Acqua a perdere
7.08.04
Deir-az- Zawr, Siria orientale. I contadini tengono d'occhio con apprensione il livello dell'Eufrate che scorre con svogliatezza sotto le arcate in ferro del ponte costruito dai francesi negli anni Trenta.
Un centinaio di chilometri a monte il livello del lago Assad è fortemente condizionato dai prelievi sull'Eufrate in territorio turco.
Dintorni di Mao, repubblica del Ciad. I pastori nomadi abbeverano le greggi con sempre crescenti difficoltà. Nel giro di quarant'anni il Ciad, principale riserva d'acqua dell'Africa subsahariana, si è ridotto ad un ventesimo delle dimensioni originarie e minaccia di fare la fine dell'asiatico lago d'Aral, quasi prosciugato: fiumi come l'Amudarja (il leggendario Oxus) e il Syrdarja non riusciranno a tenerlo in vita.
Beira, Mozambico. Agli abitanti della seconda città del paese un acquedotto realizzato dai giapponesi con finanziamenti svedesi dovrebbe garantire venti (teorici) litri d'acqua pro-capite al giorno, una manna secondo gli standard dell'Africa disperata. I dipendenti delle imprese occidentali che operano in zona vanno a casa la sera con due litri di acqua potabile, benefit di valore incalcolabile. Ad un italiano di acqua non ne bastano 215 litri al giorno.
Yuma, Arizona. Nelle stagioni più secche il Colorado non riesce a raggiungere il mare, il golfo di California. Anche gli opulenti States hanno - a volte - la siccità alla gola.
Quattro flash per arrivare ad una conclusione univoca e preoccupante: ad essere stretto nella morsa della mancanza d'acqua è tutto il globo terrestre, con sempre più scarse differenziazioni tra ricchi e poveri, tra i paesi ipersviluppati e quelli che si arrabattano per la pura e semplice sussistenza. L'acqua è la vita, la mancanza d'acqua è l'assenza di vita, cioè la morte. Non è un caso che al seminario scientifico che si svolge ad ogni agosto ad Erice quella idrica sia costantemente monitorata come una delle emergenze planetarie più preoccupanti. Se è vero che si sono fatte (e si fanno) gue rre per il petrolio, nessuno è in grado di escludere che nei decenni futuri si facciano parlare le armi per accaparrarsi una sorgente importante o per reagire al protagonismo di uno stato confinante che abbia ridotto la portata di un fiume che attraversa la regione. Ipotesi fantascientifica? E' da sperare che lo sia, ma il fatto che nell'ultimo mezzo secolo il numero di bacini fluviali condivisi da più paesi sia passato da 210 a 260 alimenta qualche preoccupazione. Non è un segreto che Egitto e Sudan hanno qualche disputa aperta a proposito del Nilo, India e Pakistan litigano per l'Indo, Turchia, Siria e Iraq si contendono le portate del Tigri e dell'Eufrate, Slovacchia e Ungheria questionano sul Danubio, Stati Uniti e Messico sul Colorado, Israele si tiene il Golan perchè su quelle colline nasce il Giordano.
Acqua sempre più preziosa e scarsa, acqua come oro. Sono una ventina i paesi che soffrono delle carenze maggiori, sparsi tra l'Africa, l'Asia, il Medio Oriente, ma tra 20 anni potrebbero essere 40, forse 50. Gli assetati, un miliardo e mezzo, diventeranno tre miliardi: il fabbisogno minimo per gli usi domestici e per l'alimentazione è stato calcolato in 50 litri al giorno a testa. Crescono - e cresceranno - i prelievi, fino a quando sarà possibile; cresce - e crescerà - l'inquinamento delle acque reflue, che senza drastici interventi di contrasto porterà a ulteriori contaminazioni delle falde freatiche, un serbatoio che immagazzina il 97 per cento dell'acqua dolce, la cui disponibilità teorica globale pro-capite è scesa dai 16.800 metri cubi del 1950 ai 6.800 del 2000. Le chiare, fresche, dolci acque restano confinate nei territori immaginari della poesia in quanto le statistiche usano un linguaggio meno artefatto, crudele: parlano di seimila bambini che muiono ogni giorno in ogni angolo del pianeta in conseguenza della mancata disponibilità di acqua potabile. Morti di siccità, di sete o di malattie provocate da acqua infetta. Bisogna vederli, in certi paesi africani, i bambini che riempiono tanichette attingendo direttamente ai canali di scolo delle fogne. Bisogna vedere le donne che con recipiente in precario equilibrio sul capo e un bambino legato sulla schiena percorrono decine di chilometri in cerca di una sorgente.
Rimangono, è vero, le acque dei mari e degli oceani. Quali paesi potranno sostenere gli oneri della potabilizzazione anche quando i processi relativi fossero più efficienti? Non i più poveri, condannati alla sete perenne. Rimangono le riserve strategiche costituite dai ghiacci polari, ma è demenziale immaginare il trasporto di un iceberg dalla Groenlandia al deserto della Namibia.
L'emergenza acqua - pesante oggi, drammatica in prospettiva domani - si tampona probabilmente con misure meno spettacolari e avveniristiche ma di sicuro impatto: contenimento degli sprechi, riduzioni degli inquinanti negli scarichi, riciclaggio delle acque ad uso industriale, adozione di tecniche irrigue meno dispersive in agricoltura. Le piogge artificiali? Qualcuno ci prova, ma su scala locale anche rudimentali sistemi di captazione delle nebbie attraverso l'impiego di superfici di condensazione offrono risultati non disprezzabili. Per non parlare dei semplici pozzi artesiani che un missionario riesce a trivellare con poca spesa in un villaggio di una zona semidesertica. E con l'acqua il missionario fa vivere il villaggio e fa vivere alberi fino a creare un'oasi dove prima c'era solo sabbia. Perché alla fine tutto si tiene: l'acqua alimenta le piante, le piante incidono sul clima e ne arrestano i cambiamenti che a loro volta provocherebbero aridità e desertificazione.
Più boschi significano di certo più acqua. Il pianeta è assetato e ha la siccità alla gola anche perché ogni due secondi viene disboscata un'area pari alla superficie di un campo di calcio.
Sociale.network