Gli italiani e il biotech, strano amore
Abbiamo appreso da Il Sole-24 ore (venerdi 18 giugno, pagina 14) che «Gli alimenti biotech non fanno troppa paura. Gli italiani, secondo un sondaggio pubblicato dalla rivista Science, sono più preoccupati dagli intrecci tra politica, scienza e affari rispetto alla effettiva pericolosità degli alimenti geneticamente modificati». La ricerca, condotta da due studiosi di Trento e Padova, Massimiano Bucchi e Federico Neresini, sembra interessante e per fortuna che c'è il web, che ci permette di vederla da vicino. Si scopre così che il quotidiano della Confindustria forse tira un po' troppo l'acqua al mulino dell'industria biotech. Infatti l'articolo originale (Science, vol. 304, pag. 1749) si intitola «Perché le persone sono ostili alle biotecnologie?» ed è la seconda puntata di una ricerca sponsorizzata dalla fondazione Bassetti che l'anno precedente era stata descritta con quest'altro titolo, altrettanto eloquente: «Le biotecnologie rimangono non amate dalle persone informate» (Nature). Nel primo sondaggio dunque gli stessi due ricercatori avevano scoperto che l'ostilità del grande pubblico verso le manipolazioni genetiche non sembra dipendere in maniera significativa dal grado di conoscenza scientifica degli intervistati; anzi, proprio quelli che risultano più esposti a media e pubblicazioni di informazione scientifica, e dunque più informati, esprimono una maggiore resistenza al riguardo. Quella conclusione dovrebbe far meditare i decisori politici e le aziende del settore che spesso si cullano nella confortante illusione che l'ostilità verso certe tecnologie sia soltanto colpa di una scarsa cultura scientifica e che dunque per superarla sia sufficiente informare e formare meglio la pubblica opinione. Nella seconda puntata della loro indagine Bucchi e Neresini si sono chiesti quale allora fosse l'origine della pubblica ostilità. Forse un generale sentimento antiscientifico? Nemmeno questa è la risposta: dal sondaggio recente da loro condotto su un campione significativo risulta che gli italiani non fanno di ogni biotech un fascio e sanno invece discernere tra l'una e l'altra tecnologia. Così l'84 per cento è favorevole a continuare le ricerche sulle tecnologie biomediche, il che corrisponde a un giudizio di utilità al 71% verso le ricerche che usano cellule embrionali per curare Alzheimer e Parkinson. Le stesse ricerche vengono considerate moralmente accettabili dal 68% del campione e rischiose dal 48%.
Quanto invece ai frutti e vegetali modificati per renderli più resistenti agli erbicidi, tali manipolazioni vengono considerate utili dal 34% del campione, rischiose dal 68%, moralmente da respingere dal 52%. Da questo spettro di opinioni discende che mentre per la medicina c'è un buon favore, per l'agro-biofood solo il 57% vuole continuare le ricerche e che il 33% pensa che in Italia queste ricerche non debbano essere condotte. Riguardo invece alla clonazione umana l'89% per cento è assolutamente contrario.
Non sembra insomma molto precisa né completa le sintesi offerta da Il Sole-24 ore: gli italiani appaiono meno ostili alle ricerche sulle cellule embrionali di quanto i loro governanti hanno deciso, ma continuano ad avere un elevato livello di diffidenza se non di ostilità verso innovazioni come quelle nel campo agro-alimentare che non sembrano portare vantaggi significativi e che contengono discreti margini di rischio o di incertezza. Il saggio «principio di precauzione» sembra essere stato incorporato nell'opinione pubblica, ma non appare frutto di ignoranza o timor panico.
I ricercatori concludono che «né l'approccio elitario ('lasciate decidere agli esperti') né quello utopico (che tutti i cittadini possano diventare esperti scienziati) sono praticabili. Gli esperti non sono sufficienti perché la maggioranza dei cittadini non considera gli attori politici e le istituzioni adeguati in questo settore. La scienza per parte sua viene vista come generatrice di incertezze piuttosto che di certezze. Le obiezioni verso (alcune) biotecnologie sembrano derivare dalla assenza attualmente percepita di procedure pubbliche responsabili per il governo dell'innovazione».
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