Il decalogo per imparar a mangiar bene
27.05.04
Qui non si tratta di rifondare soltanto il comunismo (lo hanno già fatto Bertinotti e compagni e giudicheranno i posteri se il tentativo sia riuscito ed anche se ne valesse la pena) e l'agricoltura (il biologico era un tentativo in quella direzione), ma occorre rifondare la qualità e le consuetudini del mangiare.
È un problema che si posero gli italiani appena riuniti sotto il Regno d'Italia e Pellegrino Artusi dette un contributo formidabile a mettere insieme una gastronomia per tutte quelle "Italie". Proviamo a tracciare un piccolo decalogo? Prima di tutto occorrerà riflettere sulla bontà e la qualità delle materie prime che usiamo: possibilmente da agricoltura biologica perché è noto abbiano più sapore, non hanno residui di ciò che abbiamo usato nei campi. 2) La semplicità, che spesso si lega ai piatti unici, pasta e legumi, un pasto di sole verdure, un altro di sola frutta, pane formaggio e una mela. 3) Mangiare poco, siamo abituati a superare ogni giorno il nostro fabbisogno alimentare di mille calorie. Il pranzo ricco della festa, va bene se è una volta alla settimana, ma non va bene se è una pratica di tutti i giorni. 4) Mangiare alimenti freschi, di produzione locale, evitando le migliaia di chilometri che fanno i cibi. 5) Meno carne e più cereali, il mais e la polenta, il grano saraceno, il riso e le centinaia di possibilità di cucinarlo, i cento tipi di pasta e i mille condimenti.
6) Meno sale e zuccheri. Il sale è indispensabile al corpo umano, ma in piccole quantità. La raffinazione dei cibi avviene a scapito del loro apporto nutritivo e il sale non lo può compensare. Il consumo di zucchero è passato dai 4 chili pro capite del 1900 ai trenta chili di oggi, il doppio della pasta, e non ci meraviglino il diabete, i disturbi digestivi e le carie da cui non riusciamo a salvare i denti. 7) Riscoprire ingredienti e aromi della tradizione a cominciare dall'aglio e la cipolla e poi salvia, prezzemolo, sedano, rosmarino, timo, maggiorana. 8) Meno cibi pronti. Lo so che non abbiamo più tempo e non c'è più la famiglia con la distribuzione dei ruoli e alle donne fornelli e figli, ma non possiamo spendere soldi per soffrire con il cibo, mangiare male e cattivo, ma riflettiamo, meditiamo fino al coraggio di giungere a scelte drastiche: se la città e la cultura industriale ci costringono a scelte continue che ci procurano sofferenza, siamo disponibili ad abbandonarle verso le colline, i piccoli paesi anche se il prezzo è una vita più povera economicamente? Conosco centinaia e centinaia di persone che hanno fatto scelte simili. 9) Il pane. Help, aiuto, sos, qui siamo proprio oltre il limite di tolleranza sia dell'intelligenza che della salute: perché se non fosse vero ne buttiamo nella spazzatura il cinquanta per cento di quanto ne produciamo ogni giorno? Farine pessime di qualità scadenti di grano, dico scadenti, non scadute, cioè di grani che non valgono niente e che abbiamo selezionato per un secolo al solo scopo di produrre quantità e adesso quelle quantità hanno bisogno di decine di "correttivi", tutti in regola con le leggi, naturalmente, e chi lo mette in dubbio?
Bisogna tornare ai grani che avevano una forza intrinseca, alla fermentazione naturale, a variare gli ingredienti delle farine con altri cereali, come i grani duri, i grani antichi, il farro, l'orzo. Questo vale anche per i dolci, la cui materia prima, una volta era la farina. 10) Due o tre libri consigliati per continuare la riflessione che ho proposto: «La cucina di strettissimo magro» di padre Gaspare Delle Piane scritta alla fine dell'ottocento e riproposta da Jaca Book negli anni scorsi. «L'imbroglio nella zuppa» di Hans-Ulrich Grimm, Andromeda Bologna. «L'inganno a tavola» di Jeffrey M. Smith, Nuovi Mondi Media.
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