L'unico pianeta che abbiamo
15.06.04
Nei prossimi due giorni a Washington, si riuniscono ricercatori e politici. Discuteranno del cambiamento climatico in maniera aperta e scientifica. L'iniziativa è della rivista americana Science ed è stata sponsorizzata dalla fondazione William and Flora Hewlett, che prende il nome da uno dei fondatori della prima azienda hitech americana, la californiana Hewlett-Packard (ora Hp). Il direttore della rivista, Donald Kennedy, nell'occasione segnala quanto i media sia frivoli e disattenti sulle questioni del clima: da un lato abbracciano volentieri gli scenari più catastrofici, anche se largamente ipotetici, come nel caso del film «The Day After Tomorrow». Dall'altro fanno confusione tra breve e lungo termine e magari attribuiscono all'effetto serra quelle che sono semplici fluttuazioni. Oppure, vedendo che gli scienziati non offrono un punto di vista univoco sulla questione, ne traggono la semplicistica conclusione che allora il problema non c'è. Sulle diverse opinioni dei ricercatori del resto puntano molto anche i governi, e prima tra tutte l'amministrazione Bush che si è sottratta al trattato di Kyoto sostenendo che occorreva studiare di più e che sarebbe stato insensato investire tante risorse quando non ci sono certezze. A tutti questi Donald Kennedy risponde con nettezza, ricordando che la libera e critica discussione è il sale della scienza, ma che tuttavia questa non deve essere scambiata per assenza di dati e di informazioni, oramai stabili: lo scioglimento di ghiacciai e calotte è sotto gli occhi di tutti e il romantico cappuccio di neve del Kilimangiaro non ci sarà più nell'anno 2020; ma soprattutto, scrive Kennedy, «siamo nel bel mezzo di un grande e incontrollato esperimento sull'unico pianeta che abbiamo». Questa semplice ma cruciale considerazione di Kennedy spesso viene trascurata: c'è una sola Terra dove possiamo vivere e non c'è tempo da perdere. Questa è la sostenibilità, che si tratti di organismi geneticamente modificati o di clima e questo vuol dire «precauzione».
Sul fronte avverso il ragionamento viene sviluppato invece in questa maniera: (1) coloro che lanciano gli allarmi sono appunto degli allarmisti, e di solito sono anche motivati politicamente. Non gli interessa il pianeta, ma la polemica a tutti i costi con Bush o più modestamente con Berlusconi. Così la pensa per esempio il professor Guido Visconti dell'università dell'Aquila: «Se vogliamo arrivare a risposte credibili è necessario invece separare lo sfruttamento politico di questi problemi ambientali dalla ricerca vera da effettuare» - Il Corriere della sera, 6 maggio. (2) Prendere delle decisioni premature sarebbe rischioso e soprattutto rischierebbe di compromettere l'economia dei paesi più avanzati e di frenare la crescita di quelli in via di sviluppo. (3) In ogni caso non c'è da preoccuparsi perché nuove e più avanzate tecnologie sono allo studio nei laboratori che ci permetteranno di superare il problema. (4) Anzi, la tecnologia già ce le abbiamo: e si chiama energia nucleare pulita e sicura; a proposito, varrà la pena di ricordare che l'orizzonte temporale più ottimista situa le nuove centrali avanzate non prima del 2020. E nell'attesa?
L'inquinamento della discussione è davvero insopportabile, ma può essere superato ricorrendo a un libro e un sito di esemplare chiarezza e obbiettività. L'autore è Spencer Weart, storico della scienza americano che ha appena pubblicato una completa storia della «Scoperta del riscaldamento globale». Larga parte dei materiali e la descrizione della metodologia adottata sono organizzati in maniera ipertestuale sul sito www.aip.org/history/climate/. Non è una storia generale del clima, ma piuttosto una preziosa ricostruzione di come nel secolo scorso, e in particolare a partire dagli anni `70, i ricercatori siano divenuti consapevoli del problema e con un dispiego esemplare di energie interdisciplinari, siano arrivati alle attuali solide conoscenze. L'autore non si sottrae alla cronaca più recente, quella politica, ma lo fa sempre in modo serio e documentato. E' così che lavorano gli scienziati.
Sociale.network