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La produzione di petrolio calerà drasticamente dal 2010 e occorre puntare sulle energie alternative: parla Richard Heinberg

«Il futuro? Sarà buio e povero»

1 luglio 2004
Elena Molinari
Fonte: www.avvenire.it
30.06.04


Un mondo dilaniato dalle guerre, oscurato da frequenti blackout, con pochi aerei nei cieli e rare automobili sulla strade. Benvenuti sul pianeta Terra, 2020 d.C. La festa del benessere e della ricchezza illimitata è finita, e perché così pochi in Occidente abbiano avuto il coraggio di dirlo è una costante fonte di perplessità per Richard Heinberg, studioso di problemi energetici del New College of California di Santa Rosa. «La produzione mondiale di petrolio comincerà a ridursi drasticamente già verso il 2010 - spiega il professore californiano, il cui quinto libro La festa è finita. La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell'energia uscirà venerdì in Italia da Fazi (pagine 276, euro 18,50) -. Le società industrializzate allora si accorgeranno che le comodità che danno per scontate non hanno futuro».

Professor Heinberg, non c'è alternativa a questo scenario apocalittico?

«Il prosciugamento delle risorse petrolifere è inevitabile, e le conseguenze saranno radicali, perché dipendiamo dal petrolio per tutti i nostri bisogni fondamentali, dalla produzione e trasporto di cibo all'estrazione dell'acqua dal terreno. Ma il modo in cui ci prepariamo a questa realtà è nelle nostre mani. La scelta è fra ucciderci a vicenda per l'ultima goccia di greggio o vivere con le risorse che abbiamo».

Vale a dire fonti di energia alternative?

«Certo, ma senza dimenticarci che nessuna risorsa alternativa sarà in grado, non almeno nel giro di 20, 30 anni, di rimpiazzare interamente il petrolio. Dobbiamo imparare a vivere con metà dell'energia che usiamo oggi».

Faccia qualche esempio pratico...

«Automobili più piccole, più lente e più efficienti, meno trasporti internazionali, meno elettrodomestici e illuminazione notturna, una produzione industriale ridotta e più localizzata».

Sta descrivendo la fine della globalizzazione?

«Assolutamente sì. La globalizzazione è destinata a morire molto presto e non per cause politiche ma per motivi geologici».

Nel libro lei parla della necessità di abbandonare l'idea che un'economia sana deve necessariamente crescere. Ma questo è il presupposto dell'economia di mercato e del consumo...

«Un presupposto che va ripensato. I consumi devono ridursi e le comunità locali devono diventare più autosufficienti e meno dipendenti da importazioni ed esportazioni».
Auspica un'economia di sussistenza?

«Un'economia più lenta, meno concentrata sulla crescita e sui consumi. Da sempre ci sentiamo dire che comprare e poi buttare via produce ricchezza, ma non è vero, e lo sarà sempre meno».

Pensa che i governi occidentali siano consapevoli di questo futuro?

«Molti all'interno dell'amministrazione americana lo sono, ma la soluzione che hanno adottato è competere per le risorse rimaste: un piano miope, oltre che rischioso».

Ma quale capo di governo dirà mai ai suoi elettori di spegnere i condizionatori d'aria e di lasciare la macchina in garage?

«Eppure non avranno scelta non appena cominceranno i blackout e il prezzo della benzina andrà alle stelle, cosa che mi aspetto di vedere nel giro di due o tre anni. A quel punto tutto comincerà a succedere alla svelta: recessioni profonde e persino il collasso economico. Ma gli americani non sono stupidi. Se si spiega loro che la loro stessa sopravvivenza è in pericolo, si adatteranno gradualmente a un diverso stile di vita. Prima glielo si dice, meglio è. Quando i problemi cominceranno sarà troppo tardi. I politici a quel punto cercheranno dei capri espiatori, e probabilmente li troveranno in Medio Oriente. Abbiamo bisogno di leader coraggiosi che se necessario sappiano imporre il razionamento delle risorse e una ristrutturazione forzata del sistema economico».

Jeremy Rifkin vede una soluzione nella "economia dell'idrogeno". Non ci crede?

«No, perché l'idrogeno non è una fonte, ma un contenitore di energia, che va poi estratta usando altra energ ia. Verrà usato per alcuni casi, ma non è la soluzione».

Nel futuro che descrive i Paesi ricchi probabilmente non saranno più ricchi: non crede sia utopico aspettarsi che Usa, Giappone ed Europa rinunciano alla loro posizione di potere?

«Eppure è inevitabile. Così come India e Cina devono pensare ora a forme di sviluppo alternativo che non replichino il modello di consumo occidentale».

Secondo lei se ci prepariamo a questo nuovo e spartano stile di vita potremmo persino trovarlo piacevole?

«Ne sono convinto. Guerre e povertà sono evitabili se non ci lasciamo piombare il futuro addosso. Se prendiamo adesso le misure necessarie avremo una società più equa, con comunità più piccole e in genere una vita più soddisfacente. Nulla di strutturale ci impedisce di arrivare a questo risultato. La mia paura è che non succederà per mancanza d'informazione o perché i leader mondiali non vorranno prendere decisioni impopolari».

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