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Il deserto che minaccia tutti noi

In generale si valuta che un miliardo di persone siano esposte al rischio della desertificazione, su una superficie che è un terzo del pianeta. Ma tra questi ce ne sono 135 milioni immediatamente minacciati, la cui unica via d'uscita sembra essere l'abbandono delle loro terre, almeno se le 191 firme che gli stati hanno apposto alla Convenzione contro la desertificazione non si tradurranno in azioni concrete.
12 luglio 2004
Franco Carlini
Fonte: www.ilmanifesto.it
29.06.04

«Non penseranno di farci stare per tre giorni seduti a parlare di desertificazione dell'Africa». Lo disse in occasione del Social forum di Firenze il no global napoletano Francesco Caruso, volendo contrapporre il conflitto sociale alle discussioni umanitarie. Quanto fosse ingenuo e eurocentrico quel punto di vista lo conferma la giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità che si tenuta il 17 giugno, nel totale e colpevole disinteresse di tutti. Era organizzata dall'Unccd, l'organizzazione dell'Onu contro la desertificazione (http://www.unccd.int/). Le cifre come al solito sono impressionanti quanto poco note: si prevede che entro il 2020 60 milioni di persone migreranno dalle aree desertificate subsahariane verso l'Africa del nord o l'Europa, ma che al loro arrivo troveranno una regione mediterranea ben più arida di quanto è oggi. Il tema della giornata era la dimensione sociale (e non solo ambientale) della «secchezza» di terreni precedentemente fertili e sta tutta in due parole: migrazione e povertà.
In generale si valuta che un miliardo di persone siano esposte al rischio della desertificazione, su una superficie che è un terzo del pianeta. Ma tra questi ce ne sono 135 milioni immediatamente minacciati, la cui unica via d'uscita sembra essere l'abbandono delle loro terre, almeno se le 191 firme che gli stati hanno apposto alla Convenzione contro la desertificazione non si tradurranno in azioni concrete. Lo ha ricordato il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, il quale ha aggiunto che la desertificazione, dimezzando la produttività dei terreni, «contribuisce all'insicurezza alimentare, alla fame e alla povertà e può dar luogo a tensioni sociali, politiche ed economiche che producono conflitti, così ulteriormente aumentando povertà e degrado del terreno». Per averne una diretta conferma basta guardare con occhio non distratto a quanto sta avvenendo in questi giorni tra popolazioni arabe e nere nel Darfur sudanese.
Gli esempi? Purtroppo sono numerosissimi: da quelle che erano le terre umide di Qurnah nell'Iraq, 100mila persone se ne sono andate, dirette verso il vicino Iran o dispersi nell'Iraq stesso, profughi nel loro stesso paese. Il Messico è arido per il 47 per cento del suo territorio e da lì si muovono ogni anno tra gli 8 e i 10 milioni di persone, se possibile verso gli Usa, ricorda il segretario della convenzione, Hama Arba Diallo. Un milione e 300mila sono gli haitiani che hanno lasciato l'isola negli ultimi due decenni, per via del degrado del territorio che ha dimezzato la resa agricola.
Negli ultimi venti anni metà della popolazione del Mali è emigrata almeno una volta verso i paesi vicini (96%) o verso l'Europa (2,7%). Situazioni simili si sono registrate nelle aree costiere del Perù, per l'effetto climatico del Niño che ha spinto verso le città i contadini, trasformandoli in precari baraccati.
Soprattutto andrebbe spezzato quel circuito perverso attraverso il quale la povertà e la desertificazione si alimentano reciprocamente. Contadini impoveriti sono spinti a sfruttare sempre di più le risorse della terra e questo a sua volta ne compromette il futuro, rendendoli più poveri anno dopo anno. Le tecniche per frenare il degrado anche nelle zone prossime al deserto ci sono e i verdi campi di Israele confermano che si può fare. Si tratta di prevenire l'erosione, gestire in maniera ottimale le risorse d'acqua, attivare sistemi sostenibili per il pascolo e per la gestione di mandrie e greggi. Si ricorre a spargimento di semi dagli aerei, a strutture di contenimento delle sabbie, forestazione e riforestazione con piante adatte a vivere in terreni aridi o persino salini.
Il guaio è che la desertificazione è un processo lento, un «assassino silenzioso». Se le grandi catastrofi suscitano emozioni e eventuali interventi di emergenza, qui tutto avviene con la lentezza ma l'inesorabilità dei processi geologici. L'effetto generale viene avvertito solo quando tutto è già successo: gli abitanti spariti o emigrati.

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