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Il nucleare non è economico, non è sicuro e non è pulito

Disastri subito dimenticati e perverse ricette

14 agosto 2004
Giorgio Nebbia

la centrale atomoca di Mihama Abbiate pazienza: fra una settimana di Mihama (quattro morti e pochi feriti gravi), Shimane (un po' di incendio) e Fukashima (un po' di carenza di manutenzione), non si ricorderà più nessuno e gli avvocati dell'energia nucleare potranno continuare il loro martellamento dell'opinione pubblica nel nome di affari e appalti (e magari tangenti elettriche).

Del resto che cosa dicono, alla maggioranza degli italiani, nomi come Celiabinsk, Harrisburg, Chernobyl, Tokaimura? Aveva ragione Dario Paccino nel suo graffiante libro: "Tutti vivi a Harrisburg", prevedendo che, dopo l'incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, nel 1979, la fame di energia e elettricità avrebbe cancellato quel disastro e anche tutti i disastri nucleari successivi. Mi sembra di sentire i sostenitori del ritorno al nucleare in Italia: quattro morti di una ditta appaltatrice della manutenzione della lontanissima centrale di Mihama che cosa sono rispetto ai tremila morti all'anno nei cantieri italiani, ai diecimila morti all'anno sulle strade del nostro paese?

E' proprio davanti a queste obiezioni che va ripresa, se mi permettete, anche a sinistra una "pedagogia" sul nucleare e sull'energia, anche alla luce dell'aumento del prezzo del petrolio che scatena perverse ricette. E di tali perverse ricette ne abbiamo avute fin troppe in Italia, pagate con costi ambientali e con costi monetari: dalla partecipazione al ritrattamento del combustibile del defunto reattore americano di Elk River, inutili scorie che ci ritroviamo a Trisaia in Basilicata, alla partecipazione azionaria dell'Enel al reattore francese Superphenix, chiuso dopo pochi anni e di cui stiamo ancora pagando i costi con la bolletta elettrica - e nessuno dei responsabili paga mai di persona - a varie altre (dis) avventure tecnologiche.

Se allora una sinistra si propone di governare l'Italia farà bene, a mio modesto parere, a tenere presente che l'unica ricetta per uscire dalla crisi è una revisione della politica energetica e la redazione di un credibile piano energetico nazionale nel quale non c'è posto per il nucleare. Il quale non è economico, non è sicuro, e non è pulito.

Sulla convenienza economica va considerato il fatto che dall'energia nucleare è possibile ricavare soltanto elettricità, cioè soltanto una parte della richiesta energetica; dal nucleare non è possibile ricavare carburanti per i trasporti, a meno di passare da quell'equivoca proposta dell'idrogeno ottenuto per elettrolisi usando, appunto, elettricità nucleare, che è proprio la soluzione sbagliata per un eventuale ricorso all'idrogeno. Il nucleare non è conveniente economicamente se si ragiona in termini di costi aziendali nei quali vanno inclusi - ma normalmente non vengono inclusi - i costi ambientali, i costi della sicurezza, i costi monetari dell'isolamento per secoli delle scorie, i costi dello smantellamento alla fine della vita utile dei reattori. Se si includono correttamente tutti questi costi, che sono, a rigore, costi
"aziendali", si vede che il chilowattora di origine nucleare è il più costoso fra tutte le forme di elettricità disponibili, anche se si tiene conto, nel caso dell'elettricità di origine fossile, dei costi per limitare l'effetto serra.

L'elettricità nucleare non è sicura: oh, certamente, innumerevoli impianti tecnici hanno incidenti mortali per i lavoratori, hanno difetti di costruzione, fanno fuoriuscire gas tossici o agenti che avvelenano i fiumi e l'ambiente, ma lo speciale carattere dei reattori nucleari fa sì che un incidente al reattore, la cui probabilità, lo si è visto, non è affatto zero, comporta emissione di sostanze radioattive che contaminano enormi superfici di terreno che provocano morti a centinaia, che fanno sentire i loro effetti per decenni.

L'elettricità nucleare, infine, non è pulita se si considera l'effetto ambientale dell'intero ciclo del combustibile: dalla miniera di uranio, alla trasformazione del minerale in ossido di uranio, alla separazione della frazione "utile", l'uranio fissile 235, dalla zavorra, l'uranio 238, che peraltro le fertili menti degli ingegneri del complesso militare-industriale hanno scoperto che può anche lui essere "utilmente" impiegato come metallo per proiettili capaci di liberare, nell'urto contro le corazze dei carri armati, altissime temperature e una polvere di ossido di uranio tossico e radioattivo - che, tanto, resta ad avvelenare i paesi coloniali dove è passata la guerra tecnologica imperiale "vittoriosa".

Ma il ciclo continua, come è noto, nel reattore in cui l'uranio 235 si frantuma in nuclei radioattivi (e libera calore) e si trasforma in plutonio, radioattivo anch'esso, e il tutto - l'uranio residuo, i frammenti radioattivi, il plutonio - rappresentano quelle "scorie" che in parte sono trattate per ricuperare il plutonio adatto per bombe atomiche, in parte restano come residui da sistemare "da qualche parte", non si da dove, come si è visto nel novembre scorso, come sanno negli Stati uniti e in Germania dove non si trovano adatti depositi per conservare le scorie radioattive per secoli o millenni, segregati dalle acque e dalla vita.

L'affermazione che il nucleare non è "pulito" si riferisce soprattutto a questa delicata eredità di scorie tossiche e pericolose che ci si accontenta di lasciare come problema da risolvere a chi verrà dopo di noi. I revisionisti nucleari hanno buon gioco nel dire che anche le centrali termoelettriche a petrolio o gas provocano effetto serra, che pure coinvolge le generazioni future, che anche lo scappamento degli autoveicoli immette nell'aria gas tossici, che tanti altri "progressi" merceologici hanno effetti nocivi, davanti ai quali la preoccupazione per il nucleare è irrisoria. Questi revisionisti parlano attraverso decine di siti Internet e hanno rispettoso ascolto nelle stanze del palazzo e degli affari e degli appalti.

Che cosa ha da dire una sinistra, senza rincorrere temporanee passioni ecologiste, attenta al futuro di una società umana più giusta e più sicura? Vorrei concludere ricordando che la revisione della politica energetica significa revisione della politica merceologica, un riesame di quello che il paese è in grado e ha bisogno di produrre e di importare e di esportare nell'attuale quadro dei rapporti internazionali e della disponibilità di risorse naturali. Infatti ogni prodotto, ogni servizio, hanno un loro costo energetico per cui il fabbisogno di energia e la qualità dell'energia, sono strettamente legati al soddisfacimento di bisogni umani individuali e sociali. Questa è politica, gente.

 

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