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La vittoria del sì

La Bolivia ha detto sì a tutti i cinque questiti del referendum sul gas di  domenica. E nonostante gli inviti all'astensione dei sindacati, alle urne sono andate 4 milioni e mezzo di persone
19 luglio 2004 - Il presidente Carlos Mesa, promotore della consultazione popolare, ha parlato ieri di una “svolta storica”, per un paese che dopo molti anni torna a rilanciare l'iniziativa statale in un settore strategico come quello del gas. Nei giorni scorsi, Mesa aveva invitato fino all’ultimo gli elettori a recarsi alle urne, mentre l’opposizione e i sindacati chiedevano di boicottare la consultazione.
20 luglio 2004
Paola Erba
Fonte: www.peacereporter.net
19.07.04

Grandissimo il margine dei sì (fra l'87,1 e il 92,1%) alle domande riguardanti l'abrogazione della legge degli idrocarburi, il maggior controllo dello stato sulle esportazioni di gas naturale (senza però giungere alla rinazionalizzazione ) e il rilancio della compagnia pubblica Ypfb (Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos). Minor consenso, invece (fra 57,5 e 64,7%), sull'opportunità di usare il gas come arma per ottenere dal Cile uno sbocco al mare, e sull'autorizzazione a riprendere le esportazioni di gas sulla base di una crescita delle entrate per il governo.
Le operazioni di voto si sono concluse senza particolari incidenti. Solo a El Alto, un centinaio di abitanti hanno cercato di fare irruzione nel seggio elettorale e hanno lanciato sassi contro gli osservatori elettorali dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa). E ad Achacachi, 40 chilometri nord-ovest da La Paz, è esploso un ordigno senza però provocare danni né feriti.
La Bolivia possiede la seconda riserva di gas naturale dell’America Latina, dopo il Venezuela, valutata in circa 70 miliardi di dollari. Ma oggi, il gas del Paese è in mano a un pugno di grosse multinazionali (Repsol, Petrobrás, Enron, Shell, British Gas e altre), che godono di guadagni eccezionali. Per gli 8 milioni di boliviani, in maggioranza indigeni, restano solo le briciole.
Il referendum è stato chiesto lo scorso ottobre, dopo mesi di lotte costate 80 morti e le dimissioni dell’ex presidente Sánchez de Lozada, responsabile di un’aggressiva politica di privatizzazioni delle imprese statali, culminata, nel 1997, con la consegna di tutta la catena di produzione idrocarburifera del Paese nelle mani di un gruppo di multinazionali statunitensi ed europee.
Evo Morales, leader del maggiore partito di opposizione (il Movimento al socialismo, Mas), dopo aver parzialmente sostenuto il referendum, ha annunciato ieri che intende lavorare ad una nuova Legge sugli idrocarburi da sottoporre al Parlamento. Obiettivo: rivedere i 78 contratti stipulati negli ultimi anni con una ventina di multinazionali straniere, che il governo ha invece promesso di non modificare.
Proprio per questa ragione, nei giorni scorsi, i sindacati e numerosi settori della società civile hanno aspramente criticato il referendum, invitando all’astensione dal voto. "Il referendum -sostengono ancora oggi- non  servirà a nulla, perchè non mette in discussione il problema di fondo, cioè il recupero, da parte dello Stato, delle risorse idrocarburifere. Al contrario, punta a mantenere la situazione di fatto, favorendo le multinazionali e gli attuali proprietari del gas e del petrolio".

 

 

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