I maya occupano la diga di Chixoy
12.09.04
Centinaia di persone, tutti contadini, per lo più indios maya, hanno occupato martedì la diga di Chixoy sulle montagne del Guatemala. E' una grande diga e la sua centrale idroelettrica, capace di 275 megawatt, fornisce il 60 per cento dell'elettricità consumata nel paese. Gli occupanti, oltre 500 secondo la reuter, minacciano di bloccare la produzione se non saranno ascoltate le loro richieste: vogliono terra e risarcimenti, e in primo luogo acqua potabile ed elettricità. Quei contadini sono quelli cacciati via dal sito della diga (e del suo lago artificiale), costruita tra gli ultimi anni `70 e i primi `80. O meglio: sono i sopravvissuti tra coloro che là abitavano. In quegli anni il Guatemala era sotto una dittatura militare brutale, le città vivevano in nel terrore e sulle montagne le forze armate avevano lanciato una vera e propria guerra di annientamento contro le popolazioni indie sospettate di aiutare la guerriglia. Così, quando il villaggio di Rio Negro si è opposto all'evacuazione, nel 1982, l'esercito l'ha attaccato: ha sparato, violentato donne, sventrato bambini. Metà della popolazione è stata uccisa, 400 persone.
La diga di Chixoy è stata in gran parte finanziata dal Banco interamericano di sviluppo e dalla Banca Mondiale. I lavori erano cominciati senza neppure notificarlo alle popolazioni locali. Né il governo, né la Banca Mondiale avevano un censimento dei villaggi coinvolti, né un piano per risistemare quelle circa 3.400 persone, in gran parte maya. E la Banca Mondiale «ha guardato dall'altra parte quando l'esercito ha massacrato» gli abitanti di Rio Negro, accusa la rete International Rivers Network. Solo nel 1996, sotto la pressione di gruppi per i diritti umani, la Banca ha riconosciuto che il massacro era avvenuto.
Molti delle persone che occupano oggi la diga sono proprio i sopravvissuti di oltre vent'anni fa. Ma non sono là solo per denunciare il massacro o le responsabilità della Banca. Il fatto è che da quando la diga è in funzione, sopravvissuti e sfollati vivono in condizioni di miseria nera, repressione, desolazione. «Risistemati» in un nuovo villaggio, Pacux, vicono in baracche sub-standard, su terre scarse e poco produttive, e molti fanno la fame. Non c'è un ponte né zattere affidabili per traversare il fiume, così gli è tagliato l'accesso alle terre comunali. I villaggi a valle sono spesso allagati senza preavviso quando la diga apre le chiuse. Per di più, l'ente responsabile della risistemazione degli sfollati, Inde, è stato privatizzato: oggi la gestione della centrale è passata a aziende energetiche private che rifiutano di riconoscere gli accordi pregressi. Così Pacux non ha più energia elettrica perché non ha pagato le bollette - e senza elettricità non ha neppure acqua potabile.
Gli occupanti della diga hanno richieste precise. «Vogliamo terra fertile, case decenti, progetti economici fattibili e scuole per i nostri figli e nipoti che vivono nella povertà estrema, e anche elettricità gratuita», ha detto Carlos Chen, un leader della comunità (riferisce l'International Rivers Network): «Solo così saremo in grado di provvedere alle nostre famiglie e garantirgli delle condizioni di vita dignitose». «Ho perso il mio frutteto e il bestiame, allora ero benestante. E quel che ci hanno dato in cambio è terreno pietroso», dice (alla reuter) Juan Alvarez, 72 anni. I leader della protesta chiedono anche una commissione mista tra governo, sfollati e le due banche finanziatrici, per rivedere la faccenda dei risarcimenti. L'ente Inde considera ingiustificate le rivendicazioni. Le due banche affermano di aver esaurito le loro responsabilità. Henry Monroy, dell'ufficio diritti umani della Procura generale del Guatemala, ribatte: «Le richieste delle persone che stanno occupando gli impianti della Inde risalgono a quando la diga è stata costruita: le comunità sono state sfollate della loro terre e il governo aveva promesso sviluppo, ma nulla è avvenuto». Peggio: il mese scorso il governo del Guatemala ha annunciato progetti per altre dighe, di cui due sul fiume Chixoy. E questo ha fatto davvero infuriare gli sfollati: «Prima devono riparare ai torti fatti», dicono.
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