La capitale greca ha cambiato volto. Sembra più europea e meno caotica mentre la presenza di 66 leader, tra i quali 29 capi di stato e 26 primi ministri, molti dei quali si incontreranno con il premier conservatore Kostas Karamanlis, mette il paese al centro del mondo. E delle tensioni internazionali. Inaugurate le Olimpiadi, non conta se le spese per l'organizzazione dei giochi e soprattutto per la loro sicurezza hanno superato di molto il preventivo, obbligando il governo a nuovi prestiti. Non interessa la presenza di mille agenti stranieri, molti dei quali armati, soprattutto americani, inglesi, israeliani, australiani che sono arrivati all'aeroporto di Atene con il tesserino di allenatori, massaggiatori, cuochi insieme alle loro squadre nazionali.Atene in silenzio ha accettato le pressioni esercitate da Washington, Londra, Tel Aviv e nessuno sembra reagire per la militarizzazione della città e la presenza di sistemi sofisticati di controllo che violano i diritti umani e la privacy dei cittadini. Forse perché gli ateniesi, con l'eccezione degli impiegati del settore pubblico obbligati a rimanere ai loro posti, hanno preferito prendere la via della vacanze, lasciando la città nelle mani delle autorità. Nessuno in questo momento si preoccupa di come saranno mantenute le strutture olimpiche dopo la fine dei giochi. I ministri del governo della «Nuova democrazia», da pochi mesi al potere, si limitano ad auto congratularsi, «perché grazie al nostro governo le opere sono finite», senza aver però nessuna idea su che cosa succederà dopo i giochi. Soprattutto, senza spendere una parola sul grande sconfitto di queste Olimpiadi, l'ambiente. Grazie a una inchiesta del Wwf e alle denunce del movimento ecologista greco, gli ateniesi hanno saputo che tutti questi lavori di vetrina, le grandi opere sportive, gli stadi, le tangenziali attorno alla loro città, la nuova metropolitana hanno provocato enormi danni ambientalistici, perché non sono state rispettate tutte le regole durante le fasi della costruzione.
La presenza di un imponente e sofisticato sistena di sicurezza, una sorta di Grande Fratello, viene considerata un successo dai media, come un fatto naturale per proteggere l'evento dalla lunga mano di Al-Qaeda. Pochissimi fanno notare come le misure di sicurezza, oltre ai capitali colossali spesi, sono costate la vita a 13 operai, mentre decine di altri, soprattutto extracomunitari, sono stati feriti, perché lavoravano nei cantieri dei Giochi olimpici senza le minime misure di sicurezza.
L'altro ieri al Propilea, nel centro di Atene, in un happening organizzato dal Forum sociale greco, attivisti no-global hanno denunciato «le condizioni di lavoro medioevali» nei cantieri olimpici. Poche ore prima, sul terrazzo di un albergo centrale, le organizzazioni internazionali Oxfam, «sindacati mondiali» e «campagna per vestiti puliti» hanno presentato ai giornalisti dati preoccupanti sulle condizioni di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori nel settore dei prodotti sportivi. Soprattutto nell'industria delle magliette e delle scarpe, i profitti delle multinazionali, le stesse che poi sovvenzionano gli atleti, sono enormi grazie al fatto che la maggioranza dei lavoratori hanno stipendi di fame e non hanno i minimi diritti. Le rappresentanti di alcune Ong hanno denunciato il comitato olimpico, perché «ha rifiutato di ricevere più di mezzo milione di firme raccolte tra gente che protesta in tutto il mondo». «Nella mia fabbrica c'è chi fa 45 ore di straordinario alla settimana, spesso non pagato», ha accusato una trentaduenne lavoratrice dell'Indonesia, licenziata perché era tra gli organizzatori di uno sciopero. 5.500 operai lavorano dalle sette del mattino fino alle tre di notte per sei giorni la settimana, guadagnando 35 euro al mese, ha aggiunto.
Pochi poi sono disposti a parlare dei tre atleti palestinesi, della 18enne Sanaa Abu Bahit, del venticinquenne Abdel Salam Al Ntabatzi e del diciassettenne Raed Luaisad che in condizioni tragiche si sono allenati per ottenere una medaglia in questi giochi. L'ambasciatore palestinese ad Atene, Maruan Abdel Hamid ha espresso il suo disgusto per il fatto che il Comitato olimpico ha rifiutato, per «motivi tecnici» la partecipazione ai giochi di Sofia Sakorafa, medaglia d'oro nel passato, che ha avuto la nazionalità palestinese, nonostante sia greca.
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