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E' possibile conciliare i modi dell'attuale crescita economica con il rispetto dell'ambiente?

"Lettera aperta agli economisti"

AA.VV. Manifestolibri 2001, pp. 159, a cura di Carla Ravaioli
8 settembre 2004
Antonio Sciotto

. Un appello agli economisti: non guardate solo al Pil, al Dow Jones e al Nasdaq. La terra, le risorse idriche, l'aria che respiriamo, non possono essere trascurate perché l'ambiente, proprio a causa della crescita economica forsennata, va verso il collasso. E se qualcuno, tra gli intellettuali, si deve porre seriamente il problema, questo deve essere proprio l'economista. Al G8 di Genova di cosa si parlerà, se non soprattutto della globalizzazione dell'economia? E il popolo di Seattle cosa contesterà, se non proprio il poco rispetto che il capitale sempre più senza barriere ormai dimostra verso il lavoro, l'ambiente, i cittadini-consumatori? L'appello è venuto da una lettera pubblicata nel giugno dello scorso anno sulle pagine economiche del manifesto, firmata da Carla Ravaioli, dall'Associazione per il rinnovamento della sinistra e da altri intellettuali attenti alle problematiche ambientali. Si è sviluppato un dibattito nelle stesse pagine che è durato per parecchi mesi, e oggi quel dibattito è diventato un libro: Lettera aperta agli economisti (manifestolibri, pp. 159, L. . 18.000), a cura di Carla Ravaioli.

E' possibile conciliare i modi dell'attuale crescita economica con il rispetto dell'ambiente? Secondo gli autori dell'appello, no. Sarebbe anzi proprio la massa crescente della produzione e dei consumi a causare problemi "microecologici" - fiumi e laghi inquinati, lo smog nelle città, l'avvelenamento dei cibi, risolvibili tutti localmente - e i più preoccupanti e devastanti problemi "macroecologici" - l'effetto serra, la desertificazione, il buco dell'ozono, le frequenti alluvioni, risolvibili soltanto con soluzioni "planetarie". Bisogna allora porsi un freno, e ipotizzare anche "un arresto o un forte contenimento della crescita", almeno a livello continentale, perché per un solo paese sarebbe pura follia. Creare insomma un nuovo sistema della produzione e dei consumi, che sia maggiormente rispettoso dei ritmi e delle risorse disponibili in natura, facendo espandere, per compensare le conseguenti perdite, la produzione dei cosiddetti "beni sociali". Che potrebbero essere, per dirla con l'economista Giorgio Lunghini - che non firma l'appello, pur ponendosi interrogativi consonanti con esso - cure alla persona o all'ambiente, non prodotti dal sistema capitalistico perché ritenuti beni di poca profittabilità, ma che nondimeno rappresentano bisogni non secondari di tutte le collettività. E la produzione dovrebbe provenire dal pubblico, dal politico, chiamato a colmare le lacune dell'economico, del privato.

Posizioni, soprattutto quelle che ipotizzano un rallentamento della crescita, fortemente avversate da altri studiosi. A titolo di esempio si può portare quella dell'economista Augusto Graziani che vede in queste proposte "un inconfondibile sapore di destra conservatrice; il blocco della produzione materiale si tradurrebbe in un aumento della povertà diffusa, con la salvaguardia di limitate isole di privilegio". Molti dei critici, comunque, non hanno potuto esimersi dal riconoscere che l'attuale situazione ambientale è davvero grave e che la soluzione va trovata nel conciliare gli attuali livelli di produzione con un maggiore controllo della politica sull'economia, convertendo qualitativamente le produzioni, tassando i prodotti inquinanti, inserendo all'interno della pura contabilità economica il nuovo concetto di "contabilità ambientale", che tenga conto cioè anche dei costi e dei guadagni che un determinato tipo di produzione arreca all'equilibrio del territorio.

La politica, si è detto. Perché il libro ci suggerisce che, se è vero che gli economisti contano sempre di più nel mondo di oggi, è anche vero che tanti spazi, tradizionalmente della politica, non possono essere delegati agli economisti stessi. Bush rigetta il protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra, proprio perché non vuole intaccare di un punto la produttività degli Usa. In Italia, chiunque abbia posizioni di attenzione verso l'ambiente che vadano anche poco al di là di quelle dei responsabili dell'immagine dei grossi gruppi industriali, viene subito bollato, da parte dei politici-imprenditori oggi al governo, come conservatore, nemico dello sviluppo e del lavoro. E intanto, in nome dello sviluppo, l'alta velocità ferroviaria ha devastato il Mugello, mentre a Taranto, Genova, Marghera, Brindisi, decine di cittadini e operai sono morti in questi anni a causa di una crescita decisamente poco "sostenibile". La Lettera agli economisti fa riflettere gli economisti e non solo: la politica deve riprendersi i suoi spazi, e l'economia, già dal prossimo G8, deve farsi un po' più politica.

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