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Una domanda crescente per una risorsa destinata a esaurirsi

Fa ridere sentire parlare di «sviluppo sostenibile» quando si dipende in modo determinante dallo sfruttamento spudorato di una risorsa che appartiene ad altri paesi, estorto in base a rapporti di forza: se anche se vi fosse petrolio per mille anni, questo deve essere rifiutato, e superato.
16 agosto 2004
Angelo Baracca
Fonte: www.ilmanifesto.it
14.08.04

Tratto da rai news «Il petrolio è troppo a buon mercato: la cifra che io uso è sui 182 dollarial barile». Quest'affermazione da brivido non è di un pazzo, ma di Mattew Simmons, banchiere nel settore energetico e consigliere del piano energetico Bush-Cheney, ed è stata riportata in un servizio shock della Bbc il 7 giugno scorso sul Congresso a Berlino dell'Aspo, l'Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio. Il 14 maggio l'autorevole economista Paul Krugman scriveva sul New York Times: «Una recessione (dell'economia mondiale) spinta dal petrolio non sembra affatto remota». Che cosa sta succedendo? Non si tratta solo degli attentati, o della sottoutilizzazione dei giacimenti iracheni. La Bbc riporta che per evitare grossi problemi già alla fine di quest'anno l'Arabia Saudita dovrebbe aumentare la sua produzione del 30 %: ma la produzione saudita è quasi piatta. L'Aspo e molti altri esperti valutano che la produzione mondiale di petrolio abbia quasi raggiunto un massimo assoluto, e già nel futuro prossimo (al massimo un paio di decenni) comincerà inesorabilmente a diminuire, e potrà ridursi a quasi la metà verso la metà del secolo. Per il gas naturale questo picco di produzione sarebbe solo ritardato di una ventina di anni. Questa analisi si basa su un metodo rigoroso introdotto dal geologo Hubbert che nel 1956 predisse che l'estrazione di petrolio negli Stati uniti avrebbe raggiunto un picco nel 1970 e poi sarebbe diminuita. Venne deriso, la sua teoria giudicata non credile. E in effetti si sbagliava, ma di molto poco: il picco arrivò nel 1971, e oggi l'estrazione negli Usa è drasticamente ridotta.

L'analisi di Hubbert si basa sul fatto che in qualsiasi campo petrolifero (come per ogni risorsa non rinnovabile) la produzione (milioni di barili/anno) all'inizio aumenta rapidamente perché si estrae il petrolio più superficiale e abbondante, poi raggiunge un massimo (quando il giacimento è ridotto a circa la metà) ed incomincia a diminuire perché rimane il petrolio che richiede l'impiego di più tecnologia ed energia. Infine si arresta (quando può rimanere ancora più del 20% del giacimento originale) perché l'ulteriore estrazione richiede più energia di quella contenuta nel petrolio.
Questa andamento dell'estrazione viene definito «curva a campana» ed è stata verificata per tutti i campi petroliferi: le produzioni del Mare del Nord e della Gran Bretagna, ad esempio, hanno raggiunto il picco nel 1999. Questa analisi, estesa a tutti i giacimenti mondiali - accertati, probabili e possibili - conduce appunto a prevedere un picco di estrazione (Hubbert Peak) verso la fine di questo decennio, ed è facilmente reperibile in molti siti Internet (ad esempio quello dell'Aspo Italia: www.aspoitalia.net).

Per inciso,la produzione dei paesi non-Opec ha già raggiunto il picco qualche anno fa. D'altra parte, le scoperte di nuovi giacimenti ha raggiunto un picco nei primi anni `60: l'80 % del petrolio che consumiamo è stato trovato prima del 1973, e oggi viene scoperto 1 barile di nuovo petrolio ogni 4 che consumiamo. Le conclusioni dell'Aspro si possono comprendere anche in base a dati globali. Le riserve del passato si valutano in 821 Gb (miliardi di barili) certi e probabili, più circa 150 Gb possibili. Si estraggono attualmente 23 Gb all'anno. I giacimenti ancora da scoprire si valutano in 163 Gb, che darebbero una produzione di 6 Gb all'anno: occorrerebbe dunque scoprire quattro volte di quanto si faccia oggi nuovi giacimenti per compensare la produzione attuale.
Senza tenere conto di un punto fondamentale, che la domanda è in continua crescita: nel 2002 la International Energy Agency prevedeva un aumento dei consumi del 50 % nei prossimi 20 anni. E l'ombra lunga della Cina - già ora secondo consumatore mondiale di greggio dopo gli Usa che nei primi 7 mesi del 2004 ha importato 70 milioni di tonnelate di greggio, con un incremento di quasi il 40% rispetto all'anno precedente- si proietta minacciosa anche sul petrolio.
Vi sono ingenti giacimenti di «petrolio non convenzionale» (in acque profonde e polari, sabbie e scisti bituminosi), ma molti esperti valutano molto costosa e problematica la sua estrazione, e non sembra modificare sostanzialmente le predizioni dell'Aspro. Oggi gli occhi sono puntati sui segni di ripresa dell'economia mondiale: ma potrebbe intervenire un fattore che mozzerebbe letteralmente la testa alle economie del petrolio.

Ma vi è una considerazione che sta ancora a monte. Le nostre economie sono eticamente ingiuste e immorali, ancor prima che insostenibili. Fa ridere sentire parlare di «sviluppo sostenibile» quando si dipende in modo determinante dallo sfruttamento spudorato di una risorsa che appartiene ad altri paesi, estorto in base a rapporti di forza: se anche se vi fosse petrolio per mille anni, questo deve essere rifiutato, e superato. Paradossalmente, forse un prezzo giusto sarebbe di mille dollari al barile. Lascia interdetti che quella che la sedicente «sinistra» abbia abbandonato qualsiasi criterio morale, e consideri egoisticamente «normale» questa situazione. Naturalmente, se le cose stanno così (ma sono sempre più i riconoscimenti egli allarmi dell'establishment) è indilazionabile la ricerca di alternative e soluzioni. La transizione alle energie rinnovabili è un imperativo: ma sarà sufficiente? Forse è tardi.

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