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Allarme per i cereali: la produzione da 5 anni non copre il fabbisogno

Il deficit porterà le scorte mondiali sotto il livello dei 300 milioni di tonnellate, cioè meno di 60 giorni. Complessa situazione in Cina
3 luglio 2004
Aldo Conti
Fonte: La Stampa Tutto scienze
23.06.04

Che cosa succederebbe se la produzione mondiale di cereali (riso, grano, frumento) risultasse inferiore al consumo? Purtroppo è esattamente quanto lo Earth Policy Institute prevede per il 2004. E sarebbe il quinto anno consecutivo in cui ciò accade. Per il 2004 la produzione dovrebbe essere di 1,89 miliardi di tonnellate, a fronte di un consumo di 1,95. I 60 milioni di tonnellate di deficit porteranno le scorte mondiali sotto i 300 milioni di tonnellate, cioè meno di 56 giorni di consumo a pieno ritmo.

Gli analisti concordano sul fatto che la sicurezza alimentare del mondo richieda scorte per almeno 70 giorni. L'ultima volta che le scorte scesero sotto i 60 giorni, nel 1972, il prezzo del riso e del frumento raddoppiarono. Ovviamente, gli unici modi per far fronte alla situazione sono una pesante erosione delle scorte mondiali o un forte aumento dei prezzi, che riduca il consumo. Molto probabilmente alla fine si verificherà una via di mezzo, ma l'aumento dei prezzi è inevitabile, poiché molte nazioni, in testa la Cina, saranno presto costrette a ricorrere pesantemente alle importazioni.

Come mai il raccolto è così scarso? E come mai per cinque anni di fila? Una parte della risposta sta nei normali problemi causati dagli insetti e dalle malattie delle piante, ma la realtà potrebbe essere ben più preoccupante. Secondo Lester Brown, direttore del Earth Policy Insitute, i cambiamenti climatici globali diventano un fattore sempre più importante. Le ondate di calore che hanno colpito l'Europa, fino all'Ucraina, nel 2003 e gli Stati Uniti nel 2002, disseccandone i raccolti, sono probabilmente frutto più del caso che del riscaldamento globale. Ma lo stesso non si può dire della desertificazione di molti terreni un tempo produttivi, processo che viene aiutato dall'uomo con pratiche suicide come il disboscamento selvaggio. Ma la mancanza di terreni coltivabili non è un problema gravissimo e forse addirittura non esiste. In molte nazioni l'agricoltura inizia a soffrire per la mancanza di acqua, causata a sua volta da molteplici motivi. Intanto, le pratiche agricole moderne sono le stesse di due secoli fa, estremamente poco efficienti nell'utilizzo dell'acqua, che in buona parte evapora invece di essere usata dalle piante.

Quasi ovunque l'agricoltura perde acqua in favore delle città, dove la crescita sia degli abitanti sia delle condizioni di vita si traduce in consumi idrici sempre più elevati. Alcune nazioni preferiscono poi utilizzare l'acqua di cui dispongono per l'industria, e comperare cibo con la ricchezza così prodotta. Le due nazioni che più soffrono per il prosciugarsi delle falde acquifere sono gli Stati Uniti e la Cina. Ma è proprio il colosso asiatico che potrebbe diventare l'artefice principale dei cambiamenti che ci aspettano. La Cina ha visto una sbalorditiva crescita nella sua produzione di granaglie, passata dai 90 milioni di tonnellate del 1950 fino ai 392 del 1998. Negli ultimi anni però la produzione è scesa ai 322 milioni di tonnellate dello scorso anno. Per comprendere meglio questi numeri, basti pensare che i 70 milioni di tonnellate persi equivalgono all'intera produzione annuale del Canada. In Cina il problema è molto più complesso e grave di quanto sembri. Il deserto del Gobi ruba ogni anno circa 10000 chilometri quadrati di terreni coltivabili e, specialmente nelle regioni settentrionali, si prosciugano varie migliaia di pozzi. Tutto questo si unisce all'aumento del tenore di vita dei cittadini, che si traduce in un aumento dei guadagni e in una scalata della catena alimentare. Questo significa che i cinesi consumano sempre più carne di animali foraggiati con granaglie. E tutto ciò si unisce al fatto che la Cina ha 1,3 miliardi di abitanti, circa un quinto della popolazione mondiale.

Negli ultimi anni la Cina ha ormai dato fondo alle sue riserve, una volta massicce, ed entro breve sarà quindi forzata a importare fino a 50 milioni di tonnellate di granaglie all'anno. Questo significa che dovrà rivolgersi agli Stati Uniti, che controllano la metà del mercato mondiale. È però interessante notare che la Cina ha crediti commerciali verso gli Stati Uniti pari a 120 miliardi di dollari, sufficienti a comperare due volte l'intera produzione statunitense di granaglie. Le prime avvisaglie della crisi in arrivo si sono già prodotte negli ultimi mesi, quando delegazioni cinesi si sono recate in Australia, Canada e Stati Uniti per comperare 5 milioni di tonnellate di frumento, facendone lievitare i prezzi.

Molti analisti prevedono però che questo sia solo l'inizio e che per il prossimo autunno ci si debbano aspettare aumenti consistenti anche di altre granaglie e, di conseguenza, anche della carne e di molti altri alimenti. L'aumento dei prezzi non sarebbe del tutto negativo, perché si potrebbe tradurre in un aumento della produzione. Molti agricoltori hanno infatti abbandonato in questi anni la coltivazione di granaglie proprio per via dei prezzi bassi, favorendo invece la produzione di vegetali più remunerativi, ma sicuramente meno fondamentali. Gli aumenti riguadagneranno quindi alle granaglie vaste aree di coltivazioni, riaumentando la produzione. I prezzi ritroveranno un loro equilibrio, certo a livelli più alti di quelli attuali. Se da noi le conseguenza saranno contenute, lo stesso non si può dire per i tre miliardi di persone che già vivono con meno di due dollari al giorno.

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