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L'allarme sul grave stato di inquinamento della zona è di almeno 5 anni fa. Da allora non è stato fatto nulla

Una terra di nessuno chiamata discarica

30 giugno 2004
Sabina Morandi 


Chissà perché la gente di Montecorvino Rovella e di Bellizzi non si fida. Diffidano delle parole del commissario straordinario per l'emergenza rifiuti Corrado Catenacci - né ricercatore né medico ma ex-poliziotto - e delle rassicurazioni provenienti dall'Assessorato regionale all'ambiente. Non credono che la discarica di Parapoti sia stata "messa in sicurezza" né che altre mille tonnellate al giorno «non comportino rischio d'inquinamento».
Sarà perché sono almeno cinque anni che il rapporto dell'Anpa, l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, ha lanciato l'allarme sul pesante inquinamento che ha già contaminato le falde acquifere di ammoniaca, nitriti e nitrati? O sarà perché, da allora, di bonifiche non si è nemmeno parlato? O forse perché l'unica a muoversi è stata la magistratura che, 22 gennaio del 2001, ha chiuso di forza la discarica dichiarando «l'impianto pericoloso»?

I cittadini del salernitano fanno bene a non fidarsi. Già considerare "impianto" una semplice buca dove vengono seppelliti insieme rifiuti normali e rifiuti tossici, è alquanto generoso nei confronti di Parapoti. Il problema è che, salvo rarissime eccezioni, nel nostro paese le discariche sono delle terre di nessuno estremamente redditizie lasciate a chi di profitti se ne intende: imprese compiacenti e tanta, tanta criminalità organizzata. Con una partita di giro che le autorità conoscono molto bene, i rifiuti urbani e speciali, finiscono in discariche come Parapoti, da dove, sotto forma di percolato, trasudano verso i terreni agricoli, i fiumi e le falde acquifere circostanti. Nel marzo del 2001 la Commissine parlamentare sul ciclo dei rifiuti sollecitò, davanti al Parlamento, il ministero dell'Ambiente ad arginare la diffusissima illegalità registrata in questo settore. Dalla relazione risultava infatti che, nel 1998, ben 11,6 milioni di tonnellate di rifiuti, tossici e non, sono spariti nel nulla; ergo, sono finiti in una delle numerosissime discariche fiorite nel bel paese, alla faccia delle leggi vecchie e nuove. Un giro d'affari che si aggirerebbe sui 2,6 miliardi di euro, secondo il dossier sulle Ecomafie prodotto da Legambiente, quasi tutto nelle mani della criminalità organizzata. Un traffico, prevalentemente da nord a sud, che mescola i rifiuti urbani con le scorie della lavorazione dell'alluminio, i liquidi pieni di mercurio e gli oli da pcb, i policlorobifenili tristemente noti.

Subito dopo l'approvazione del decreto Ronchi, nell'aprile del 2001, a sua volta preceduto da un piano sanitario nazionale che si poneva il problema degli inquinanti ambientali per la prima volta in Italia, le indagini e gli arresti si sono moltiplicati. Durante l'operazione Cassiopea, soltanto in Campania vennero arrestate quasi cento persone fra imprenditori, faccendieri e mediatori. Tutti accusati di disastro ambientale e di avvelenamento delle acque. Nel rapporto sulle Ecomafie del 2002, Legambiente riassume: 1.734 violazioni accertate alla normativa sui rifiuti, almeno 22 clan criminali coinvolti nel lucroso affare della spazzatura.

Ma la questione rifiuti non può certo venire ridotta a una semplice questione giudiziaria né la responsabilità delle varie Parapoti d'Italia può venire ascritta soltanto all'ecomafia. Il problema è che in questo paese manca completamente un piano complessivo per la gestione dei rifiuti, speciali e non. Fanalino di coda europeo nel riciclaggio, l'Italia lascia che sia la criminalità organizzata a occuparsi di seppellire la spazzatura dove capita, salvo, ogni tanto, tirare fuori dal cilindro l'ennesima soluzione miracolosa. Adesso tocca agli inceneritori che, concepiti nel solito sistema di appalti, subappalti e incentivi, sono destinati a diventare l'ennesima occasione d'infiltrazione mafiosa e l'ennesima fonte d'avvelenamento dei cittadini. Il fatto che vengano ribattezzati "termovalorizzatori" è solo l'ennesima beffa per il popolo inquinato.

La gestione dei rifiuti, come insegna la Germania, è una faccenda complessa che non può venire risolta da qualche bella trovata dell'ultimo minuto. E' necessaria la presenza attiva di uno Stato che investa, che controlli e che metta a disposizione competenze e professionalità - non solo quelle degli ex-poliziotti. Un riciclaggio serio che impieghi le tecnologie più avanzate può davvero trasformare i rifiuti in ricchezza, le biomasse in energia e l'incenerimento - soltanto della minima parte che avanza dal complesso ciclo del riciclaggio avanzato - in ulteriore energia. Ma si tratta di impianti inseriti in un sistema che parte dalla raccolta e va fino al controllo accuratissimo delle emissioni, e che non sono parenti nemmeno alla lontana degli inceneritori trasformati in "termovalorizzatori" con un decreto del ministro Marzano. Del resto come può, chi non sa nemmeno gestire decentemente una discarica né bonificare i numerosi siti dichiarati fuori legge dalla magistratura, affrontare una pianificazione che, nel nostro paese, deve partire praticamente da zero? I cittadini di Montecorvino Rovella fanno bene a non fidarsi: la spazzatura è una cosa troppo seria per lasciarla agli attuali amministratori.

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