La sfida del nostro tempo
Riflettendo sul futuro, tutti noi membri della comunità mondiale di lettori e collaboratori della rivista, siamo consapevoli che l’ambiente non è più “un problema tra i tanti”. È il contesto di ogni altra cosa: della vita, degli affari, della politica. La grande sfida del nostro tempo è creare e tenere in vita comunità sostenibili, ovvero ambienti sociali, culturali e fisici nei quali possiamo soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni senza danneggiare le generazioni future.
Sin dalla sua introduzione nei primi anni ’80, il concetto di “sostenibilità” è stato spesso distorto, abusato e persino banalizzato da un uso esterno al contesto ecologico che gli dà il significato corretto. Ciò che è “sostenuto”, in una comunità sostenibile, non è la crescita o lo sviluppo economico, ma l’intera rete della vita da cui dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. Una comunità sostenibile è organizzata in modo tale che gli stili di vita, le attività economiche, le strutture fisiche e le tecnologie non ostacolano l’intrinseca capacità della natura a sostenere la vita.
Il primo passo in questa direzione deve essere, ovviamente, l’“ecoalfabetizzazione”: comprendere i principi organizzativi che gli ecosistemi hanno sviluppato per sostenere la rete della vita. L’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello: dalle scuole ai college, dalle Università ai corsi di specializzazione per professionisti.
Per diventare “ecoalfabeti”, dobbiamo imparare a pensare in modo sistemico: cioè, in termini di interrelazioni, contesti e processi. Quando il pensiero sistemico viene applicato allo studio della Casa Terra (che è il significato letterale di “ecologia”), scopriamo che i principi organizzativi degli ecosistemi sono i principi fondamentali di tutti i sistemi viventi, gli schemi basilari della vita.
Per esempio, possiamo osservare che in un ecosistema non esistono rifiuti (infatti, i rifiuti di una specie sono il cibo di un’altra); che esistono dei cicli continui che attraversano la rete della vita; che l’energia che guida questi cicli ecologici fluisce dal sole; che la vita, sin dai suoi inizi (più di tre miliardi di anni fa), non ha conquistato il pianeta lottando, ma cooperando, associandosi e tessendo una rete di contatti.
Il compito principale negli anni a venire sarà applicare la nostra consapevolezza ecologica e il pensiero sistemico alla riprogettazione radicale delle tecnologie e delle istituzioni sociali, in modo da colmare l’attuale divario tra la progettazione umana e i sistemi ecologicamente sostenibili della natura. Fortunatamente, ciò sta già avvenendo. In anni recenti, si è avuta una fiammata di ottimismo per il netto aumento di pratiche progettuali ecologicamente orientate, ognuna delle quali ora è ben documentata (vedi, per esempio, Paul Hawken, Amory e Hunter Lovins, Capitalismo naturale).
La progettazione, nel senso più vasto, consiste nel modellare materiali e flussi di energia per scopi umani. L’ecodesign è un processo di progettazione nel quale i nostri scopi umani sono scrupolosamente adattati ai più grandi principi e flussi del mondo naturale. In altre parole, i principi dell’ecodesign riflettono i principi organizzativi che la natura ha sviluppato per sostenere la rete della vita.
Per esempio, il principio “rifiuto uguale cibo”, vuol dire che tutti i prodotti e i materiali creati dall’industria (così come i rifiuti generati dal ciclo produttivo) alla fine devono costituire il nutrimento per qualcosa di nuovo. Un’attività economica sostenibile sarebbe inserita in una “ecologia delle attività economiche”, nella quale i rifiuti di una costituirebbero le risorse di un’altra. In un tale sistema industriale sostenibile, le uscite totali di ciascuna attività – i suoi prodotti e rifiuti – verrebbero concepite e trattate come risorse in circolo dentro il sistema. Simili “grappoli ecologici” di industrie sono stati recentemente avviati in varie parti del mondo da un’organizzazione chiamata “Zero Emissions Research Initiative” (www.zeri.org).
I progettisti ecologici parlano di due tipi di metabolismo: uno biologico e l’altro “tecnologico”. I componenti del metabolismo biologico – l’agricoltura e i sistemi del cibo, l’abbigliamento, i cosmetici ecc. – dovrebbero evitare di contenere sostanze tossiche non degradabili. I componenti del metabolismo tecnico – macchinari, strutture fisiche ecc. – dovrebbero essere tenuti a una distanza di sicurezza dal metabolismo biologico.
Alla fine, tutti i prodotti, i materiali e i rifiuti saranno nutrienti biologici o “tecnologici”. I nutrienti biologici verranno progettati per fare ritorno ai cicli ecologici; cioè, per essere letteralmente consumati da microrganismi e altre creature del terreno. I nutrienti “tecnologici” verranno progettati per tornare in “cicli tecnologici”. Questo vuol dire che i consumatori non possederanno tali prodotti, ma si limiteranno a comprarne i servizi. Una volta esaurito un prodotto, il fabbricante lo riprenderà indietro, lo scomporrà e ne riutilizzerà i componenti per nuovi prodotti.
Oggi, gli ostacoli che si frappongono alla sostenibilità ecologica non sono più né concettuali né tecnici. Essi consistono nei valori dominanti della nostra società e delle aziende. I valori e le scelte aziendali sono determinati, in larga misura, da flussi di informazioni, potere e denaro nelle reti finanziarie globali che modellano le società di oggi.
Nel corso degli ultimi tre decenni, la rivoluzione tecnologica dell’informazione ha prodotto un nuovo tipo di capitalismo globale, strutturato intorno a reti di correnti finanziarie. Manuel Castells, professore di Sociologia dell’Università di California, a Berkeley, ha minuziosamente analizzato e documentato questo nuovo sistema economico in un’opera in tre volumi intitolata The Information Age: Economy, Society, and Culture [primo volume tradotto in italiano come: La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, 2002].
Grazie alla capacità del capitale finanziario di passare al vaglio l’intero pianeta alla ricerca di opportunità di investimento, e di cambiare da un’opzione all’altra in pochi secondi, i margini di profitto sono generalmente molto più elevati nei mercati finanziari globali che nelle forme di investimento più diretto. E, perciò, i profitti da ogni fonte alla fine convergono nella meta-rete dei flussi finanziari.
I movimenti di questo casinò globale gestito elettronicamente non seguono una logica di mercato. Il mercato è distorto, manipolato e trasformato da una combinazione di strategie computerizzate e di turbolenze inaspettate, provocate dalle complesse interazioni dei flussi di capitale in un sistema altamente non-lineare.
La tecnologia dell’informazione ha svolto un ruolo decisivo nel trasformare la rete in una nuova forma di organizzazione dell’attività umana, cosa che va molto al di là della sfera economica. Nella nostra network society, come la chiama Castells, i processi fondamentali della produzione culturale, della produttività economica, del potere politico e militare e della comunicazione mediatica sono stati profondamente trasformati dalla tecnologia dell’informazione; inoltre, sono collegati alle reti globali del potere e della ricchezza. Le funzioni e i processi sociali dominanti sono sempre più organizzati intorno a reti. La presenza o l’assenza nella rete è un fattore critico di potere.
Nelle reti globali dei flussi finanziari, il denaro è quasi completamente indipendente dalla produzione e dai servizi. In tal modo, il lavoro si è disgregato nel suo rendimento, frammentato nella sua organizzazione e diviso nella sua azione collettiva. Di conseguenza, la nascita del capitalismo dell’informazione è intrecciata con l’aumento di polarizzazioni, di disuguaglianze ed esclusioni sociali.
Come c’era da aspettarsi, il nuovo capitalismo globale ha provocato una forte resistenza nel mondo. Tale resistenza sta prendendo la forma di una nuova politica dell’identità, la quale, secondo Castells, rappresenta il distintivo trend sociale e politico degli anni ’90. La politica e l’azione sociale vengono costruiti intorno a identità primarie, “radicate nella storia e nella geografia o costruite ex-novo in un’ansiosa ricerca del senso e della spiritualità”. È in atto la ricerca di nuovi punti di contatto, di un’identità ricostruita.
I maggiori cambiamenti di identità sono stati iniziati dai movimenti femministi e ambientalisti: nel primo caso, essi hanno portato a una ridefinizione dei rapporti tra i sessi; nel secondo, a una ridefinizione dei rapporti tra uomo e natura. Castells nota anche che gran parte del successo del movimento ambientalista deriva dal fatto che, più di qualsiasi altra forza sociale, è riuscito ad adattarsi alle condizioni della comunicazione e della mobilità del nuovo paradigma tecnologico. Da un lato, il movimento si fonda su organizzazioni di base (cioè, su reti umane viventi); dall’altro, è stato all’avanguardia nell’uso delle nuove tecnologie della comunicazione (cioè, le reti elettroniche), in quanto strumenti organizzativi e mobilitanti. In tal modo, il movimento ambientalista ha creato un legame unico tra le reti elettroniche ed ecologiche.
In realtà, da molti anni le “reti” sono una delle principali attività delle organizzazioni politiche di base. I movimenti ambientalista, femminista, per i diritti umani, per la pace (e molti altri movimenti di base politici e culturali), si sono tutti organizzati come reti flessibili che trascendono i confini nazionali.
L’anno scorso, per diversi mesi, molte di queste organizzazioni di base si sono collegate elettronicamente tra loro allo scopo di organizzare azioni congiunte di protesta al congresso del World Trade Organization (WTO) a Seattle. La “coalizione di Seattle” è stata molto efficace nel far deragliare il congresso del WTO e nel far conoscere il proprio punto di vista al mondo. Le sue azioni concertate potrebbero aver permanentemente modificato l’atteggiamento della politica sul tema della globalizzazione economica.
Esistono due sviluppi che avranno un grande impatto sul benessere e gli stili di vita dell’umanità. Entrambi riguardano le reti e le nuove tecnologie. Uno di essi è la nascita del capitalismo globale e della network society; l’altro è la creazione di comunità sostenibili dove vigono pratiche di ecoalfabetizzazione ed ecodesign.
Laddove il capitalismo globale si preoccupa delle reti elettroniche dei flussi finanziari e delle informazioni, l’ecoalfabetizzazione e l’ecodesign si preoccupano delle reti ecologiche dei flussi energetici e materiali. Il fine dell’economia globale è massimizzare la ricchezza e il potere delle élite nella network society; il fine dell’ecodesign è massimizzare la sostenibilità della rete della vita.
Questi due scenari – ognuno implicante reti complesse e speciali tecnologie avanzate – sono, in questo momento, in rotta di collisione. La network society è distruttiva delle comunità locali, quindi intrinsecamente insostenibile. Essa si basa sul valore centrale del capitalismo – fare soldi per il gusto di fare soldi – a esclusione di altri valori. Comunque, i valori umani possono cambiare: non sono leggi naturali. Le stesse reti elettroniche dei flussi finanziari e delle informazioni potrebbero avere in sé altri valori. La sfida del ventunesimo secolo è cambiare il sistema di valori della network society, in modo da renderlo compatibile con le esigenze della sostenibilità ecologica.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright originale Fritjof Capra.
Originalmente apparso su "Resurgence" magazine
http://resurgence.gn.apc.org/home.htm
Copyright per l’edizione italiana Innernet www.innernet.it
Sociale.network