in un oggetto di studio, a sua volta facilmente trasformabile in un oggetto morto. Inoltre, tra le terapie disponibili vanno sempre privilegiate quelle meno invasive e che meglio rispettano la natura umana del paziente.
Alla luce di queste considerazioni, possono le moderne biotecnologie offrire nuovi strumenti per la prevenzione e la cura delle malattie, utili e accettabili nella prospettiva di una società sostenibile?

Note: Tratto da: Il bivio genetico (Salute e biotecnologia tra ricerca e mercato)
di Gianni Tamino
Capitolo 3

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